mercoledì 5 febbraio 2014

Il ragazzo di Ballarò


Il ragazzo di Ballarò

di Adele T.....




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PREFAZIONE  


Una storia di amicizia, che supera i confini dell’amore, poiché non soffre dell e implicazioni che esso offre alle persone. Una giovane vita spezzata da una delle malattie moderne, sconosciute ai molti negli anni 80: l’AIDS. Una promessa quasi estorta, dal protagonista, mentre lasciava questo mondo, di scrivere la sua storia: come a testimonianza di un vissuto sbagliato, sia solo per pochi anni, e alle conseguenze che esso può offrire ai giovani, che scelgono comportamenti a rischio, dovuti spesso all’incoscienza della loro giovane età. Una storia che racconta fra le righe forse, anche la presunzione di credersi immuni da ogni male, quasi immortali, mentre s’immagina che le cose brutte non possono accadere a noi, ma solo agli altri. In un giorno speciale, il protagonista del libro, dice alla sua amica dell’anima:

Scrivi la mia storia Leda, tu ne sarai capace, e forse la mia storia, potrà aiutare altri giovani, che leggendola, non commetteranno gli stessi errori che ho fatto io. Errori fatti, per poco amore verso la vita, per poco amore verso me stesso e malanimo verso i preconcetti della gente; che non sono però la giustificazione, che ti concede il permesso di farti il male che loro stessi ti avevano augurato! Mi piacerebbe pensare, che la mia storia, fosse quella magia, della quale avevo bisogno io, il giorno prima di prendere la strada sbagliata. Quella magia, che per me, avrebbe fatto la differenza: la vita! Desidero tanto che un giovane, leggendo questa storia, abbia quella magia, che sarà per lui la differenza, mi sembri di aver vissuto, anche se poco, ma per uno scopo onorevole: salvare la vita a una creatura, solo momentaneamente confusa come lo ero io!

Un’esplosione di sentimenti contrastanti, che hanno come palcoscenico Palermo e la costiera Amalfitana. Scenari che vedranno due giovani vite, totalmente diverse, vivere il connubio della profonda amicizia, senza neppure conoscersi di persona. Scritta ventidue anni dopo la sua conclusione, per mantenere una promessa, per ricordare un’anima bella, e perché può davvero essere un esempio per chi ancora oggi pensa che la droga, sia solo una volta e poi basta, e che le cose brutte accadono solo agli altri!


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La splendida Palermo, affascinante, seducente e pericolosa, s’infrangeva contro il sole cocente, dell’estate siciliana. La marea di macchine invadeva la città, riempiendola di rumori più forti, insistenti e sempre uguali. Si sentiva di lontano la voce dell’ambulante che vendeva il pane fresco. La sua casa era al terzo piano di un vecchio palazzo, uno di quei palazzi antichi con le ringhiere di ferro battuto; che hanno i soffitti tanto alti, d’aver la stessa acustica che si ode in un palazzo nuovo al pian terreno. Il sole passava dalle fessure aperte delle tapparelle, e quei raggi, che tanto piacciono, perché sono la vita, gli ferivano gli occhi fino a provocargli dolore. Biascicò una frase impastata di collera e sofferenza, contro il mondo e contro se stesso. Mentre si alzava barcollando, da quel letto, che da giorni, non era rifatto a modo! Rimase per un attimo seduto sulla sponda del letto, si passò le mani esili ed eleganti, fra i capelli sudati; erano giovani e lucidi, ben lavati e profumavano di sole! Cercò di fare le cose senza soffermarsi, a pensare alla sua situazione, gli faceva troppo male! Il caffè gli riscaldò lo stomaco e rinfrancò un po’ la mente confusa. Sembrava un po’ più vivo, ora che il corpo aveva ricevuto qualcosa di caldo.

< Sono tre giorni che non mi rado!> pensò <oggi mi faccio coraggio, devo per forza guardarmi allo specchio!>. Aveva un bel viso, magro, forte, con il naso importante, ma non gli piaceva! Sorrideva compiaciuto, alcuni anni fa, quando guardava i suoi occhi grandi, castano chiaro, spruzzati di un caldo verde smeraldo! Aveva le ciglia lunghe, girate all’insù; una donna, lo avrebbe invidiato! Ora, nemmeno dei suoi occhi si compiaceva più! Poiché l’unica cosa bella, che secondo lui aveva, gli diceva in pieno viso e senza tatto, la sua cruda realtà! Erano ancora più grandi adesso, sembravano sempre meravigliati per quanto erano aperti, spauriti, dilatati. Non si vedeva la gioia, la vita, in quegli occhi giovani e belli! Poiché l’astinenza ne spegneva la luce della libertà. Quella libertà, che troppo spesso, l’uomo d’oggi cerca nelle cose effimere, ma … non se ne rende conto, mentre lo fa. E’ questa la tristezza più grande! Si è convinti che è un “gioco” < Solo una volta, che male può fare? > Ma poi si ripete il “gioco”, perché è stato bello, ci ha dato l’illusione di un mondo stupendo, fatto a misura dei desideri più impossibili. E non ci si accorge invece della realtà ingannevole di poche ore, che a lunghi passi, ti porta verso la morte. Ci si sveglia allora nel presente, che diviene sempre più stretto e soffocante, perché ci mostra la sua vera faccia, quella di una seducente amante assassina! Aveva fatto i suoi buoni propositi Mauro, quella mattina, davanti alla tazza fumante di un buon caffè. Si era riproposto il tutto; ma i suoi pensieri, amici ingannevoli, erano già sfioriti, mentre la voce giovane dava il buon giorno al mattino. Come faceva da sempre, si sedette, aprì il suo diario, e il suo buon giorno, lo diede scrivendo così:


Mattino-

Momento forte di volontà.

Rinascita e riproposta del tutto.

Veloci selezioni di stanche proposte.

Reazioni continue- e fisiche- e mentali.

Attimo di ribellione … vestirsi del solito!

Mattino-

Fine di evasioni trovate in altre dimensioni;

Forse migliori!

Mattino-

Finito davanti ad una tazza

Di caldo e fumante buon caffè.

Buon giorno!


Mauro chiuse il suo diario, ma non immaginava che quasi tutte le sue pagine, sarebbero rimaste bianche. Era un’abitudine che aveva sin da quando frequentava la quarta elementare, scrivere sul suo diario; era come parlare a un amico immaginario. Si era sempre sentito timido, riservato, e le sue confidenze non gli riuscivano a dirle a nessuno, neppure a sua madre.

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Mauro nasceva a Palermo il 6 Giugno del 1957, nel quartiere poverissimo di Ballarò, ultimo di sei figli, sin da piccolissimo si sentiva diverso dai suoi amici di scuola. Allora si definiva “diversa” una persona che non aveva la classica sessualità, quella che ti connota nelle due categorie, maschio e femmina. Infatti, il termine etero, non si usava per nulla, e quando si vedeva un ragazzo che aveva atteggiamenti femminili, si portava dallo psicologo, perché si credeva fosse malato. Tuttavia non posso fare a meno di pensare, che se anche ci troviamo nel 2012, forse oggi c’è qualcuno che la pensa ancora così! Mauro visse la sua infanzia poverissima ma serena, piena d’amore e spensieratezza. E anche se era nato in una città enorme e piena di pericoli come Palermo, ove si respirano la storia e l’arte; la sua vita era circoscritta, in un solo piccolo quartiere, che era per lui, così bimbo, un piccolo paese.

Fra le case vecchie e i vicoli del quartiere forse c’è ancora oggi, la memoria del suono delle sue scarpine bucate che trotterellavano dietro ad un pallone. Forse ancora si sente oggi, l’eco delle sue grida argentine, mentre si attaccava al carretto del pane, di nascosto del conducente, per poi cadere con la manina occupata da un panino, e sbucciarsi le ginocchia.

La sua vecchia casa, colma d’amore, ancora ricorda, quella stupenda donna bruna che lo cullava, davanti al piccolo balconcino arrugginito. Di quella madre, che troppo presto lo lasciò, per volare in cielo, c’è ancora tutto l’amore in quella casa, in quel quartiere, che lui abbandonò, appena divenne un uomo.



L’aria del mattino era fresca, quel giorno di Maggio del 1987, Mauro trascinava le sue lunghe gambe dinoccolate, sul marciapiede infinito di via Maqueda. Sembrava che guardasse le vetrine, quando si fermava di fronte ad una di esse, ma non era così. Intenzionalmente tentava di allungare la strada, che di per sé era già molto lunga. A lui sembrava troppo corta, per quello che si apprestava a fare. Era terrorizzato da quello che lì a poco avrebbe avuto in mano! Si dirigeva verso il laboratorio analisi che si trovava alla fine della strada, e dentro il suo cuore quel disagio che viveva da qualche tempo, era come un’ombra corposa che gli occupava lo stomaco fino a fargli sentire dolore!

Era da lungo tempo che aveva malesseri, che non erano legati alla droga che assumeva. Anzi, quando la usava, la bestia lo ingannava così bene, che si sentiva un leone pieno di forza e vita! Quando passava l’effetto, precipitava nella realtà delle orribili sensazioni, quel apparente banale rantolo dietro le spalle e quella febbriciattola e spossatezza, che non lo lasciavano mai, era una cosa molto ma molto più seria! Non a caso il medico gli aveva consigliato, dopo altre analisi di routine di fare la prova finestra dell’Aids. Il sole carezzava gli storici palazzi di via Maqueda, sembrava giocare con i corpi delle statue, dando a esse nei riflessi, quasi una parvenza di vita reale. Mauro mentre camminava, sollevava spesso il capo ad ammirare l’architettura barocca della sua splendida città, e si diceva spesso, quel giorno, come a rassicurarsi la coscienza:<Nulla di brutto mi può accadere, c’è troppa bellezza intorno a me, se fuori è bello, anche dentro di me “deve” essere bello!> Gli capitava spesso di pensare cose assurde, pur di rassicurarsi e scacciare quella vaga paura che gli occupava lo stomaco da mesi! I clacson delle macchine lo fecero trasalire dai suoi pensieri senza senso, una bambina bella come una bambolina di porcellana, svincolava la manina dalla sua mamma, e correva al centro della strada. Mauro non ci pensò neppure la frazione di un attimo, era già al centro della strada, mentre schivava un paraurti e uno specchietto retrovisore, allungò le braccia e la prese al volo!Sentì l’urlo acuto spaventato della madre che la chiamava, fra il frastuono del traffico e le frenate; e si ritrovò a tuffarsi in due occhioni celesti che gli sorridevano. Occhi innocenti, divertiti, del tutto privi di coscienza, di ciò che le poteva accadere di brutto. Era fra le braccia di un uomo alto alto, che le carezzava con il cuore in gola, i riccioletti biondi ed era divertita tanto, dallo stare così in alto e vedere i grandi più piccoli di lei! La donna quasi lo abbracciò per la gratitudine di quel gesto, e mentre la sua voce lo ringraziavano mille volte, Mauro si perse in quegli occhietti di cielo, intensi e ridenti, non potette fare a meno di pensare: < Questa è la sensazione che si prova, quando si abbraccia un angelo vero!>.


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Quel tuffo che aveva appena fatto, in quegli occhi di cielo, gli aveva dato una forza nel procedere verso il suo destino, che ahimè era già segnato e forse, lui, nel cuore, lo sentiva già! Varcò la porta bianca dell’ambulatorio, a quell’ora la gente era poca, ma a lui sembrò di attendere troppo, un’ansia profonda gli abbracciò il cuore. Allora lui chiuse le palpebre, per rivedere nella mente quegli occhi di cielo che lo avevano tranquillizzato. <Il signor Mauro D’Argo?> Mauro trasalì dai suoi pensieri di quel faccino roseo e morbido, si alzò di scatto ed entrò nel piccolo ufficio bianco del medico. Il volto del medico era molto serio, e il suo tono, quando parlò, era calmo, lento e vestito di una speranza per nulla convincente però! < Lei è sieropositivo, ma ciò non significa che ha l’aids, è solo positivo alla malattia, con i nuovi ritrovati medici, potrà rimanerlo anche per venti anni. Non si spaventi, cominceremo un lungo cammino di disintossicazione con il metadone, per poi cominciare la terapia per bloccare il retrovirus, in modo che non ci sia la conclamazione dell’aids. Stia tranquillo, ce la faremo!>.

Mauro si sentì risucchiare in un tunnel nero, aveva solo la visione centrale della vista, e nel centro vedeva solo lampi viola e una voce d’eco che gli diceva: <Ce la faremo!>. La strada di ritorno a casa, vide un giovane ragazzo di trent’anni correre disperato e pieno di terrore. Agli sguardi della gente che lo vedeva correre, inconsapevole del dramma, quel ragazzo, sembrava un podista eccentrico, che correva per le strade della città, con un inappropriato jeans strappato e una canotta color arancio. I capelli bruni lunghi al collo, che svolazzavano al vento dell’estate, e lo sguardo color degli smeraldi, dilatati in un pianto, che li rendeva pietre lucenti, come quelle sotto il mare trasparente della Sicilia. Correva per la via Maqueda una giovane creatura, alta un metro e novanta, bella come il sole, ribelle come non mai, non più verso la morte che offre la droga, ma verso la vita che “sentiva” gli stava scivolando via! Mauro correva così forte, che sembrava volesse fuggire da via Maqueda, dalla Sicilia, dall’Italia, dal globo terrestre! Correva via dall’aids!

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Le ombre giocavano con i pochi mobili, che arredavano la stanza di Mauro, il sole era tramontato da almeno tre ore. L’imposta lasciata socchiusa, nel piccolo tinello cucina, lasciava passare una leggera brezza, che giocava con un foglio di carta. Il foglio bianco si mimetizzava quasi sul pavimento dello stesso colore, ma la poca luce, che veniva dal lampione della strada, lasciava vedere chiaramente quella crocetta rossa, stampata in grassetto, dall’impiegato del centro medico. Ed era su quel foglio che gli occhi di Mauro erano posati; mentre era lì, a ventre in giù sul divanetto, dove si era tuffato stremato dalla corsa, tra le lacrime cocenti, al suo rientro a casa, tante ore prima. Gli era sembrato, che più avesse corso, e più lontano sarebbe andato dal suo destino, disegnato su quel foglio, eppure, inevitabilmente e inconsapevolmente, dalla sua stessa mano! Lo scambio di siringhe o gli incontri condivisi con i suoi amori disperati? Che cosa avrebbero detto “gli altri”, perché era un drogato o perché era un gay? Non aveva ancora preso coscienza, che gli altri non sanno nulla, neppure della loro vita e degli stessi sbagli! Era solo gente più fortunata! Lo avrebbe poi capito che nessuno merita un tale dolore! Non c’era colpa, nelle cose che non si conoscono, nel dolore che ti porti dentro, dal rifiuto di chi più ami e dovrebbe difenderti! E…cadi in strade sbagliate! C’è invece molta colpa, in chi ti dovrebbe amare e quindi accompagnare, anche a calci nel sedere. Sani calci, che ti dicono chiaramente, ti amo troppo per vederti morire. Ti voglio bene, e accetto tutto di te! “Quella gente” che dovrebbe amarti e accettarti a prescindere, senza stupidi e sterili pregiudizi e totale disinformazione! In quegli anni, si moriva di pregiudizi e disinformazione; e Mauro viveva purtroppo quegli anni! < Domani comincerò la mia guerra contro di Te! Bestia nera che mi stai rubando la vita!Te l’ho permesso io, ma domani, quando ti sentirò pulsare nelle mie vene, non cederò alle tue lusinghe assassine. Sarai tu a morire in me, e non io a morire in te!>.





Quella notte Mauro dormì in braccio ai draghi, neppure per un minuto ebbe pace, nell’inconscio che costruisce i sogni. Voleva disperatamente riposare, e credere fermamente di aver fatto un incubo, e di esserci ancora dentro. Sognò anche sua madre, che lo teneva abbracciato al suo florido seno e gli cantava la nenia che tanto amava. Fu una di quelle notti, che nonostante dormi, sei in connessione anche con la realtà che ti circonda. Sei a cavallo degli incubi, fra il dormiveglia e la realtà, ancora più nera dell’incubo stesso!Nel sogno Mauro correva per l’ennesima volta, sembrava che i suoi piedi quasi non toccassero terra. Gli scogli aguzzi dell’Isola Delle Femmine gli ferivano le piante dei piedi. Mauro correva e urlava dal dolore, ma non poteva fermarsi! Quel drago viola e nero lo stava raggiungendo, e puntava dritto al suo stomaco. Un urlo potentissimo, un attimo di nero e il drago fu su di lui! Schizzò letteralmente seduto in mezzo al letto, con gli occhi sgranati e madidi di sudore, si comprimeva lo stomaco per il gran dolore. Tremava come se avesse la febbre a quaranta, infatti, non riusciva a contenere il tremore che lo pervadeva tutto, dalla testa ai piedi; mai aveva provato una sofferenza così profonda, sia del corpo sia dell’anima; e si rese conto che quella sofferenza, era solo l’inizio della sua battaglia contro la droga. Aveva una sola definizione quell’orribile malessere che sembrava ucciderlo; astinenza! Restò a lungo rannicchiato fra le coltri madide, riprese sonno a intervalli brevi, sforzandosi di ritornare sveglio, per paura di lottare ancora contro il drago. Di lontano sentì il rintocco del campanile, della chiesa più vicina e si rese conto che era ormai mezzogiorno. I rumori della città salivano implacabili fino al terzo piano, la vita fuori apparentemente era come sempre, ma le sue orecchie avvertivano quei rumori, come ovattati, da una grande coltre. Mauro”sentiva già”che tutto ciò che era fuori, gli sarebbe stato contro. Vedeva con gli occhi dell’immaginazione la gente pronta al giudizio, alla condanna, sul suo petto vedeva incollato il timbro della “Lettera Scarlatta”. Aveva seguito già le prime trasmissioni che parlavano dell’Aids, e sapeva già, come se vivesse la sua vita in moviola mentale, che le montagne umane sarebbero state tutte lì, di fronte a lui, nei mesi a divenire!



<Pronto sono zio Mauro c’è la mamma?> Gli rispose una voce dolcissima e quasi ancora bambina, era Silvia, la seconda figlia di sua sorella Flavia. <La mamma è ancora a lavoro zio, ma stai bene?>. <Ho solo un po’ d’influenza Sissi (così la chiamava da sempre), mi dici quando rientra a casa?>. < Verso le 16,00 sarà a casa zio, ti faccio richiamare?>. < No gioia mia, richiamerò io, devo uscire e rientrerò verso sera>. < Va bene, ma…stai davvero male zio! Vengo da te?> < No gioia, devo davvero uscire! Ho un lavoro che non posso rimandare, ma stai tranquilla, ho solo un po’ d’influenza, volevo solo sentire la mamma. Chiamerò io più tardi>. Il piccolo rumore secco della cornetta riposta sulla base, fece sussultare un pettirosso che si era posato sul papiro gigante, che Mauro aveva fuori al suo balconcino. Nonostante il caos della grande città, gli uccellini, ancora facevano il nido sotto i tetti. Mauro si soffermò a guardare gli occhietti incuriositi dell’uccellino che lo stava guardando. Un moto di tenerezza gli fece provare una sensazione di calore e benessere, al suo stomaco dolente. Il tempo di fare due passi lenti e stanchi verso il balconcino, che il pettirosso era già volato sul tetto. < Cipì voli via? Magari potessi farlo anch’io e scappare da tutto ciò!>. Vide le arance nella cesta di paglia, posata sul tavolo, che aveva per gambe, una vecchia singer. Era un estroso Mauro, e amava circondarsi di cose particolari e carine. Era stata un’idea che aveva condiviso con il suo amico Angelo. Amico poi! Nessuno lo sapeva, ma Angelo, era stato mesi prima, il suo più grande amore, ma anche la sua più grande e cocente illusione! In una delle loro romantiche passeggiate, avevano visto, nel negozio di un robivecchi, la base arrugginita di una vecchissima Singer, ed un marmo di Carrara spaccato da un lato. E come spesso gli accadeva, Mauro pensò, che sarebbe stato bello farne un tavolo bizzarro e unico. Stavano pensando di arredare, la loro futura casa di coppia; ed era un’idea carina, farlo in modo unico. “Unici”, come credeva fossero, loro due insieme!E così da quella base, resa di nuovo lucida da una bella verniciata in nero matto e il taglio preciso della lastra di marmo bianco, venato di nero, lucidato a nuovo; era nato il suo tavolo da cucina, che ora trionfava al centro di quel micro tinello cucina. Quella stanza, più la camera ed il piccolo bagno, era tutta la casa di Mauro oggi!Il tavolo mirabilmente assemblato era rimasto, Angelo no! Il profumo dolcissimo delle arance rosse, gli diede uno scossone allo stomaco contratto, sia dai ricordi dolorosi sia si affacciavano alla sua mente, (Angelo era una delle persone, oltre ai suoi cari, che avrebbe dovuto incontrare di nuovo, perché doveva essere informato della sua malattia) e sia dalla sua realtà ancora più dura di oggi. Con grande sforzo, tagliò quell’arancia bellissima e la mangiò; non poteva fare altrimenti, era necessario prendere l’antibiotico, la febbre doveva scendere. Una doccia calda lo ristorò, quanto basta per avere la forza di scendere lo scalone senza ascensore, del palazzo in via Maqueda e dirigersi poi a passi lenti, verso l’ospedale, per la sua prima dose di metadone.


6



L’infinito marciapiede di via Maqueda, gli dava la sensazione che non finisse mai, le sue gambe erano talmente deboli, che aveva l’impressione, di essere su di un nastro trasportatore, che non gli permetteva di avanzare di molto!Si sentiva sfibrato non solo nel corpo, ma anche nell’anima! Aveva una tremenda paura di dire alla gente che amava, ciò che gli stava accadendo. Vedeva, con gli occhi della fantasia, se stesso, camminare per le strade, con attorno al suo corpo, un’aurea di color viola. Come faceva vedere lo spot pubblicitario in quegli anni in tv, che tentava di comunicare le prime informazioni sull’aids. La cosa che più lo angosciava, era costatare che lo avrebbero guardato con terrore!Mauro “sentiva” su di sé, sempre più marcata, La lettera Scarlatta! Grazie a Dio, il percorso finì, gli girava tanto la testa, e non vedeva l’ora di sedersi. L’odore dell’ospedale gli penetrò nel cervello e pensò: <Quest’odore sarà mio amico e mio nemico per il resto della mia breve vita?>. Si sedette sull’anonima sedia di alluminio del consultorio interno all’ospedale, con lo sguardo spento, guardava lontano senza nessuna meta precisa. Non sentiva neppure i rumori intorno a sé, mentre attendeva, la vita gli scorreva accanto come sempre, ma lui non la sentiva in quel momento, aveva solo una disperata voglia di farsi! L’attesa non fu lunga, Fulvio Marini, il medico che gli aveva fatto un piano di cura, per la disintossicazione dall’eroina, abbinata alla cura per il retrovirus, lo chiamò. Mauro era lì di fronte a lui, e i suoi bellissimi occhi verde scuro, erano spalancati con meraviglia e paura, di fronte alla pila di flaconcini di plastica allineati sulla scrivania. Il medico gli porse il bicchierino bianco, con la dose di metadone, e Mauro con le mani tremanti lo bevve in un sorso solo, non voleva pensare agli effetti collaterali! Quella medicina, non poteva essere più cattiva della droga!L’eroina lo aveva condannato, le medicine che erano di fronte a lui, non avrebbero dovuto fargli così tanta paura, perché non ne aveva mai avuto per la droga! Che strana la mente umana si disse! <Non ho avuto paura di uccidermi con le mie stesse mani, e ora dovrei avere paura di medicine che mi vorrebbero salvare?>. Mentre il dottor Marini, gli spiegava come assumere le medicine per la sieropositività a casa, il tremore che aveva addosso per l’astinenza incominciò a scomparire. Mauro iniziò a sentirsi la testa più libera e lo stomaco non gli faceva più tanto male. Poteva curarsi da solo a casa, ma non certo con il metadone! Quello doveva assumerlo solo di fronte al medico, doveva recarsi in ospedale per quello, e Mauro era consapevole che sarebbe stata dura!

Il traffico a quell’ora era pazzesco, la gente usciva dagli uffici e l’orchestra fastidiosa delle grandi città, si esprimeva con tutto il suo grande vigore! Mauro si sentiva quasi bene, dopo la dose di metadone e non voleva più tergiversare. Doveva vedere sua sorella, prima di affrontare un'altra notte da solo, con il suo terrore! Attese poco sul marciapiede, fra lo strombazzare delle macchine e la puzza degli scappamenti, il bus 101 lo portava da sua sorella Flavia. <Come cominciare quel discorso?>, pensava Mauro, mentre una donna con le borse della spesa, lo schiacciava fra la porta di uscita e il tubo di ferro che stringeva fra le mani per non cadere. Flavia per lui, non era stata solo una sorella, ma soprattutto una mamma, da quando così piccolo avevano perso la loro!Era anche l’unica sorella, gli altri quattro, erano maschi più grandi di lui. < Il cucciolo della figliata, pecora nera che camminava sull’altra sponda, ora aveva anche la lebbra degli anni ottanta!>.  Questo era il pensiero cattivo che aveva di sé, nel cuore, e si chiedeva, se lui era così cattivo con se stesso, come sarebbero stati gli altri con lui? Comunque ora non aveva più tempo di pensare, ora saliva le scale della casa di sua sorella e le sue quattro stupende nipotine, ora aveva il dovere di stamparsi un sorriso di circostanza, per le ragazzine, alle quali non voleva dire assolutamente cosa gli stava accadendo! Non si aspettava che le circostanze, quella sera, lo avrebbero favorito; le ragazze e il loro padre erano andati al cinema, trovò Flavia da sola, che stirava una cesta colma di panni. Flavia capì subito che qualcosa di grave stava accadendo a Mauro! Lei sapeva che faceva uso di droga, E pensò che si fosse messo in guai grossi proprio per quella tremenda dipendenza. Mauro lo abbracciò, e finalmente riuscì a fare, quello che da giorni si era negato. Fu un torrente in piena, che straripò dai suoi occhi e scosse il suo torace così fortemente, che Flavia si sentì gelare dalla paura!Lui più alto di lei, di almeno quindici centimetri, sembrava un bambino piccolo, inconsolabile, fra le braccia di una madre. Mauro non ebbe più né barriere né incertezze, non disse alla sorella, cosa gli stava accadendo; ma lo vomitò letteralmente! Si sentì mortificato per il suo malessere così espletato, sulle mattonelle a mosaico della sua bella cucina di fine ottocento e comprese quale effetto collaterale gli avrebbe poi dato il metadone assunto. Flavia lo fece stendere sul divanetto che aveva in cucina, di fronte alla tv, gli porse un panno bianco bagnato di fresco, che appoggiò sulla fronte. Aveva un sorriso dolcissimo e Mauro si sentì lacerare il cuore, al pensiero del dolore che le stava per dare!

7




Mauro cercava di mettere a fuoco il viso di Flavia, i suoi occhi erano diventati due sorgenti, non riusciva più a frenare tutto il dolore che aveva accumulato dentro, in quei giorni, vissuti come in trans, tra la realtà e la fantasia degli incubi. Per la prima volta, saggiò le contrastanti sensazioni che davano, il sapere di avere potenzialmente l’aids. Dalla paura, passare alla rabbia, e da essa ritornare in pochi secondi alla pietà di sé. Poi ancora … al suo accoglimento; come carezzare la testa di, un lupo cattivo, per convincere la bestia rabbiosa a calmarsi e a non sbranarlo! Quelle emozioni erano come le onde di uno tsunami, che vengono dall’epicentro del terremoto. Onde che si gonfiavano alte dieci metri, rotolando, tuonando, sulla superficie della sua anima, per poi infrangersi nel suo petto scosso dal pianto irrefrenabile, travolgere e trascinare via con sé, ogni parte del suo corpo e della sua anima ridotta a brandelli! E alla fine, languire nella risacca della calma, fra gli anfratti della sua mente stanca e paradossalmente rassegnata! E mentre tentava, fra le lacrime, di vedere il volto di Flavia che scopriva dalla sua stessa voce, la realtà del suo destino; Mauro lesse sul volto della sorella la disperazione e il terrore, che può avere solo una madre consapevole della fine di suo figlio. Quella piccola cucina di atri tempi, accolse fra le pareti un solo suono, i singhiozzi di Flavia; che si era allontanata dal divanetto dove era steso Mauro, e girava la stanza con le mani sul volto, come se avesse perduto il senso dell’orientamento. Mauro con grande sforzo, si alzò dal divanetto, aveva la sensazione di avere corso venti chilometri; tanta era la pesantezza di trasportare il suo corpo, dalla posizione supina a quella eretta. Era dietro Flavia in tutta la sua altezza, la prese fra le braccia e la avvolse come un bozzolo che protegge la futura farfalla. Flavia si svincolò, con lentezza da quell’abbraccio che in pratica le chiedeva perdono, si girò tenendo gli avambracci tesi sul petto di Mauro. Cercò i suoi occhi e con espressione, dipinta da dolore e timore, disse: <Che cosa posso fare per aiutarti, cosa dice il medico. E … come si deve comportare chi ti sta accanto, cosa può e cosa non può fare, per proteggere te, se stesso e gli altri ? >. Il viso di Mauro divenne una maschera di pietra, sentiva che la sorella lo amava da sempre, ed era davvero disperata per lui; ma nella sua mente, rimbalzavano fra le pareti della coscienza, le ultime frasi. < come si deve comportare chi ti sta accanto, cosa può e cosa non può fare, per proteggere te, se stesso e gli altri ? >.



Le pareti bianco ghiaccio della sua camera da letto, erano rischiarate dal faretto che illuminava, il basso rilievo barocco dell’antico palazzo. La sua luce soffusadipingeva intorno alla stanza, ombre e presenze sia amiche sia nemiche! Il sonno non voleva accoglierlo, e quando a sprazzi Morfeo lo stringeva a sé, Mauro risentiva a rallenty quella frase di Flavia. Neppure quello che disse dopo, riuscì a cancellare quella frase, detta di primo istinto!Neppure il sapere che si sarebbe occupata lei di informare i fratelli e gli altri parenti. Non riuscì a cancellarla, neppure la promessa sincera, che non lo avrebbe abbandonato, e che in qualche modo, si sarebbe divisa, fra il lavoro, la famiglia e lui!  La persona che più lo amava al mondo, aveva paura di toccarlo, abbracciarlo, consolarlo! In quegli anni, un ammalato di sieropositività, anche se non aveva l’aids, era un portatore di morte; e la persona che ne era affetta, viveva drammaticamente, una vera e propria morte, morale e sociale. Per tutte le malattie senza speranza c’era il senso della pietà e dell’accoglienza totale, non era colpevole chi aveva un cancro e doveva morire! Chi era sieropositivo, era additato come, il solo responsabile di tale dramma, e molti addirittura erano convinti che lo avessero meritato!Nella malattia c’era l’emarginazione, nell’emarginazione! Poiché molti erano convinti che fosse trasmissibile, solo dalla droga o dall’omosessualità. L’informazione era ai primi albori della conoscenza, e tanta gente inconsapevole, compreso i bambini, si ammalava anche solo per aver avuto una trasfusione. Tutto questo Mauro non lo sapeva, come tanta altra gente; e allora anche lui pensò, che fosse il giusto castigo, per la sua vita sbagliata. Il fisico provato cedette il passo a un sonno profondo e agitato, ogni muscolo del suo corpo era teso, fra le coltri umide di sudore. La realtà si distaccò completamente da lui, la porta dei sogni si spalancò e Mauro si ritrovò sulla scogliera dell’isola delle femmine! Correva a piedi nudi, sugli scogli aguzzi, e anche se nel sogno, non sentiva il suo peso corporeo, avvertiva il dolore delle ferite sotto le piante. La voce del suo pianto sconsolato, la sentiva fuori dal suo corpo, come se fosse una persona di là dall’orizzonte del mare a parlare. Era come uno spettatore, che vedeva se stesso correre a perdifiato, quasi sospeso da cuscinetti d’aria sotto i piedi, che sfioravano gli scogli, ferendosi lo stesso! Quel giovane uomo che vedeva correre sino allo scoglio più alto, per poi lanciarsi in mare, era lui! Era scarno in volto, aveva i capelli lunghi fino alle spalle, ed una barba bruna incolta, lunga di mesi. Due occhi grandi, che sembravano sproporzionati al volto, così macero e piccolo; era un fuscello di ossa, con la pelle attaccata e macera di pustole e sangue. La corsa finì, le braccia erano tese e il pianto era finito; e mentre le gambe macere, prendevano l’ultimo briciolo di forza, per fare il salto nel vuoto, una luce intensa come un lampo lo paralizzò! < Fermati, fermati!!Siediti accanto a me,ti dirò chi sei davvero, e quanto amore ho io per te!> Una creatura asessuata fu di fronte a lui, aveva un abito bianco, fermato in vita, da una corda di spago intrecciato. I capelli lunghi leggermente mossi e di un castano dorato con riflessi d’oro. I suoi occhi sembrano piccoli soli, e infondevano in lui, che lo guardava esterrefatto, una strana calma accompagnata da un pizzico di gioia incredibile. Mauro gli tese le mani, poi s’inginocchiò di fronte a lui, che era seduto sullo scoglio, e gli posò il capo stanco sulle ginocchia; la creatura, parlò.< Hai smesso di parlare con me, che eri un bambino, non credi sia giunta l’ora di riprendere il nostro segreto discorso, che tanto ci faceva felici la sera prima di andare a letto? Ricordi com’era bello, quando la mamma ti rimboccava le coperte, e ti diceva, non dimenticare la preghiera del buon riposo!Ho atteso molti anni, che tu mi chiamassi, per tenerci compagnia, ma tu ti sei scordato di me!O forse credevi che non fossi più degno della mia amicizia, visto le scelte che ti apprestavi a fare?Hai dimenticato che ti amo così come sei, e che il giudizio non fa parte del mio mondo? Non potevo più sopportare il tuo dolore, ti chiamavo ma tu non sentivi! Era troppo forte la tua rabbia ed il tuo affanno, e le tue orecchie, per queste ragioni, non mi sentivano più!Ma ora è giunto quel momento , così ben ricordato da un poeta spagnolo;ora ti prendo in braccio e sulla sabbia vedrai fino alla fine, la mia orma che ti sorregge!> Cipì, dal tetto volò sul balconcino di Mauro, a bere l’acqua stagnante del suo papiro gigante,un gorgheggio allegro ed un frullo di piccole ali, creò uno spostamento d’aria lievissimo, come fu lieve il bacio,che la creatura di sole diede a Mauro sulle gote, prima di andare via, per poi fondersi con l’orizzonte e l’inizio del cielo. Mauro si risvegliò, ancora sospeso, fra il sogno appena fatto e la realtà della sua stanza, appena rischiarata da un raggio di sole che s’incrociava con l’ombra dello stante centrale dell’imposta. Una croce disegnava le sue lenzuola, e su essa Mauro si risvegliava da un sonno agitato, che gli stava portando una speranza che credeva perduta.


8



L’estate siciliana era scoppiata in tutto il suo splendore, il profumo delle zagare che adornavano il giardino pensile di fronte al balconcino di Mauro, era una sinfonia per l’olfatto. Cipì si divertiva un mondo a picchiettare con il becco, la terra umida dei vasi in fiore, razzolando con le minuscole zampette, sembrava facesse una danza rituale. Mauro era in strada, e il mercato della Vuccirìa, ove lui si era recato quel mattino, era stracolmo di profumi e colori. Le arance tagliate a metà nelle cassette di legno, come dimostrazione della loro bontà, gocciolavano perle rosse come sangue, ed il loro profumo faceva venire un languorino, che te ne faceva provare il sapore anche solo con la fantasia. I carrettini trainati a mano erano stracolmi di pane caldo di tutti i tipi; farina gialla, cimino, sesamo, panini all’olio e focacce bianche con olive grosse come monetine. Il banchetto dei pesci, sembrava un fondale marino sulla terra, pesci e frutti guizzavano di vita, come se fossero ancora nel loro habitat. Quel giorno Mauro si sentiva bene, la cura con il metadone funzionava alla grande, e sempre più raramente sentiva il bisogno di pensare alla bestia. In sostanza era quasi del tutto soffocata dalla vita che riprendeva possesso della sua mente! Comprò poche cose, i risparmi gli dovevano bastare per lungo tempo, il suo lavoro nel campo edile, era saltato una decina di giorni fa. Palermo era grande sì, ma come sempre funziona in tutti i posti del mondo, dove c’è una grande città; ci sono anche i quartieri, e quelli erano tutti piccoli paesi. Fra gli amici, e i conoscenti di Mauro si era sparsa la voce che lui fosse siero positivo e a Mauro non davano più lavoro, accampando la scusa che gli operai erano già tutti piazzati, le imprese della città, caso strano, non avevano bisogno di mano d’opera! Senza lavoro, le giornate avevano due aspetti diversi; nel primo, Mauro si sentiva libero di potersi curare, rispettando gli appuntamenti medici e riposare quanto doveva, per stare bene. Nel secondo , il tempo scorreva troppo lento, ed occuparlo bene, pensando poco e positivo, era praticamente impossibile! Era passato tanto tempo, da quando ne aveva parlato con Flavia, aveva ricevuto qualche sua telefonata, che chiedeva della sua salute ma quella lunga scala di pietra antica del suo palazzo, non era stata mai pestata dalle affettuose scarpe di nessuno. La falcata di Mauro, era lunga sicura e quasi spavalda, mentre rientrava a casa, fra le mani, i sacchetti della frutta e il pesce fresco, percorreva l’ultimo tratto di strada, dalla fermata del bus e il grande portone di legno scuro del suo palazzo, vi erano da passare una piccola traversa. Mauro la imboccò a testa bassa, immerso nei suoi pensieri, non fece caso alla pila di cartoni vuoti che erano in fondo al vicolo, ma un movimento di uno di essi, fu accompagnato da un suono che lo incuriosì.

Si avvicinò cauto, incuriosito dal movimento dello scatolone, e si trovò di fronte a due occhietti azzurri chiarissimi, un gattino bianco, striato di beige e ruggine, lo guardava tutto spaventato. Doveva sentirsi davvero microscopico, di fronte a quell’essere alto come una torre!Era un piumino di pochi mesi, tutto impolverato, che mostrava con i suoi miagolii acuti, paura e fame; ma fece poca resistenza, con le unghiette piantate nel cartone, prima di lasciarsi prendere da una sola mano, gigante per lui!

< Gioia! Che ci fai qui tutto solo senza la tua mamma!Vieni con me batuffolo, ti porto a casa mia, anch’io sono solo come TE>.

Fu una vera impresa, tenerlo fermo nella vaschetta con acqua saponata, ma era la prima cosa da fare, non aveva soldi a sufficienza per portarlo a fare la toletta. Tatù ne uscì fuori candido e profumato,erano ancora più nitide le striature beige e ruggine, sopra quel bianco candido come la neve! Era bello avere un amico con il quale condividere la solitudine, e quegli occhi di cielo erano così simili a quella bambina salvata dalle ruote di quella macchina, nel traffico della città! Gli infondevano la stessa tranquillità, visualizzata nel cuore, mesi prima, in quell’ambulatorio di esami medici, occhi innocenti e ridenti mai dimenticati! Una vecchia scatola di scarpe, per il momento, funzionava da lettiera per i bisognini, posta sul balconcino fra il basilico e il papiro gigante, mentre una ciotola di plastica, che aveva contenuto un yogurt, era il suo piattino pieno di latte caldo. Da lì a meno di un’ora, con il pancino pieno Tatù, e quello di Mauro altrettanto, i due coinquilini erano uno sopra l’atro, stesi sull’amorino del tinello. Mauro nell’oblio del sonno leggero della digestione e Tatù che attivava le fusa più sincere del mondo! Il vecchio televisore di diciassette pollici in bianco e nero, stava trasmettendo Canale Cinque per voi, e la voce calma e suadente di Rita Dalla Chiesa, era l’unica voce umana che si espandeva, in quella piccola stanza colma d’amore, grazie ad una creatura pelosa, abbracciata al suo improbabile papà.

9


Per la prima volta, dopo tantissimo tempo, Mauro fece un pisolino tranquillo, la compagnia del suo Tatù, aveva fatto la differenza! Il nome dato al gattino, l’era venuto d’istinto, pensando all’ultimo sogno che gli aveva donato quei momenti di speranza al suo risveglio. Tatore, in Sicilia, era il diminutivo di Salvatore, che significava appunto Gesù Cristo (Il Salvatore). E Mauro aveva spontaneamente pensato, che cambiare Tatore in Tatù, era più indicato a un gattino. Per lui, quell’essere di pelo morbido e fuse sincere, gli salvava le giornate vissute in assoluta solitudine, che era la cosa più dolorosa da sopportare, oltre la sua spada di Damocle sulla testa.

Tatù aprì gli occhietti assonnati, tese le zampette allungando tutto il suo corpicino, sul petto di Mauro, poi schizzò dal divanetto, con un solo balzo fu sul balconcino; Cipì era a bere l’acqua del tapiro gigante!

Per fortuna Cipì fu più veloce, mentre Tatù rimase con il nasino rosa appiccicato alla ringhiera, molto deluso di aver perso lo spuntino piumato!

Mauro osservava deliziato quella scena, mentre pensava all’assurdità della sua situazione umana:

< Unici compagni che dividono il mio quotidiano, un uccellino e un gattino! E’ proprio vero che gli animali sono meglio dei cristiani!>.

La sua considerazione partiva dal comportamento che aveva visto assumere negli altri, quando avevano saputo della sua potenziale malattia e dal lavoro perso a quanto pare per sempre; e mentre il sole scendeva nel mare, ricordò il pomeriggio più triste della sua vita, che aveva passato a Villa Giulia.

Poche parole dette a telefono, circa un mese prima:

< Angelo, sono Mauro, ho bisogno di vederti è importante!> Un lieve respiro sospeso, dall’altra parte della cornetta, la voce di Angelo, profonda e leggermente seccata rispose.

< Dopo due anni, cosa ti viene in mente di chiamarmi! E se avesse risposto mia moglie?>

< Avrei provato a richiamarti più tardi, se avesse risposto la poverina, avrei riappeso!>.

Provò un dolore profondo Mauro, nel sentire l’alterazione della sua voce, neppure un momento di meraviglia e minimo piacere ebbe quella voce, nel sentirlo dopo tanto tempo!Ma non c’era nulla di piacevole, in quello che doveva dirgli, allora tagliò corto, quasi estorcendogli un appuntamento il pomeriggio dopo, dicendo:

< E’ nel tuo interesse vedermi, credimi sulla parola!>.

Villa Giulia come sempre, era maestosa, oltre i quattro cancelli aperti dai diversi lati della città, si estendeva una delle meraviglie di Palermo; Mauro aveva preso appuntamento dalla porta d’ingresso del mare.

In prossimità del cancello di comunicazione con l’Orto Botanico, si trova una bellissima fontana dal cui scoglio centrale si erge la gigantesca statua del “Genio di Palermo”, scolpita nel 1778 da Ignazio Marabitti e delimitata per tutto il perimetro da pregevoli statue allegoriche disposte in semicerchio, rappresentanti la “Gloria che abbatte l’Invidia”, l’”Abbondanza che scaccia la Carestia”, l’”Eresia”, l’”Islamismo”, lo “Scisma d’Oriente”, l’”Intemperanza”, l’”Orgoglio”, la “Superbia”. D’ispirazione ottocentesca è un’ampia zona del giardino destinata a “sepolcreto” e con un boschetto di cipressi intorno, in cui si trovano urne commemorative dedicate ai siciliani illustri dell’antichità e a storici, filosofi e poeti greci classici. Mauro fece una lunga passeggiata per ammirare quel maestoso giardino che non visitava da tanti anni; l’appuntamento era alla terza panchina di fronte ad una delle esèdre.

Le altissime palme sembravano toccare il cielo, il verde dei giardini d’infinite gradazioni, sfavillava in tutto il suo splendore; le panchine di pietra candida, sotto il sole del primo pomeriggio, sembravano iridescenti. Nonostante tutta quella bellezza e quella stupenda memoria storica che lo circondava, Mauro aveva nel cuore un’angoscia che lo divorava. Erano passati pochi giorni dalla rivelazione fatta a sua sorella Flavia, e il ricordo della sua reazione, lo angosciava ancora di più ora! Doveva dirlo a un “estraneo ora”, che era stato il centro della sua vita sentimentale disgraziata!Era un atto dovuto, soprattutto per chi aveva condiviso la sua intimità, non poteva ignorare la vita e la salute di un altro essere umano e la sua ….ignara famiglia!

Angelo era seduto su di una lunga panchina bianca senza appoggio per la schiena, dava le spalle a una delle quattro esèdre, chioschi concepiti per la musica, nel luogo che si definiva Rivelazione Centrale.

Non  a caso Mauro aveva scelto quel posto preciso, era un po’ questa sua macabra ironia, che una volta era la parte più gioiosa di sé. Oggi si manifestava in un modo che lui non avrebbe mai e poi mai immaginato!Quando lo vide, Mauro ebbe un colpo al cuore, lui era una di quelle persone che quando amavano, anche se tutto finisce, non cancella dal suo cuore quel che è stato!

Parlare per lui fu ancora più doloroso della prima volta con sua sorella; poiché lei lo amava, Angelo no. Non si aspettava nulla di meno di quel che disse e fece, ma nonostante fosse preparato a tutto, la reazione di Angelo fu così scomposta e cattiva, che Mauro avvertì la netta sensazione di essere preso a coltellate. Nessun dolore per lui, che poteva finire di vivere da lì a pochi anni, nessuna espressione di dispiacere per lui, anzi, c’era collera, una rabbia aspra e dura nella sua espressione, mentre lo squadrava da capo a piedi, con occhi furenti e al contempo schifati!

Angelo retrocesse per tutta la lunghezza della panchina, come se avesse preso una scossa elettrica, che lo scagliava dall’altro lato.

Il terrore del suo volto era palese, strofinava convulsamente le mani sulla maglietta firmata, le stesse mani che avevano strette quelle di Mauro, nel saluto all’inizio dell’incontro, come se fossero sporche di sangue e gli incutessero terrore. Imprecava e piangeva, come se fosse caduto in un pozzo di sanguisughe e volesse non solo strapparsele di dosso, ma anche risalire il pozzo volando! Mentre la voce di Mauro, resa rauca e fievole dalla pena che provava per lui, disse. <Sono due anni che non ci vediamo più Angelo! E’ in sostanza impossibile che ti abbia trasmesso la sieropositività! I medici mi hanno invitato a informare tutte le persone con le quali ho avuto contatto, ed è quello che sto facendo con te, non temere, sicuramente stai bene!> Ad Angelo mancava il fiato dalla paura, si premeva lo stomaco con una mano, mentre in piedi in tutta la sua mole, andava avanti indietro, tra la panchina e l’esèdra. Ora lo stomaco, ora le mani fra i ricci capelli biondi, parlava a se stesso, ignorando Mauro e dicendo: < Come giustifico a mia moglie che devo fare le prove finestra per l’aids! E soprattutto come la convinco a fare altrettanto! E i miei figli? Che cosa faccio con i miei figli!> Continuava a vedere solo se stesso, continuava a pensare freneticamente, a come nascondere quella sua parallela vita, che aveva avuto da sempre! Sin da quando si era sposato con quella povera ragazza, che non aveva mai compreso la duplicità sessuale di suo marito. Un ragazzo, che per nascondere al mondo la sua vera natura, aveva sposato una brava ragazza, dopo una fuitìna rocambolesca! Mauro era rimasto seduto sulla panchina, piegato in due con la testa fra le mani, mentre sentiva Angelo imprecare e disperarsi. Sentiva dentro di sé il suo odio, il suo schifo e il suo terrore, non c’era nell’aria che energia negativa per lui. Sembravano lampi di tempesta in un cielo sereno e terso, che gli trapassavano l’anima, senza nuvole nere, senza pioggia!la tempesta elettrica del male, era attorno  a lui e dentro di lui!Era in un luogo meraviglioso, pieno di luce e colore, ma quando alzò lo sguardo, per parlare ancora con Angelo e calmarlo, si accorse che era rimasto da solo, i lampi e le nuvole nere, seguivano un uomo da lontano! Angelo era già al lato nord della Rivelazione Centrale di Villa Giulia, correva fuori dai labirinti verdi, ignorando i labirinti che l’anima sua avrebbe avuto per sempre!Ma non perché era stato infettato dal retrovirus,( lo seppe dopo un mese che stava bene) bensì perché,era stato definitivamente cancellato , dal cuore dell’unica persona, dopo sua madre, che lo avrebbe mai amato, Mauro D’Argo!

10




Tatù aveva assunto un’espressione preoccupata, i suoi chiarissimi occhietti, guardavano il viso di Mauro rattristato dai suoi pensieri scuri. Con aria di circospezione saltò leggero sulle caviglie del suo papà, che era ancora steso sull’amorino, a passetti leggeri gli salì sul petto, e cominciò a dargli colpetti con la sua candida zampetta, sotto il mento. Quel tenero gesto, accompagnato dall’evidente espressione preoccupata del gattino, fece commuovere Mauro, come non ricordava più da qualche tempo. < E poi dicono che gli animali non hanno un’anima! Questa piccola palletta di pelo, si è reso conto del mio stato d’animo, mentre gli esseri umani si distraggono volentieri!> Mauro pensò che il destino, quella mattina, nonostante la sua situazione difficile, riguardo anche la compagnia umana, fosse stato generoso in quel felice incontro. Un po’ si sentiva simile a quella creatura, erano in un certo senso, soli entrambi, mentre iniziava la sua prima e penultima (inconsapevole) estate di cambiamento. Fu un’estate caldissima e anomala in tutti i sensi; quando riusciva, Mauro faceva lavoretti di piccole riparazioni, soprattutto in casa di persone anziane, rimaste sole in città. Riuscì in questo modo, a sopravvivere senza toccare i suoi piccoli risparmi; riprese contatto con alcune vecchie conoscenze, che aveva abbandonato quando era entrato nel mondo della tossicodipendenza. Alcuni di essi lo accolsero con affetto, e si comportarono con lui, come il buon padre, che attendeva il figliol prodigo. Anche se, quando poi messi a conoscenza del suo stato di salute, ebbero un affetto attento alle distanze di sicurezza! L’alone viola degli spot, lo seguiva inesorabilmente, appena qualcuno sapeva della sua situazione di salute, poco importava se era un familiare, un amico di vecchia data, o una conoscenza! C’era carestia di gesti affettivi fisici, anche i più banali e superficiali! Spesso ricordava la storia che aveva letto in un libro, e si rivedeva con gli occhi della fantasia, come il personaggio secondario di quel libro. Mantello, cappuccio e campanellino al collo, per avvertire i pellegrini che lo incontravano, che aveva la lebbra! Quell’estate sembrò interminabile, le volte che riuscì ad andare al mare di Mondello, invitato dai suoi vecchi amici, si potevano contare sulle dita di una mano sola! Erano passati due anni dall’inizio della cura con il metadone, ormai terminata, la droga era un ricordo lontano, e sempre più spesso, quando si guardava allo specchio la mattina, ritrovava lo sguardo bello che aveva una volta. Gli salivano agli occhi le lacrime, a pensare a sua madre, che finalmente ora, lo rivedevano bello anche dentro! Anche Flavia glielo aveva detto, quando un pomeriggio era andato a trovarla: < E’ bello vederti con il volto e lo sguardo di una volta! Vorrei esserne felice, ma non ci riesco Mauro, ho tanta paura per te!Sono passati due anni da quando sappiamo … (fece una pausa silenziosa) e la paura invece che passare, aumenta!>. Lo disse mentre gli carezzava i capelli, e quel gesto spontaneo gli scaldò il cuore; anche se aveva espresso le sue paure, quando era il caso, forse, di tenersele per se. Infatti, di lì a pochi giorni avrebbe dovuto ritirare le ultime analisi di controllo, ma a Flavia, non lo aveva detto!  Mauro, non la giudicava per questa sua fragilità, Flavia era l’unica persona, escluso lui e molti altri, che non pensavano mai che se lo fosse meritato! Il giardino pensile, del balconcino di fronte, si stava trasformando in un quadro naif; il rosso, il giallo e il bronzo, erano pennellate nette e decise, in quel grigio fumoso dell’intonaco, reso così dall’inquinamento della grande città. A Mauro spesso piaceva immaginare di trovarsi, nelle lussureggianti campagne della Sicilia, sia per la bellezza sia adorava ammirare in quei luoghi e sia perché voleva trovare un alibi alla sua vita solitaria. “Non andava a trovarlo nessuno, perché era troppo lontano dalla città, punto!” Quella mattina di autunno, Mauro si preparava a uscire da casa, e aveva sul petto una strana oppressione, che lo tormentava da quasi quindici giorni. Un insistente raffreddore con tosse stizzosa, accompagnata da rialzi di febbre, sia pure di pochi decimi. Soffriva d’inappetenza e spesso aveva coliche, che lo tenevano in bagno anche per quattro volte il giorno. Voleva pensare di avere una banale influenza di stagione, anche se era troppo presto per le prime epidemie. Aveva preso appuntamento con il dottor Fulvio Marini, che periodicamente ripeteva le analisi del sangue, controllando così la stasi del retrovirus, e quella mattina doveva metterlo a conoscenza dei nuovi risultati. Mentre finiva di radersi, e gli occhi li vedeva belli, come una volta, aveva l’impressione di essere cambiato nel volto. Gli zigomi gli sembravano più evidenti, era sempre stato magro, ma adesso gli sembrava lo fosse un po’ troppo. Forse era per quella diarrea che lo tormentava spesso, ma era solo uno stato influenzale; scoprirsi così apprensivo gli provocò un moto di rabbia. Risciacquò il viso, con acqua gelida, per poi strofinarsi con l’asciugamano, così forte, che sembrava volesse usarla come una grande gomma, per cancellare i suoi cattivi pensieri!



L’aria fresca del mattino gli schiarì quella piccola nebbia che aveva intorno alla testa, fu come una carezza delicata, per la sua anima inquieta! Anche quel mattino, dopo due anni dalla scoperta della sieropositività, “sentiva” che era un giorno diverso dagli altri. In quei due anni di cure, per tenere a bada il retrovirus, Mauro, sgombro dalla coltre della droga, che non gli permetteva di essere sempre lucido,aveva riacquistata la sua lucidità, nella sua spiccata sensibilità! Avvertiva che qualcosa stava cambiando, il suo corpo gli stava dando dei segnai precisi, ed il dottor Marini aveva un ombra sul volto, quando dopo la visita fattagli  una settimana prima,gli disse che si dovevano fare al più presto tutti i controlli del caso! La strada era ancora umida, dalla prima pioggia caduta, che aveva spazzato via quelle giornate di vento bollente di scirocco, che distinguono da sempre l’estate Siciliana. L’autunno, nella sua terra però, non cancellava ancora le belle giornate tiepide e terse, che spesso si mantenevano così belle fino a quasi Natale. L’inverno durava poco in Sicilia,eppure Mauro aveva l’impressione, che il “suo inverno” era appena iniziato;voltò l’angolo, e la struttura dell’ospedale si stagliò di fronte al suo sguardo smarrito. L’attesa nell’atrio ,che immetteva i pazienti del reparto infettivo, all’ufficio del medico, durò pochi minuti,un’infermiera di mezza età, invitò Mauro ad accomodarsi nell’ambulatorio del dottor Marini. Una stretta di mano, uno sguardo sfuggente del medico e uno indagatore di Mauro;si sedettero e Mauro cominciò a sentire le prime fredde  parole mediche che lo introducevano all’inizio del suo calvario. <Dalle analisi si evince che lei ha Il virus da immunodeficienza umana, conosciuto come Hiv, causa l’Aids infettando e danneggiando parte delle difese del corpo, contro le aggressioni esterne, i linfociti in particolare, che sono un particolare tipo di globuli bianchi che nel sistema immunitario hanno il compito di scacciare i batteri e virus invasori. Il virus HIV attacca specifici linfociti, chiamati cellule T-helper (conosciute anche come cellule T), prende il sopravvento su di esse e si moltiplica. Questo processo continuo, distrugge altre cellule T, compromettendo cosi la capacità del corpo di reagire a insulti esterni attraverso il sistema immunitario. Quando il numero di cellule T diminuisce considerevolmente, si è più predisposti ad altre infezioni, che un corpo sano normalmente sarebbe capace di combattere. Questa ridotta immunità (immunodeficienza) è conosciuta come AIDS e potrebbe trasformarsi in gravi infezioni minacciose per la sua vita. La conta dei suoi linfociti è particolarmente bassa, allora siamo costretti a cambiare completamente la cura; che purtroppo dopo due anni, non è riuscita a bloccare il retrovirus …>.Quella voce, Mauro,la sentiva dentro l’anima,asettica, lontana, come se venisse da un altro pianeta. Mentre lui si sentiva sospeso fra gli incubi che aveva fatto due anni fa, e la realtà che si apprestava a vivere. La realtà era ancora più spaventosa degli incubi stessi, poiché non sarebbero stati sogni dai quali risvegliarsi, ma vita reale alla quale non puoi sfuggire! Costretto ad affrontare gli ostacoli, combattere il dolore e vincere le battaglie, per attaccarti alla vita il più a lungo possibile!Aveva solo trentadue anni, e mentre ascoltava il proseguo del discorso medico, ebbe l’impressione che essa viaggiasse a una velocità supergalattica. Realizzò con terrore, in quel preciso istante, che la sua vita volgeva a tagliare il traguardo della fine; quando invece a quell’età avrebbe dovuto appena cominciare l’alba!


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Un giovane uomo tornava a casa portando il mondo sulle spalle; la disperazione che provava nell’anima era così profonda, che rese mute le sue lacrime. Nei giorni a venire passò le giornate, fra il letto e il divanetto, scrupolosamente seguito in ogni suo passo, da un Tatù attento a ogni sua emozione. Flavia andò a trovarlo, invitata da una sua telefonata, nella quale Mauro si espresse quasi a monosillabi. Come dire a sua sorella che non aveva speranze, né possibilità fisiche di lavorare, anche se per assurdo gli avessero dato un lavoro?Si sentiva imprigionato in un angolo di mondo, ove diveniva invisibile agli altri esseri umani, mentre il mondo, lo rigettava fuori dalla vita, verso chissà quale dimensione! < Chissà se … c’è una vita dopo?>.Le classiche domande di chi deve tirare le somme della sua vita, anche se breve! <E se c’è una vita dopo… dove andrò e chi mi accoglierà ?>Turbini di pensieri a cascate, gli fluivano dalla testa in quei giorni, aveva vinto la lotta contro la droga, ma il sigillo indelebile di quella carogna che essa era stata, lo avrebbe accompagnato sino alla fine!Fu nel mese di Settembre che Mauro, esausto per i suoi continui malesseri, fu ricoverato per la prima volta in ospedale, per una doppia polmonite. Aveva preso scrupolosamente tutte le medicine del caso, il dottor Marini lo seguiva come un padre. A Mauro non era bastata la sua meticolosità nel prendersi cura di se e della sua casa. Doveva tenere la sua piccola casa, quasi asettica come un ospedale all’avanguardia! Era quasi privo di anticorpi, e ogni cosa che lo circondava, doveva essere linda e pinta; passava così, infatti, le sue giornate, a pulire l’appartamento, quando si sentiva abbastanza bene, mentre Tatù si divertiva a correre dietro la scopa. Ogni settimana Flavia andava a trovarlo, appena aveva una pausa, fra le figlie, il marito e il lavoro, aiutandolo come poteva nelle cose di casa, il pranzo e le attente coccole, ”poco invadenti”. Quel mattino del 18 Settembre era venuto a prenderlo, per portarlo in ospedale, sua sorella Flavia; non c’era nessuno con lei ad aiutarla, ma non era una cosa nuova per Mauro! Voleva raccontarsi che non gli importava nulla, se si vestiva di cinismo, contro l’inumanità “degli altri”, sopportava meglio la sua triste emarginazione! Esserlo per gli altri, forse era anche normale, ma essere infrequentabile, per i parenti, era una vera indecenza!Tatù entrò in macchina con loro, dopo la sua adozione, era la prima volta, che andava a stare in un’altra casa, Flavia se ne sarebbe presa cura. Nonostante l’ora presta, il traffico nella zona storica era intenso, la gente si recava al lavoro, i bambini a scuola, gli ambulanti aprivano i mercati, l’umanità viveva la solita vita insomma, che per Mauro non era più scontata ora, come per tutta quella gente!Palermo era immersa in una luce stupenda, sembrava ancora estate quel giorno, Mauro guardava fuori dal finestrino, con gli occhi arrossati dalla febbre che non lo lasciava in pace da giorni. Il suo sguardo era melanconico ma adorante, amava moltissimo la sua splendida città, guardava avidamente ogni cosa, come a imprimersi ogni immagine, affinché fossero foto nella memoria, da tirare fuori dai cassetti, quando sarebbe stato necessario. E aveva fatto bene a farlo,poiché quei giorni interminabili del suo primo ricovero, lo videro in una stanzetta a due letti, tristemente da solo. L’unica persona che vedeva spesso, era l’infermiere che era di turno, quel preciso giorno e quelle stesse notti. Quando si svegliava al mattino, il suo respiro era più libero e leggero, durante la notte, infatti, aveva dei forti rialzi di febbre, che gli impedivano l’ampia respirazione. Era angosciante sentire e sopportare i gorgoglii e i crepiti, che venivano dal suo petto; e quando riusciva a dormire un po’, s’incontrava inevitabilmente con quel maledetto drago! Mauro capì in quella settimana di ricovero, cosa volesse dire Albert Einstein, quando disquisiva sulla teoria della relatività!Quella settimana per lui, era durata un mese!



Tatù era molto felice di ritrovarsi a casa sua, e non vedeva l’ora di rivedere il suo papà, Flavia lo aveva riportato nell’appartamento, di primo mattino, per poi andare a prendere Mauro che veniva dimesso dopo l’ora di pranzo. Se ci fosse stato qualcuno a filmare quella scena del rientro di Mauro e dell’accoglienza che ebbe Tatù per lui, sarebbe stato un bel ricordo da far vedere ai posteri, che vigliaccamente abbandona gli animali per strada! Il sorriso di Mauro, si disegnava su di un volto smagrito, che sembrava avergli ingrandito gli occhi smeraldo ma Tatù possedeva il sesto senso, e sapeva “vedere” la bellezza e la radiosità della sua anima! E quando il suo papà lo prese in braccio per carezzarlo, risentì in lui, l’infinita protezione affettiva, della quale aveva bisogno, sia lui sia il suo papà; per Tatù, il viso del suo papà era sempre bellissimo! Per molti giorni, Mauro non ebbe bisogno di scendere a fare la spesa, Flavia aveva pensato a tutto; e almeno l’incombenza di uscire, e non ultima quella di spendere, ciò che ormai non aveva quasi più, era risparmiata alle sue concrete preoccupazioni. Ritornando a casa però, risentì pesantissima la solitudine; in ospedale vedeva ogni giorno almeno un essere umano, lì no! Le giornate, sembravano interminabili, e lui cercava di occuparle leggendo, guardando la tv, giocando con il suo gattino, osservando Cipì che di nascosto del gatto, mentre lui sornione dormiva acciambellato sulle gambe di Mauro, andava a bere l’acqua dal tapiro gigante. Era un pomeriggio di Ottobre inoltrato, quando Mauro fu attratto dalla voce di una donna, che parlava sommessamente e con estrema gentilezza in tv. Era una trasmissione sociale, in voga alla fine degli anni ottanta, (Canale Cinque per Voi, condotto da Rita Dalla Chiesa) che si occupava di dare aiuto concreto alle persone in grande difficoltà. Mauro ascoltò il caso del giorno, e fu colpito dall’affabilità del conduttrice televisiva, si vedeva chiaramente che quella persona era davvero attenta all’ascolto dei problemi! Mauro aveva fatto domanda d’invalidità, aveva chiesto aiuto al comune di Palermo, per avere la possibilità di continuare a pagare l’affitto di quella casa, ed anche di nutrirsi come doveva; ma di risposte non ne era giunta alcuna! Si consultò con Flavia, per avere anche da lei una dritta, sulla sua idea, e sua sorella non sola gli diede il suo assenso, ma gli promise che avrebbe messo da parte dei soldi, di nascosto del marito, per pagargli il biglietto aereo, semmai fosse riuscito a essere ammesso alla partecipazione della trasmissione. Mauro era riuscito ad attaccarsi a una nuova speranza, forse qualcuno gli avrebbe permesso di dare suono alla sua voce, che da troppo tempo restava sospesa in aria, come capita ai pesci negli acquari! E grazie a quella speranza, che diveniva sempre più reale, mentre prendeva contatti fattivi con le segretarie gentilissime di canale cinque. Le sue giornate si trasformarono, in un’attesa, con ansie liete. Come capita per paragone assurdo, ai bambini chiusi negli orfanatrofi, mentre attendono la visita dei genitori adottivi!  Un Ottobre rosso e oro, dipinto sulle foglie del giardino pensile di fronte al palazzo, lasciava il posto a un anomalo e caldo Novembre, che aveva ancora i colori del bronzo e l’odore della salsedine portata dal maestrale. In questo quadro, dai colori sfumati leonardeschi, si realizzò il desiderio di Mauro; il telefono squillò alle 14,00, una voce femminile quasi flautata, gli stava dicendo la data della puntata, nella quale lui avrebbe partecipato come ospite.


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Incredibili sono, nella loro assurdità, i giochi della mente umana! Nulla era cambiato in sostanza dalle dimissioni di Mauro dall’ospedale, eppure nel suo animo c’era una serenità stupefacente! Era bastata l’attenzione a quella voce in tv, la idea, come lampadina illuminante di cogliere un’occasione, il coinvolgimento di Flavia che lo sosteneva, e una telefonata che aveva accolto una richiesta di auto! Pochi elementi, ma quanto bastava per lasciare entrare un po’ di sole dentro il cuore, Mauro si preparava al grande evento! Dentro di sé, si tracciava il progetto mentale che stava partorendo; non sarebbe andato solo per chiedere aiuto a quella trasmissione. Nelle sue intenzioni c’era anche un altro scopo, che forse, a dirla tutta, era ancora più importante dell’aiuto materiale; Mauro intendeva denunciare apertamente la situazione umana ingiusta, sia fisica sia mentale, vissuta in sostanza da tutti gli ammalati di Aids! Nell’anno 1989, non si parlava molto di questa malattia come si sarebbe dovuto fare; sia per poterla evitare, in tutti i ceti e gli stati sociali, e sia per come viverla e affrontarla, accanto a chi l’aveva, mentre tu eri sano!Persino i medici ne avevano un’informazione errata, per quanto riguarda la trasmissione, e quest’atteggiamento anche dei cosi detti uomini di scienza, influiva molto, sulla massa delle persone che ignoravano del tutto la medicina! Mauro voleva farsi sentire in tutti i sensi, si faceva promotore, in prima persona, mettendoci la faccia! Non aveva fatto i conti con i suoi fratelli, cognati e alcuni nipoti! Quando disse a Flavia le sue intenzioni, notò che una lieve ombra passò sul volto della donna; la scorse solo per un secondo, poichè Flavia si era velocemente voltata per deporre nella sua valigetta, la biancheria lavata e stirata da lei. Le antenne di Mauro avevano colto il segnale, si chinò mettendo le sue mani sulle sue, mentre sistemava le calze, e delicatamente la fermò, invitandola ad alzare il suo volto e a guardarlo negli occhi. < Perché hai lo sguardo contrariato Flavia, cosa succede che io non so!> Flavia si sedette lentamente sulla sponda del grande letto di Mauro, con le spalle curve e il capo rivolto in basso, a voce bassa e titubante disse: <I i nostri fratelli con relative mogli ed alcuni nipoti, si vergognano di essere associati a te. Non vogliono che tu parli di loro, e neppure vorrebbero che tu mostrassi il viso alle telecamere.  Hanno detto che molti ancora dei nostri e loro amici, non sanno della tua malattia, e che andare in tv è come rendere, pubblica la loro vergogna!> Mauro si sedette lentamente sulla sedia di tela gialla, di fronte al comò laccato di bianco, si passò fra i capelli bruni e lucenti, le lunghe ed eleganti dita, come a tentar di placare il marasma che stava per scoppiare nella sua testa. Fece una pausa, che sembrò interminabile a Flavia, che notevolmente dispiaciuta lo guardava con occhi supplichevoli. Mauro respirò profondamente e con voce che tratteneva a stento la rabbia, disse: < Sono io a vergognarmi di loro! E’ una vita che si vergognano di me! Ed io stupido, ho lasciato che la loro vergogna, fosse un alibi per me, quando il dolore rendeva tutto insopportabile, mi sono fatta amica la droga, le cattive compagnie! Ed ho pensato che fosse sbagliato amare una persona del mio stesso sesso, ho creduto di essere sempre sbagliato, e che gli altri avessero ragione a emarginarmi! Ed è invece, per una vergogna non mia, che ora raccolgo i frutti del mio dolore, e della mia stessa fine sorella cara! Sai, mi sono chiesto diverse volte, cosa è stato a infettarmi, una siringa scambiata, con uno dei miei “amici” di sventura, o l’amore che ho dato e ricevuto? Che cosa è stato che mi ha ridotto così oggi! E’ stato il “non amore sorella mia”, l’ignoranza mia e soprattutto la loro, che erano più grandi, e avrebbero dovuto amarmi, guidarmi e accogliermi, così come sono! Perché non c’è nulla di male, ad avere un cuore di donna, pure avendo il corpo di un uomo! Dì loro, visto che sono la loro vergogna, che io sono stato solo maledettamente sfortunato, e che la malattia che ho io, la possono prendere anche loro, quando tradiscono le loro mogli, solo per vizio! Dì loro, che l’aids non è il male dei froci e dei drogati; ma anche il mal costume che vive tantissima gente! Gli è andata solo bene fin ora, diglielo, che il mio avvertimento vestito di rabbia, è solo amore nei loro confronti, e digli anche che è l’amore a salvare una vita! Dì loro, che sono i pregiudizi e l’ignoranza ad affondare, prima un’anima e poi un corpo!!> Le lacrime gli scendevano cocenti , sul volto alterato, che aveva ripreso colorito dalla sua stessa rabbia. Sotto il pallore costante della sua pelle c’era una fiamma che bruciava come lava incandescente! Tutto ciò che voleva dire in una vita intera, lo aveva detto in pochi secondi. Flavia si alzò e gli andò incontro e mentre Mauro, accasciato sulla sedia, piangeva senza riuscire a controllarsi, Flavia lo strinse al suo petto dicendogli semplicemente: < Perdonami, perdonaci fratello mio!> Scese in quella piccola stanza, fatta di pochi mobili, un silenzio irreale, Mauro aveva smesso di piangere. Mentre, cullato dalle braccia di sua sorella, che continuava lentamente a carezzargli i capelli, sentì che quello sfogo fatto a lei, lo stava avvicinando moltissimo a una futura intimità tra fratelli, che fin dalla nascita non c’era mai stata. Sentì come non mai, la vicinanza delle loro anime, che finalmente si leggevano totalmente al femminile, quelle parole dette come un fiume che rompe gli argini, aveva permesso l’incontro di due sorelle!

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Era il 10 Novembre, il giorno della sua partenza per Roma, l’ultima volta che l’aveva vista, era stato cinque anni prima a un concerto, andato ad assistere con i suoi vecchi e sbiaditi amici di sventura. Una sottile pioggerella marcava e rendeva lucenti i colori delle cose, mentre l’odore muschiato dei giardini, era musica per il suo olfatto. Mauro aveva sempre amato l’odore della terra bagnata, e mentre il taxi procedeva per l’aeroporto di Punta Raisi, s’inebriava di quelle fragranze, pensando che quella pioggia leggera, fosse la benedizione di Dio, mentre lo accompagnava nella sua nuova avventura. Ne aveva un estremo bisogno, di quella speciale benedizione, poiché non era più protetto dalle pareti immacolate della sua casa; ora era esposto a ogni germe o batterio che poteva attaccare le sue difese immunitarie ridotte. Cercò di non pensarci, poiché già doveva tenere a bada il timore e l’emozione di andare addirittura in televisione a raccontare la sua storia, a una perfetta estranea! Era solo in quel viaggio, poteva e doveva contare solo su se stesso! Fece le cose con estrema calma, stando attento a tenere sempre le mani, lontane dalla bocca e dagli occhi. Così gli aveva consigliato il medico, finché non avesse avuto la possibilità di lavarle, le teneva lontane dal suo viso. L’aereo non era ancora in assetto di volo, avevo il muso puntato in alto, e la sagoma della stupenda Sicilia, scivolava sotto i suoi occhi. Contornata da acque, blu cobalto, azzurro indaco, verde smeraldo e grigio argento, la sagoma della regione diveniva sempre più piccola. Ed ecco il velivolo che fendeva le nuvole, traversandole come ago nella bambagia, ora si trovava su di esse in assetto di volo, e le nuvole sotto la carlinga, sembravano colline di neve grigia, poi bianca immacolata, sopra un cielo limpido e terso, dove la pioggia non c’era più. La trasmissione sarebbe iniziata alle 15,00, Mauro arrivò a Fiumicino verso le 10,00, appena atterrato, un nuovo taxi lo portò all’albergo che gli aveva assegnato la produzione di canale cinque, ebbe tutto il tempo di fare una doccia calda, stendersi sul letto, per riposare un po’, non solo il suo corpo stanco, ma anche le sue emozioni che tentavano di sopraffarlo. Alle 13,30 un uomo tarchiato, elegante e gentile, bussò alla porta della sua stanza, gli strinse la mano con molta energia, e con un sorriso aperto e allegro lo invitò a seguirlo giù in strada, una macchina scura e lucida lo stava aspettando. Arrivato agli studi della Fininvest, come si chiamava allora, Mauro fu accompagnato in un camerino, era piccolissimo, ma non mancava nulla. Si sentì a suo agio, gli sembrava quasi familiare quella stanzetta, c’erano mobili essenziali e bianchi, un po’ com’era casa sua. Su di un tavolino sotto la finestra, che dava lo sguardo a un giardinetto, osservato dal quarto piano, c’era un pranzo completo per lui. Con grande sollievo di Mauro, le vaschette che contenevano il pranzo, erano tutte ben sigillate, così anche le posate di plastica bianca; aveva una gran fame, e mangiò con gusto, anche se l’emozione tentava di prevalere sul suo stomaco. Finito il pranzo, stava osservandosi allo specchio, contornato di tante luci tonde, che era di fronte al tavolino; osservava la sua figura alta e slanciata. Quel giorno aveva indossato jeans blu’ scuri e una camicia bianca a maniche lunghe, striata di finissime righe blu’, stava passando un pettine fra i capelli, quando bussarono alla porta. La figura esile e minuta, di una donna bionda, vestita di un tenerissimo sorriso, si presentarono alla porta, e Mauro risentì nel cuore, la calma che aveva provato quel giorno, quando fu attratto dalla sua voce in tv; era Rita Dalla Chiesa. La conduttrice, aveva l’educata abitudine di conoscere i suoi ospiti, prima dell’entrata in studio di registrazione e quando si sedettero, sul piccolo amorino color crema, che era nel camerino, svelò con naturalezza la sua capacità di mettere a proprio agio il suo ospite del giorno. Mauro parlò di se stesso, ed anche dell’intenzione di denunciare la situazione sociale e psicologica di tutte le persone che si trovavano nelle sue stesse condizioni. La signora Dalla Chiesa fu piacevolmente colpita dalla rivelazione, poiché era da lungo tempo che aspirava a parlare di tale argomento, tenuto ancora sotto tono, da molte altre trasmissioni; e quando apprese le intenzioni di Mauro, le venne spontaneo stringere fra le sue mani, delicatamente, una delle mani di Mauro, sorridendo con tanta tenerezza materna. Mauro ne fu colpito moltissimo, poiché era la prima persona, che pure essendo a conoscenza della sua malattia conclamata, gli stringeva le mani senza paura, con l’aggiunta di tanta dolcezza. Mauro finì il discorso, spiegando dettagliatamente e con molta sofferenza, che l’intervista doveva essere fatta di spalle alla telecamera. L’atteggiamento umano, senza nessuna forma di pietismo, che aveva avuto quella donna nei suoi confronti, gli fece perdere le ultime resistenze, timori e imbarazzi, Mauro parlò come un navigato ospite ed anche opinionista, avvezzo al teleschermo. Disse della sua vita, della sua famiglia, e i rapporti inesistenti, parlarono della sua malattia, della sua ingiusta solitudine, delle paure inutili che la gente aveva verso questo male. Fece un appello al comune di Palermo, affinché le sue pratiche di richieste d’aiuto, fossero snellite dalla burocrazia, che aveva più lunghezza della sua stessa vita. Parlò ai giovani, come può fare un fratello maggiore, invitandoli a non offendere con i propri comportamenti sbagliati, la sacralità della vita. La musica delicata, che finiva la puntata, era diffusa nella sala di registrazione, mentre i titoli di chiusura scorrevano sotto lo schermo di tutte le televisioni Italiane; la signora Rita Dalla Chiesa diceva: < Abbiamo avuto nostro ospite, il signor Mauro D’Argo, che ha voluto condividere con noi la sua sofferenza, esprimendo i suoi disagi e la sua emarginazione con un’estrema dignità. Disagi che sono purtroppo, all’ordine del giorno, sia contro l’omosessualità e sia contro la non conoscenza dell’aids; malattia che può contrarre, qualunque persona, indipendentemente dalla sua sessualità. E mentre gli assicuro il nostro appoggio, nel risolvere le problematiche burocratiche, lo saluto con affetto rivolgendomi anche voi, cari telespettatori. Se qualcuno desidera corrispondere con il signor Mauro D’Argo, per aiutarlo a sentire meno la sua solitudine, e perché no, a dargli anche nel frattempo, un piccolo aiuto economico; scriva o telefoni, alla nostra trasmissione, Canale Cinque Per Voi, In Via … o telefonando al numero in sovra impressione. Sarà nostra cura accertarci che il signor D’Argo riceva la posta, scegliendo lui stesso di dare o no il proprio indirizzo personale. Buon pomeriggio amici, e a lei signor D’Argo, tanti affettuosi e sinceri auguri! A domani! >.


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I rumori della costiera Amalfitana, giungevano di rado in quel periodo, alle orecchie della gente che vi abitava. Durante il mese di Novembre il turismo era quasi inesistente, i piccoli e brillanti paesi che la costeggiavano, erano più a dimensione d’uomo. Era da alcuni giorni, che la pioggia batteva fine e insistente, la costa che correva sul mare, sembrava velata da una melanconia piacevole. Forse dava questa sensazione di piacevolezza, perché dopo i troppi frastuoni dell’estate, era piacevole riuscire ad ascoltare finalmente, i suoni della sola natura. Vietri Sul Mare era ed è, il primo paese che dall’accesso alla costiera, infatti, è spesso chiamato, la finestra della costiera Amalfitana. Le case, si adagiano su di un colle, a cinquanta metri in linea d’aria dal mare, ai suoi piedi, infatti, si stende la sua piccola Marina, che sostanzialmente era composta di un micro paese appendice del superiore più esteso. C’erano, infatti, poche case, due chiese, un esteso giardinetto di passeggio, con piazzole fiorite e panchine, costeggiante per tutta la sua lunghezza, da stabilimenti balneari lungo tutta la spiaggia, che non superava i seicento metri. Tutti i paesi della costa erano fatti similmente, e quando si annunciava la venuta dell’inverno, per chi vi era stato anche in piena estate, aveva un impatto completamente opposto! Dalla folla incredibile, che vociava per le stradine e le spiagge, che sembravano non riposare neppure la notte, fatta di ninight nightclub e discoteche rombanti; passava a quella dolce melanconia, che rinfranca lo spirito, mettendoti finalmente in contatto con lo splendore unico della sola voce della natura. Leda, vi era nata in quel posto meraviglioso, aveva provato anche a viverci lontano il primo anno di matrimonio, infatti, abitava nella vicina città di Salerno; ma poi si era trasferita di nuovo nel suo paesino Natale, a tre mesi dalla nascita della sua prima figlia. Quel pomeriggio, come milioni di persone, stava seguendo la trasmissione appena andata in onda; era ancora seduta in mezzo al letto, con il tavolino sulle gambe e il foglio di carta su di esso. Da venti minuti teneva la penna sospesa a mezz’aria, senza scrivere più un rigo della lettera che stava riunendo, rimise la penna sul foglio proprio mentre Rita Dalla Chiesa dava il recapito della redazione e il numero telefonico. Lo fece in automatico, come se vi fosse qualcuno che, spingesse la sua mano destra a scrivere, fu quasi un riflesso della mano, suggerito da una volontà esterna sconosciuta. Aveva le lacrime agli occhi, e non sapeva bene per quale ragione stesse provando tanta tristezza. Leda, era “diciamo” abituata, a seguire e curare casi umani complessi e dolorosi, da quando aveva avuto il forte desiderio di sentirsi utile agli altri; ma era la prima volta che accadeva tramite l’ascolto di una trasmissione televisiva. In genere lei scriveva a persone che aveva conosciuto fattivamente, ma … quel ragazzo, di spalle … la sua voce … il suo tono … le sue pause, le fece scattare una luce dentro l’anima. Telefonò alla trasmissione per tre giorni di seguito, il numero era sempre occupato, ma lei non si perse di coraggio; il quarto giorno finalmente le rispose. Era la prima volta però, che si sarebbe occupata di un ammalato di aids, non conosceva nulla di quella malattia, la tv ne parlava poco, non sapeva neppure da dove cominciare! La sola cosa che aveva pensato, ascoltando quell’intervista fatta di spalle, era che quel ragazzo aveva bisogno d’aiuto e basta! Le sue giornate, fra la casa i suoi figli, Angelica di sedici anni e Riccardo di dieci, più il marito, erano già di per sé pienissime. Lei moltiplicava le ore del giorno, rispondendo al telefono, alla gente che chiedeva un consiglio o una consolazione! La sera faceva sempre tardissimo, perché scriveva ai carcerati, ai ragazzi nelle comunità di recupero e alle madri in ambascia. Da quando aveva avuto un’esperienza spirituale inattesa e assolutamente illuminante, non poteva fare a meno di occuparsi degli altri, oltre la sua famiglia. E spesso a dire il vero, qualche volta, senza accorgersene, trascurava la sua; quando era invitata a vivere anche fuori di casa, il suo impegno sociale. Passarono più di dieci giorni, prima che Leda riuscisse a mettere la penna sul foglio, poiché scrivere a quel ragazzo, era una cosa che non sapeva neppure da dove cominciare. Non sapeva nulla di quella malattia, sennonché fosse di sicuro mortale; come consolare, aiutare e sollevare una persona con tale croce? E soprattutto come evitare di scrivere magari qualcosa, che potesse urtare la sensibilità di una persona così lontana, anche dal suo abituale contesto sociale? L’undicesimo giorno, appena sveglia, mentre prendeva la sua tazza d’orzo caldo, si scrollò finalmente di dosso quella sensazione d’incapacità e d’inutili timori, dicendo a se stessa: < Mi spinge la volontà di aiutare, consolare e offrire un appoggio, a una creatura che non conosco! Se questo accade, non è certo suggerito da me, allora tendo la mia mano destra a te Mamma del Cielo, mi affido a Te nello scrivergli; e tutto ciò che non so dire io, per favore Dillo Tu!>. La chiesa madre suonava mezzogiorno, quando Leda scese le scale per andare a imbucare la lettera indirizzata alla redazione di Canale Cinque Per Voi. Mancava un’ora alla partenza di tutte le lettere giornaliere del suo paese, e quando la mano di Leda si allontanò dalla buca, lei ebbe la percezione viva in se stessa, che tante cose riguardo alla visone che lei aveva avuto fin ora della vita, da quell’istante sarebbero cambiate per sempre!

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Via Maqueda aveva una luce diversa quel mattino di fine Novembre, le vetrine dei negozi incominciavano a proporre i primi accenni Natalizi. Non era insolito, infatti, vedere, persone arrampicate su piccole scalette, mentre tendevano luci colorate e festoni da esterno, che fra non molto avrebbero illuminato le festività. Mauro percorreva la strada fermandosi piacevolmente incuriosito, faceva molte soste per osservare il lavoro dei vetrinisti, e ogni volta che osservava una nuova vetrina in costruzione per il Natale, gli sovveniva alla mente, i ricordi del cuore più piacevoli dell’infanzia, Quando mano nella mano di sua madre, indicava con il ditino, il giocattolo che avrebbe voluto avere, scrivendo insieme a lei la letterina alla Befana. Al sud dell’Italia, in quegli anni, infatti, si dava la preferenza alla Befana, più che a babbo natale. Quel ricordo struggente gli provocò un senso di piacevole dolore, poiché le immagini che sfogliava il suo cuore, erano di momenti felici sì, ma che oggi, sottolineavano ancora di più la sua profonda solitudine. Stringendosi al collo il bavero dell’impermeabile, si voltò di scatto, percorrendo gli ultimi metri che lo separavano dall’entrata del suo palazzo. Non voleva pensare alla sua solitudine, e quasi gli sfiorò il pensiero di dire; maledette festività! Si trattenne a quel pensiero che poteva offendere il Dio ritrovato da così poco tempo, infilò il portone, con la speranza di trovare anche quel giorno un pacchetto di lettere mandatogli dalla redazione di Roma. Con sua grande gioia, notò che la cassetta di ferro battuta, allineata alle altre degli inquilini del palazzo, era piena! Da quando aveva partecipato a quella trasmissione, ogni settimana Mauro riceveva una serie di lettere, scrupolosamente accumulate dagli impiegati della redazione di Canale Cinque Per Voi; era lui stesso poi a scegliere, a chi dare il suo indirizzo per le comunicazioni epistolari dirette. Appena fu nell’appartamento, pensò alle incombenze del pranzo, sia suo sia quello del piccolo Tatù, non vedeva l’ora, venisse quell’ora speciale della giornata, che nacque dai risultati della sua partecipazione al programma! Quell’ora del giorno, che lo faceva immergere, tramite una semplice lettera, in quei rapporti umani di confidenza e affetto, così normali per gli altri, ma straordinari per lui. Aveva degli amici che conversavano con lui, e anche se ciò avveniva tramite lettere, lui cercava di immaginarsi un piccolo salotto, dove dalla 15,00 alle 18,00 s’intratteneva con i suoi amici che lo venivano a trovare. Questo avveniva ogni volta che apriva una lettera, era come aprire la porta della sua casa, a un nuovo o una nuova amica che andava a trovarlo; spezzando finalmente la sua pesante solitudine umana. Si sedette sul suo amorino, Tatù che era diventato prepotente, perché sapeva di poterselo permettere, si fece spazio al suo fianco, tra la spalliera del divanetto e le gambe del suo papà; si acciambellava metteva il moto il suo “motorino”, per comunicare il suo affetto e la gratitudine per il pancino pieno, per poi addormentarsi beato al suo fianco. Se ci fosse stata una presenza invisibile in quella casa, si sarebbe divertita a guardare il volto di Mauro, mentre scorreva le parole delle varie lettere. La mutevolezza delle sue espressioni, quasi rivelava il contenuto di ogni letta; un mezzo sorriso, un fremito del labbro inferiore, rivelavano momenti di gioia e momenti di commozione. Ora il suo viso sembrava felice, anche se mentre i suoi occhi scorrevano le parole di quella piccola lettera dalla busta giallo paglierino, si affacciò un rivolo di lacrima che non fece in tempo a fermare con la mano; si stampò sul foglietto colorato, come a sigillo di un inconsapevole patto fraterno!


Vietri Sul Mare 20-11-90

                                                                                                                                                                           Caro Mauro,

Alcuni giorni fa, ho visto e ascoltato la tua storia in tv e ne sono stata notevolmente colpita. Sento parlare in tv dell’aids, ma a essere sincera, non conosco bene l’argomento. Ciò che mi ha colpito moltissimo, oltre al sapere della tua disgrazia di salute, è stato il costatare che sei una persona quasi completamente sola, ed io non capisco perché nella vita, possa accadere una cosa così tremenda! E mentre ti ascoltavo, mi sono detta; “oltre il sapere di avere una vita breve, sono anche scansata e tenuta lontana da chi più dovrebbe amarmi d’istinto?” Questa è la cosa, che più di tutte, mi spinge a scriverti Mauro! Il desiderio, senza ragione, di farti sapere, anche se non ti conosco, e forse non ti conoscerò mai, che tu non sei e non sarai mai da solo! Io credo che se il cuore umano, nella vita non offre ciò che di bello ha, non avrà mai modo di divenire grande! E credo fermamente che la grandezza di un cuore, di conseguenza, sia proporzionata, all’aiuto che gli altri ti permettono di dare! Per tale ragione ti domando se vuoi accettare la mia amicizia epistolare fraterna; poiché credo che aiutando te, io possa arricchire me stessa, imparando meglio a vivere la vita, come mamma di futuri adolescenti e moglie. Ho trentacinque anni e sono una semplice casalinga, mio marito è un operaio, ma nella mia casa c’è tanta ricchezza di amore e unione, vorrei dividerla anche con te se me lo permetti, poiché so che sono le gocce a fare il mare! La mia sarà magari solo una goccia mauro ma messa insieme a tutta la gente che sicuramente ti scriverà, diverrà quel piccolo mare d’affetto fraterno, e di aiuto fattivo economico, che forse renderà la tua vita meno solitaria e meno difficoltosa, nell’affrontare la quotidianità. Mentre attendo di avere una tua risposta di assenso, t’invio con tutto il cuore, la mia preghiera quotidiana a Dio e un abbraccio fraterno, unita ai miei ragazzi e mio marito.

Con affetto Leda

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Aveva letto tutte le lettere, da quando le riceveva, ne aveva visionate venti, non si aspettava che lo avrebbero messo in contatto così tante persone in così poco tempo dalla trasmissione. Quel giorno decise di fare di esse, una scrematura, poiché c’erano alcune lettere che istintivamente avvertiva, non provenivano da persone che volevano davvero aiutarlo. Nonostante le buone intenzioni scritte in esse, Mauro si accorse che alcune persone erano spinte solo da una morbosa curiosità e basta! Forse la vita che aveva vissuta fin ora, lo aveva reso troppo diffidente e prevenuto sulle intenzioni reali della gente, ma decise di fidarsi del suo intuito, e quando cominciò a rispondere alle lettere, la maggior parte le inviò alla redazione, che le avrebbe poi spedite alle persone titolari delle risposte; solo a tre lettere, rispose direttamente al mittente che era dietro la busta, e fra le tre, scelse anche Leda. Quella donna, che aveva solo tre anni più di lui, madre di due figli, dalle espressioni semplici e dirette, lo aveva emozionato inspiegabilmente. Rilesse quella lettera tante volte, poiché voleva capire, cosa in quelle semplicissime parole lo aveva catturato di più. (Tu non sei e non sarai mai da solo!) --- (poiché credo che aiutando te, io possa arricchire me stessa)--- (credo fermamente che la grandezza di un cuore, di conseguenza, sia proporzionata, all’aiuto che gli altri ti permettono di dare!). Sì, disse a se stesso, senza avere più remore, a Leda avrebbe dato il suo indirizzo! Rispose a tutte le lettere di quel giorno, ma stranamente, tenne la risposta per Leda in sospeso. Era stanco, doveva risposare, sia il corpo sia la mente, da alcuni giorni sentiva che c’era qualcosa che non andava, quella febbriciattola della malora era ritornata! Com’era ritornato il dolore colico che lo faceva andare troppe volte in bagno, l’indomani sarebbe andato in ospedale dal dottor Marini per un’analisi del sangue; aveva telefonato al medico e questo era stato il suo immediato suggerimento. Andò a letto presto, aveva dentro di sé una strana sensazione di nostalgia, di cosa nello specifico, non sapeva spiegarselo. Nella sua mente, c’era un po’ la sensazione che si ha quando ci si sente depressi, e si desidera solo chiudere gli occhi e dormire; sia per non pensare alle cose brutte e sia perché speri che nei sogni incontri momenti di felicità. Prese le sue medicine, si distese sul grande lettone e Tatù fu subito all’angolino sinistro del materasso; ove Mauro aveva sempre ripiegato un vecchio plaid di lana scozzese, appunto per il suo amico a quattro zampe. Tentava di rilassarsi e non pensare alle cose brutte, nella sua mente cercava di riformularsi, tutte le frasi e i concetti più belli, che aveva letto nelle lettere dei suoi nuovi amici. Cercò di immaginare, che la sua casa fosse piena di loro concretamente, poiché quella solitudine, soprattutto la sera, gli schiacciava pesantemente l’anima. La luce che veniva dalla strada, creava nella stanza giochi di ombre, e l’antico arazzo che aveva sopra al lettone, disadorno di testiera, creava giochi di riflessi sul muro di fronte. Sembrava, con gli occhi della fantasia, ed anche un po’ per la febbre che non era ancora scesa, che i ghirigori di seta dell’arazzo, riflessi di fronte alla parente in penombra, fossero piccoli rivoli di fiumi dell’amazzonia, che si snodavano su tutta la sua grandissima dimensione, fino ai confini del mondo! E mentre seguiva con lo sguardo un filo di seta che correva tutti i tre metri, quanto era l’arazzo in diagonale, le sue palpebre divennero finalmente pesanti; in pochi secondi si ritrovò nella foresta che stava immaginando.  Faceva un caldo soffocante in quel luogo, era bellissimo sentire il frastuono di una cascata, che i suoi occhi stupiti stavano ammirando. Cadeva da una grande altezza, e man mano che si avvicinava a essa, ne sentiva la frescura che lo ristorava. Era così grande l’altezza dalla quale cadeva, che miriadi di goccioline, si perdevano nell’aria sottostante, sino a bagnare leggermente chi passava di lì a pochi metri da essa. Sembrava una pioggerella di fine estate, che cadeva sul suo corpo, e il calore soffocante che provava prima, era del tutto scomparso. La cascata finiva la sua corsa in una conca verdeggiante, ove, nel punto più tranquillo, dove l’acqua finiva la sua corsa, galleggiavano ninfee multicolori. Si spostavano lentamente, su foglie aperte a corolla, sembravano manine che sostengono gioielli preziosi. La trasparenza incredibile dell’acqua, ne rimandava al fondo del letto l’immagine riflessa, e si aveva l’impressione, che le ninfee fossero centinaia. Sotto la visione di quello spettacolo di bellezza e frescura, immerso in colori vivaci e forti, come su di una tela naif, Mauro si fermò per riposare. Sedette su di un masso levigato da acque fluite da secoli, immergendo i piedi fino alle caviglie e nel fare quel gesto, si accorse, che sia i piedi che le gambe, erano cosparsi di tante piccole piaghe arrossate e dolenti. Sino a quel momento non si era accorto di averle, e quando le vide, sentì un profondo ribrezzo per ciò che vedeva sulla sua pelle. Freneticamente cercava di lavarle, immergendo le mani a conca nel torrente freddissimo, ma non riusciva a lenire il rossore, che incredibilmente, al contatto con l’acqua le arrossava sempre di più.  Arresosi poi, all’evidente impossibilità di lenire quel tormento che vedeva sulle sue gambe, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa nascosta fra le mani, cominciò a piangere silenziosamente. Era un pianto senza sussulti, calmo, triste e rassegnato; e mentre sfogava la sua anima dolente più delle piaghe stesse, gli sfuggì una supplica che non faceva da anni: < Mamma , aiutami tu! Vieni da me per favore, guariscimi, ho tanta paura!>. La sua testa era raccolta fra le mani, e i suoi occhi non vedevano ciò che stava avvenendo di fronte a lui. Il rumore della cascata non si sentiva più, un silenzio irreale era sceso in tutta la foresta, le acque tranquille della conca erano diventate color oro e lucevano così intensamente, che si faceva fatica a guardarle. Mauro si rese conto che non sentiva più nessun suono, alzò il viso e guardò stupito di fronte a se. Era incantato dalla visione che ebbe, una ragazza giovanissima avanzava sorridente verso di lui; portava fra le mani una brocca d’oro, e ogni passo che faceva, creava intorno a suoi piedi cerchi sull’acqua dorata. Aveva lunghissimi capelli bruni, che scivolavano morbidi inanellandosi alle punte, che continuavano oltre la vita. Si avvicinò a Mauro, sorridendo con infinita dolcezza, sostenendo questa grande brocca d’oro fra le mani, quando lei fu ad un passo da lui, Mauro sentì nel cuore una gioia indefinibile! < Chi sei, un angelo?> La fanciulla si piegò su di lui, facendo inclinare la brocca, che era colma di un unguento profumatissimo, l’odore impregnava l’aria e tutto intorno alla fanciulla era iridescente, vi era un’aura bianca e intensa di luce intorno al suo corpo esile; fece scendere l’unguento sui piedi e le sue gambe. Mauro sentì una freschezza gradevole, che abbracciò tutto il suo corpo, e un’immensa pace scese dentro la sua anima quando lei, parlò, sembrava ascoltare la musica più dolce mai udita sulla terra . < Mi hai chiamata, ed io sono venuta da te! Guardati le gambe, quando sarò ritornata nei miei luoghi, e vedrai che sei completamente guarito! Io curo le anime, con l’unguento del mio amore, ora la tua anima non ha più piaghe! Sorridi figlio mio, io sarò sempre con te, anche se non mi vedi! Il giorno che mi rivedrai ancora, tu sarai guarito per sempre! >. Erano le prime luci dell’alba quando Mauro si risvegliò dal fantastico sogno appena fatto, aveva ancora stampata nella mente, l’immagine di quella fanciulla di luce, che dopo avere detto quelle stupende parole, spariva nelle acque della conca colma di luci d’oro. La febbre sembrava sparita, si sentiva leggermente meglio della sera prima, e nel suo cuore si era accesa una speranza, mista a un coraggio rinnovato.

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Leda, era intenta a modellare un cestino di plastilina, Angelica sua figlia, aveva avuto un compito di educazione artistica, che non era capace di fare da sola. Cercava di insegnare a sua figlia, come si modellano le roselline, da mettere nel cestino di plastilina appena intrecciato. Sul tavolo della cucina c’era una grande confusione, ed anche il piccolo Riccardo era molto interessato alla cosa. Le sue mani paffutelle, schiacciavano una piccola pallina di plastilina colorata di rosso, fatta la frittella, cominciò a stenderla, formandone una striscetta, che cominciò ad arrotolare; si accesero le gote tonde e con una voce argentina disse: < Mamma, va bene la mia rosellina?> Leda sorrise, nel costatare che il piccolo aveva una manualità migliore di sua sorella, mentre Angelica lo guardò con sguardo corrucciato, ma alla fine sorridendo della cosa! Era tardo pomeriggio, quando smisero di creare la composizione, che avrebbe dovuto essere il compito svolto solo da Angelica; i bambini andarono a giocare e Leda ebbe un po’ di tempo per sé. Era da alcune ore che il suo pensiero, corresse alle lettere che aveva deposto nel centro tavolo, quella mattina ne erano arrivate tantissime. Come spesso accadeva, Leda riservava di aprirle sempre quando sapeva di aver tempo per leggere e poi rispondere. Prese il pacchetto di lettere, e nello scorrerle lesse su una di esse un mittente che visionava per la prima volta, Mauro D’argo Via Maqueda Palermo. Significava una cosa sola, Mauro della trasmissione vista in tv, aveva accettata la sua amicizia e le inviava la sua prima lettera.

 Palermo 30-11-90

Cara Leda, buongiorno,

Sono Mauro della trasmissione “Canale 5 per voi”, ho avuta la tua affettuosa lettera, dalla redazione proprio ieri. Mi fa piacere che ci sono al mondo persone tanto sensibili e che s’interessano al prossimo, scoprire che nonostante le apparenze e la solitudine fisica, non si è mai veramente soli! Purtroppo per me, anni e anni di delusioni e brutte esperienze, mi hanno reso sfiduciato verso i miei simili, e mi sono chiuso molto, rispetto gli altri. Avevo sempre paura che potessero farmi del male; ma non male fisico, bensì morale!Così oggi mi ritrovo ad analizzare, tutta la mia vita e piano piano sto cercando di aprirmi, di essere più disponibile. E’ un lavoro duro e lungo! Bene o male la mia storia la conosci, diciamo per sommi capi, giacché in venti minuti (durata della trasmissione) non si può raccontare tutta una vita; una vera odissea! Potrei raccontarti tante cose di me, del mio quotidiano, della mia dura lotta per la vita, ma il mio più grande traguardo l’ho raggiunto! Ho imparato a volermi bene, a onorare questo corpo che Dio tanto generosamente mi ha donato, e che in passato ho tanto tristemente offeso. Da quando ho aperto gli occhi, mi sono molto avvicinato alla chiesa, perché Dio non mi ha mai abbandonato, solo che i miei occhi non lo vedevano e le mie orecchie, non lo sentivano. Adesso vivo giorno per giorno, ringraziando ogni mattino, il Padre Celeste, per avermi donato un'altra alba! Grazie Leda per avermi chiesta l’amicizia, che Dio benedica te e la tua famiglia, grazie ancora!

Mauro


Leda, era abituata a ricevere posta da persone che conosceva, era la prima volta che si trovava di fronte ad una persona, della quale conosceva solo un timbro di voce ascoltato in tv. Eppure quella sensazione di familiarità, che aveva avuto fin dall’inizio, non si smorzò, provo un gran senso di gratitudine, per chi o per cosa, non sapeva spiegarselo. Rilesse parecchie volte quella lettera che diceva (Purtroppo per me, anni e anni di delusioni e brutte esperienze, mi hanno reso sfiduciato verso i miei simili) quelle parole erano dissonanti , se si guardava al risultato. Non era stata la redazione a creare lo scambio epistolare, ma la stessa persona diffidente, che le aveva concesso un’immediata fiducia! Venne spontaneo a Leda pensare che, la Mamma Celeste, avesse davvero guidato la sua mano!

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I giorni passavano in maniera totalmente diversa, ora che Mauro corrispondeva con Leda. Si rendeva conto che non tutte le persone di questo mondo isolavano gli ammalati di aids. Forse, gli balenò pure l’idea, che per lei era più facile, poiché era lontana e ben riparata dalla sua persona fisica! Questo pensiero, frutto del suo passato d’isolamento e cocenti delusioni, durò la frazione di un secondo; subito dopo, ne provò rimorso! Nel frattempo qualcosa si era mosso, dopo la trasmissione, lo stato gli aveva riconosciuta una pensione di totale invalidità di 450.000 lire. Non era una grande cosa ma messa insieme agli aiuti fattivi della gente di buon cuore che gli scriveva, Mauro riusciva a mettere insieme il pranzo con la cena, per quanto riguarda l’affitto e le bollette era più arduo! I fratelli di Mauro in cinque, riuscivano a dargli 200.000 lire il mese, ma gli veniva molto dura farlo, e Mauro lo sentiva in tutto il suo peso. A volte pensava, che avrebbe preferito andassero a trovarlo, piuttosto che avere quei soldi, che gli portava mensilmente Flavia. Dopo l’ultimo ricovero, nessuno più andava a trovarlo, tranne Flavia, che però aveva di molto diradato le sue visite. Se voleva sentire i suoi fratelli, doveva telefonare lui, ma non poteva permetterselo, allora anche le telefonate locali costavano troppo. Mauro in un momento di profonda depressione lo confidò a Leda, pregandola di scusarlo, per quello sfogo che sicuramente l’avrebbe rattristata; ma si disse, un’amica fa anche certe cose, accoglie il suo amico anche nei momenti duri! L’aria del Natale era alle porte, e Leda, nell’ultima lettera gli aveva detto, che aveva avuta una brillante idea! Non gli disse cosa, era solito fare così Leda, per creare in lui quei momenti di attesa positiva, che si dilatano per un po’ di tempo, giusto lo spazio per non farlo pensare alle cose brutte! Infatti, Mauro notò che stavano passano più giorni dalle risposte epistolari di Leda, e un po’ ne era preoccupato. Era incredibile, come in così poco tempo, quella donna che non conosceva in realtà, se non attraverso una piccola foto, che nel frattempo si erano scambiata; era diventata una sorella vera, più presente ancora a volte, di quella di sangue!  Quel pomeriggio Mauro stava rimettendo in ordine tutte le lettere ricevute in quei mesi, e siccome aveva un carattere molto pignolo e preciso, le smistava in una cartelletta gialla, in ordine alfabetico. Nel fare quest’azione, scivolò da una busta una piccola foto a colori di Leda. L’aveva osservata molto il giorno che gli arrivò, per poi deporla accuratamente nella busta. Non sembrava avesse le caratteristiche della donna del sud, aveva la pelle chiarissima, lunghi capelli biondi sino alle spalle, fini e impalpabili, occhi grandi, nascosti da lenti grandi, com’era di moda a quei tempi. Gli occhi erano molto simili ai suoi, castano chiaro spruzzato di verde, e la sua espressione era al contempo, sia acuta e un po’ severa, che accogliete e dolce. In quella lettera dove era la sua foto, Leda gli aveva raccontato della sua esperienza spirituale, avuta nell’ottantasette, dopo la precoce morte di suo padre Riccardo senior e Mauro notevolmente commosso, nel leggere quella cosa stupenda che lei gli confidava, cercava di immaginare, cosa avrebbe realmente provato lui, se gli fosse capitata una cosa simile! Mentre guardava quella piccola foto, gli sovvenne in mente il sogno fatto alcune notti prima, quel sogno che lo aveva fatto svegliare colmo di speranze e positività.  Forse Leda, aveva sentito anche lei, quell’immensa felicità, che aveva provato lui al cospetto di quella fanciulla luminosa, che si era definita nel sogno, sua madre, però con una notevole differenza! Leda, non dormiva, mentre era immersa nella luce di una giovane fanciulla, simile a quella del suo sogno! Quei pensieri gli fecero tremare il cuore di gioia, era così raro per lui, immergersi in pensieri belli! Le aveva detto poi per lettera, che di questa cosa, ne avrebbe voluto parlare con lei più accuratamente! A lui piaceva molto l’introspezione, riteneva che quei momenti gli servissero per migliorare e pulire la sua anima! Aveva detto a Leda, che da quando si era riavvicinato a Dio, faceva spesso quell’esercizio di pulizia dell’anima! Così l’aveva definita: < E’ facile sporcare l’anima, com’è facile chiedere perdono a Dio, che perdona tutto! Anche se Egli è infinitamente buono e perdona davvero tutto, a volte giustamente si arrabbia pure! Noi a volte pensiamo che l’anima sia come le lenzuola! Che si cambiano una volta la settimana, così ritornano bianche e profumate, pronta da mettere sul letto! No, la nostra anima non è così! La nostra anima non è fatta di stoffa, e non c’è acqua che purifichi le macchie e le colpe fatte, per poco amore verso noi stessi! Bisogna prendersi cura della nostra anima, se non vogliamo che essa annerisca. Dio se ne dispiace tantissimo; e non è giusto dargli dei dolori, dopo tutte le cose meravigliose che Lui fa per noi! In passato io ho offeso molto Dio, per poco amore verso me stesso, per superficialità e stupidità! Il peccato più grande che ho fatto, è offendere la mia stessa vita, il dono più prezioso che Lui mi ha fatto! Gli chiedo continuamente perdono Leda, per questa cosa, e spero che Lui mi abbia perdonato!> Senza che se ne accorgesse, Mauro quando scriveva, ora si dilungava moltissimo, a raccontare alla sua amica, tutte le introspezioni che amava fare. E cosa straordinaria, aveva l’impressione viva, di fare delle confidenze intime a una persona fisicamente presente. Non immaginava certo, che l’idea della quale parlava Leda, era così vicina alla realtà, vestita d’immaginazione.

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Mauro era intento ad ascoltare le notizie del telegiornale, mentre mangiava la sua buona pasta con olio e formaggio grattato; Tatù al solito, rincorreva con il musino la sua ciotola rossa, con i tocchetti di carne e verdura. Era comico vederlo, e anche se Mauro gliela metteva contro la parete della cucina, non si sa come mai, lui, famelico nel divorarla, la spingesse sempre al centro della stanza; Tatù mangiava e camminava per tutto i mini tinello! Mauro osservava il grandissimo albero di Natale, che avevano costruito in piazza san Pietro a Roma, anche lui voleva fare l’albero, l’indomani si era ripromesso di andare a comprare un alberello e delle lucine; e mentre faceva quella riflessione, il citofono suonò. Di solito a quell’ora, arrivava la posta, ma il postino non aveva bisogno di bussare, usava le cassette condominiali e andava via. Invece questa volta il postino gli disse che c’era un pacco raccomandato, Mauro scese le scale con un’espressione interrogativa sul volto, firmò la ricevuta, e mentre risaliva le scale lesse, il mittente, Leda Striani, dopo tanti giorni, gli aveva mandato la sua brillante idea! Si chiuse la porta alle spalle e aprì quel pacco, con la stessa ansia e gli stessi modi, di quando bambino, strappava la carta del regalo che era sotto l’albero di natale! Nel pacco c’era una grande busta rossa rigida, un pacchetto blu’ piccolino, con un luccicante nastrino d’oro , un walkman completo di cassetta e cinque audio cassette nuove. Sulla grande busta rossa c’era scritto: “ da aprire adesso “, e sullo scatolino piccolo blu’ c’era scritto : “ da aprire il 25 Dicembre “. Anche se il primo istinto di Mauro, fu di schiacciare il player del walkman color argento, si trattenne, e fece in sequenza le cose che Leda gli consigliava di fare. Aperta la busta rossa, Mauro si trovò fra le mani, dei lavori fatti a mano che riguardavano il Natale; un grande babbo natale dipinto di rosso e oro, con una barba fatta con la lana bianca. Aveva un faccione rosso e sorridente, il pancione, e i pattini con la lama ai piedi. Quella barba fatta con la lana, dava una parvenza di profondità reale al disegno sul cartone, che era davvero troppo carino! Dalla busta rossa, tirò fuori un altro cartoncino bianco molto grande, piegato in due, e quando lo aprì, con sua grande meraviglia si trovò fra le mani, la scena di un presepe tridimensionale. Era fatto tutto a mano, accuratamente intagliato, nei punti giusti; in modo che i personaggi di cartone rimanessero in piedi, era tutto colorato e ogni personaggio aveva un nome. La Madonna aveva il nome di sua madre Gianna, san Giuseppe il nome di suo padre Vincenzo,e il bambino Gesù aveva il suo nome. La grotta, gli angeli, e i pastori erano tutti ricoperti da una polvere d’oro, e i nomi dei pastori, erano quelli della famiglia di Leda; Angelica, Riccardo, suo marito Massimo e lei. Mauro era seduto sulla sedia di fronte al tavolo fatto dalla vecchia Singer e il marmo recuperato, tutti quei doni erano sparsi sul tavolo, e mentre Tatù vi saltava sopra incuriosito dagli oggetti nuovi, Mauro sorrideva, fra le lacrime di profonda gratitudine. Le presenze amiche di quella piccola casa, videro un giovane uomo che piangeva e rideva, mentre un comico gatto con la zampetta, afferrava il nastrino d’oro della scatola blu’, trascinandola a terra e salterellando ,palleggiava la scatoletta, come se fosse su di un campetto di calcio! In quel magico pomeriggio del 20 Dicembre 1990, la voce di Leda fece ingresso ufficiale a casa di Mauro,sarebbe stato l’inizio di un colloquio reale , in differita, giusto il tempo che occorre a una missiva di arrivare, dalla Campania alla Sicilia. Forse con quella idea Leda ,aveva preceduto i tempi, di quando poi avrebbero reso abbordabili a tutti, i computer e le chat ! Mauro, troppo emozionato, reso fragile dalla malattia, preferì sedersi sul divanetto, ripose nella grande scatola, la scatoletta blu’ a malincuore. Avrebbe voluto aprirla subito, ma fece esattamente ciò che gli aveva suggerito Leda, l’avrebbe aperta il giorno di Natale; schiacciò player e Leda fu lì! Ascoltò e riascoltò quella voce, a suo giudizio dolce, allegra e solare; Leda si raccontava nella sua giornata, facendo pause, mentre gli suonava un pezzo al pianoforte e cantava l’Ave Maria di Schubert, subito dopo una sua riflessione divertita, la lettura di qualche sua poesia. E poi … una nuova emozione! La voce giovanissima di Angelica, che lo chiamava zio Mauro e gli raccontava cosa aveva fatto a scuola. Ed ecco la vocina stridente del piccolo Riccardo, che tentava di parlargli in siciliano, mentre sfoggiava la sua vocazione per il Napoli e Maradona! Mauro sentì davvero Leda viva e vera nella sua casa, ed era combattuto fra il pianto e il riso; era piacevolmente avvolto da emozioni dimenticate da qualche tempo! Leda … una persona che non vedeva in lui, che un amico e un fratello; nessuna barriera , nessun tabù, nessuna lettera scarlatta! Non vi erano gay, né malati di aids; erano solo due persone, dalla stessa anima di donna, pronte a condividere un breve e difficile viaggio, che li avrebbe solo migliorati agli occhi di Dio! Nei giorni a venire Mauro non ebbe il tempo di deprimersi, neppure quando il medico gli diagnosticò una grave infezione, che dovette curare con pillole dagli effetti collaterali molto sgradevoli. Appena si sentiva meglio, dall’effetto delle medicine, Mauro schiacciava player e Leda era lì a fianco a lui, per rincuorarlo! Poteva comunicare con lei parlando, non più scrivendo; allora era più facile e scorrevole raccontarsi. Prese una delle cassette nuove, la infilò nel walkman e cominciò a parlare; i primi secondi gli sembrò che parlasse al nulla, era così strano parlare a un oggetto! Si disse che Leda aveva fatto la stessa cosa; e il risultato era stato poi, che …. Era lì davvero con lui!

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< Carissima Leda, ho appena ascoltato la tua meravigliosa cassetta. Che stupenda sorpresa, e che bella voce hai! Io non ho parole, per come mostrarti la mia gratitudine e soprattutto la mia riconoscenza per la tua meravigliosa amicizia, per i tuoi fortissimi sentimenti! Cosa che mi sbalordisce un po’, perché non ci sono abituato, non ho mai avuto così tanto affetto, in così poco tempo, senza neppure conoscere, tra l’altro, l’altra persona! Senza conoscerla, nel senso fisico intendo. Ed è una cosa che mi riempie di gioia, e soprattutto di grande speranza! Speranza di incontrare tanta altra gente come te, e di avere tanto altro affetto. Che credimi, per me non è mai abbastanza. Ne ho avuto veramente troppo poco! Ti ringrazio per tutto questo, veramente! Sono davvero commosso, per tutte le cose belle che hai detto in questa cassetta. Per i brani meravigliosi, tra i quali hai azzeccato quelli che per me , sono proprio il massimo! L’Ave Maria di Schubert e Lucean le stelle di Pavarotti;che è proprio il mio cavallo di battaglia! Io, quando sento questa canzone , mi commuovo sempre infatti, quando tu dici dopo, < se ti è scesa una lacrima, asciugala> Io ci sono rimasto, perché in quel momento stavo proprio piangendo! Ed ho capito che solo una persona carica di una grandissima sensibilità, può capire gli stati d’animo di una persona! Sei brava a suonare il pianoforte , sei capace di esternare un certo sentimento e calore. Spero di essere anch’io altrettanto bravo a registrarti le mie,cercherò comunque di raccontarti il mio stato d’animo, magari di quel momento particolare della giornata o se ho qualcosa di nuovo da comunicarti. Cercherò magari,di registrarti le cose più belle che mi capitano durante la giornata. Non so il mio tono di voce come risulterà, penso che ogni tanto vada su, e poi giù, comunque è il mio modo di parlare. Oggi desidero raccontarti la storia della mia vita, molto dura e dolorosa. Ho voglia di farti capire meglio, chi sono io, e da dove vengo. In sintesi in questa cassetta, ti racconterò, le più grandi tragedie della mia vita, e le più grandi gioie! Qualcuna c’è stata!> Erano ormai le 19,00 ma Mauro non si era reso assolutamente conto, che era passato tutto quel tempo! Era stato il gorgoglio del suo stomaco per secondo, e il miagolio di Tatù per primo,che gli ricordava il suo, a fargli girare il polso e leggere l’ora. Spense il registratore rimandando il suo racconto all’indomani, preparò la cena con cuore leggero e contento, e quando andò a coricarsi stanco morto, anche per le forti emozioni provate quel giorno, dopo le preghiere, che era solito fare,accese il piccolo walkman, dove la voce di Leda, appunto diceva: < Buona notte Mauro, dormi sereno, che domani sarà un giorno migliore!>


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Il Natale era quasi alle porte, tutto intorno lo annunciava , dalle luci festose nei vicoli e nelle stradine del paesino di Leda, ai lavoretti che i suoi bambini le portavano da scuola. Puntualmente, verso le 14,00 si potevano sentire gli zampognari da ogni casa, era una tradizione bellissima che ancora resisteva nei piccoli centri; essi facevano il giro di tutti i vicoli del paese, la gente apriva la porta della loro casa, e offriva una mancia e un bicchierino di liquore. Leda, era sospesa a un metro da terra, addobbava il suo altissimo albero di Natale; avendo casa sua di antica costruzione, soffitti alti quasi cinque metri, opportunamente abbassati da una controsoffittatura in legno. Quelle prime ore del pomeriggio, che sapevano i ragazzi in casa dopo la scuola, Leda passava quelle ore piene di letizia, insieme ai suoi figli che allegri le passavano gli addobbi del Natale da appendere sull’albero. Dopo sarebbe passata ad assembrare il suo antichissimo presepio, lungo almeno tre metri, fatto da un suo zio, quando lei ancora doveva venire al mondo. Lo aveva ereditato dai suoi genitori, quando si era sposata; lo aveva opportunamente restaurato, con nuove casette, nate da scatoline di medicinali, divenute mirabilmente delle vere casine, con la fantasia che aveva lei nel maneggiare pennelli e pitture colorate. A Leda piaceva molto infatti dipingere, disegnare, modellare oggetti e scrivere poesie, tutto ciò che era creatività, era la sua passione. Nel giro di due ore, ecco l’albero di tre metri colmo di luci e fili d’oro, e il presepe antico, ove ogni scena pastorale, era il puro divertimento del piccolo Riccardo: ci teneva troppo il piccolo a mettere lui stesso tutti i pastori. Il presepe era finito solo quando sulle montagne di sfondo, aveva messo il soldatino, che faceva da guardia al castello di re Erode! Leda, accendeva le luci nelle casette, e sotto l’erbetta finta che era intorno ad uno specchietto, che faceva da acqua alle papere e ai cigni! Per tutti di casa, quel presepe rimaneva tale, solo per il piccolo Riccardo, diveniva un gioco quotidiano; che faceva ogni giorno al ritorno da scuola; i pastori divenivano per lui, soldatini con i quali giocare. E anche se Leda , metteva il grande presepio in alto, sul pianoforte antico a parete di sua nonna, Riccardo prendeva la sedia e rimaneva ore a giocare costruendosi storie fantastiche. Quel giorno il postino aveva consegnato a Leda, una piccola busta imbottita,proveniva da Palermo e lei capì subito che era l’audio cassetta di Mauro. Quella sua idea a quanto pare era piaciuta al suo amico, era curiosa ed emozionata, di ascoltare finalmente la voce del suo amico lontano, ma non lo aprì prima di sera! Era una cosa importante che richiedeva la sua intera attenzione e la rimandò, a quando la sua giornata di casalinga e madre sarebbe volta alla fine. Guardava contenta tutto il suo lavoro, per addobbare la grande casa per il Natale, al contrario di Mauro, Leda possedeva una casa enorme, ove ogni stanza misurava quattro metri per sei, pavimenti a cera con mattonelle che richiamavano antichi disegni a mosaico. In ogni stanza c’era un addobbo per le festività, fili d’oro, palline colorate erano dappertutto. Sui vetri della lunga balconata, che contava quattro infissi e otto vetri, Leda dipingeva su di ognuno una cosa diversa; la natività, babbo natale sulla slitta, la befana con la scopa volante, gli angeli e le stelle. I suoi bambini adoravano quei disegni sui vetri altissimi, perché dalla strada si vedeva tutto il lavoro dei disegni colorati, e quando uscivano da scuola, guardando dalla strada, spesso s’inorgoglivano verso i loro amichetti di scuola che li vedevano da lontano; a loro piaceva dire: < Vedete che belli, li ha fatti la mamma!> Leda ammirava il suo lavoro, era soddisfatta di quella giornata, e la sua conclusione, non poteva essere migliore, era arrivata anche la prima audio cassetta del suo amico. Non poteva fare a meno di pensare, al suo presepio intagliato per Mauro, aveva rovinato una vecchia valigetta di plastica, per poterlo lavorare con la lametta a mano; ma alla fine del lavoro, ne era valsa la pena! Dopo averlo costruito, il tocco finale con la polvere d’oro lo aveva affidato a Riccardo, che con le sue manine paffute l’aveva spolverata sopra, dopo che Leda aveva passato un filo di colla per farla attecchire. Riccardo e Angelica, avevano poi commentato tutti entusiasti che allo zio Mauro sarebbe piaciuto; ma Leda osservava il suo grande presepe antico, il suo altissimo albero, e la sua splendida famiglia. Mauro aveva un presepe di cartone, forse neppure un alberello, ed era da solo! Non sapeva spiegarsi come mai aveva preso così tanto a cuore, la storia triste di quel ragazzo; le sembrava che Mauro fosse quel fratello mai nato che sua madre perse ancora prima che nascesse. Era una cosa strana, questo rapporto fraterno così forte e sentito, per una persona mai vista, ma solo conosciuta epistolarmente da pochi mesi! Come sempre le capitava, quando non riusciva a capire la logica delle cose, si diceva che, infatti, non c’era logica; ma solo intervento di mano divina. Ricordava una frase che aveva sentito un giorno: < Non ti meravigliare di sentire amore per chi neppure conosci, poiché quando questo accade nel cuore degli uomini, è sempre suggerito da Gesù! Infatti, dove Egli è presente, gli uomini si sentono fratelli nella condivisione della vita, anche se non si sono mai visti fattivamente! Dove c’è, Lui c’è unione dei cuori!>. Quando Leda, non arrivava alle cose, lasciava che fosse quella voce sentita a parlare per lei, e tranquillamente la seguiva, invitando anche i suoi cari a farlo con lei. Con i bambini era facile, ma con suo marito un po’ meno! Massimo era un uomo molto concreto e spesso non condivideva del tutto l’operato sociale di Leda, ma solo perché forse era apprensivo nei confronti di sua moglie. Lei si occupava di cose che a volte potevano essere, non solo stancanti, ma anche pericolose, così le definiva lui. Occuparsi dei carcerati, dei ragazzi nelle comunità di recupero, delle donne che subivano violenze etc etc, era pericoloso e stancante secondo lui, sia per lo spirito sia per il corpo. E forse non aveva tutti i torti Massimo, giacché Leda aveva anche due figli e un marito! Leda, era fatta così, voleva condividere con gli altri, la felicità della quale era attorniata, non le sembrava per nulla giusto, ignorare chi le chiedeva una mano! Ogni volta che aveva l’opportunità di conoscere un “caso” nuovo, lei sentiva il bisogno fortissimo, di accoglierlo! Era come vedere se stessa, in un ipotetico bisogno umano, chiedere aiuto a qualcuno e sentirsi meno spaventata, perché quel qualcun c’era! Era solo gente più sfortunata, non pericolosa! Leda, credeva fermamente in questa cosa, e se nella vita avesse avuto dei problemi grossi con i suoi figli o altre persone da lei amate, avrebbe voluto anche lei incontrare una mano tesa! Era così giovane, che lo credeva davvero, che il bene porta al bene! Forse nella sua ingenuità, credeva che se dai con il cuore la tua gioia, nel momento del dolore, la gioia degli altri può sollevare il tuo momento no! Questi ragionamenti, sensati o no, durano lo spazio di pochi minuti, discussioni brevissime tra lei e Massimo, dopo di ché, lei faceva le cose che la facevano sentire bene e basta! Era molto stanca quella sera, non vedeva l’ora di stendersi nel suo grande letto, mettere le cuffie e ascoltare la voce del suo amico. Tutti dormivano nella grande casa, quando questo finalmente avvenne, la voce di Mauro, fu nelle sue orecchie, scivolò fra le emozioni del cuore, gratificandola profondamente, alla fine di una prolifica giornata di lavoro. Ascoltò la voce altalenante nei toni bassi e alti, di un giovane uomo che commosso la ringraziava. Definendola una cosa preziosa visto e i tempi e i modi della gente, che erano tutt’altro esempio nella sua vita. Ascoltò la sua voce commossa, quasi ai confini del pianto, mentre la ringraziava per il suo affetto fraterno, cosa che non avrebbe mai pensato di avere in così poco tempo, senza neppure conoscere fattivamente l’altra persona; poi la voce di Mauro cominciò a raccontare la sintesi della sua vita.

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< Nasco a Palermo il 25 Giugno del 1957 alle ore 21,00 in un rione molto popolare, detto Ballarò. Eravamo molto poveri, in tutto otto persone compresi i miei genitori, siamo, infatti, sei figli, cinque maschi e una femmina. Vivevamo in uno stanzone con un soppalco, che mio padre aveva creato apposta, ove vi situava la stanza da letto dei miei genitori. Giù, nel grande stanzone poi, c’eravamo tutti quanti; giù c’era il salotto, la cucina, le stanze da letto, la stanza da pranzo e il bagno. Ho pochi ricordi chiari della mia prima infanzia Leda, sono come delle visioni! Ricordo, comunque una certa armonia, una certa aria di gioco, di unione, ecco! Questa cosa la ricordo perfettamente! Intorno ai quattro anni poi, ci siamo trasferiti in un rione di Palermo un po’ più su. Mio padre, infatti, cominciò a lavorare di più, lui faceva l’imbianchino, che da noi si chiama indoratore; lavorava anche con i restauri delle chiese, ma c’era pochissimo lavoro. Poi con il boom degli anni sessanta, il lavoro incominciò a incrementare e così abbiamo avuto la possibilità di andare un po’ più su a livello economico, come modo di vita. Questo Leda è stato il periodo più bello della mia vita, c’era appunto la famiglia tutta unita, questa grande famiglia! Mia madre, forse è scontato che io lo dica, una persona stupenda, perché essendo appunto mia madre… ma lei per me è stata una grande donna! In ogni caso lei aveva un fortissimo carattere, mentre mio padre, era un po’ più farfallone, nel senso che amava un po’ farsi le sue cose, aveva anche un suo spazio al di fuori della famiglia, infatti, non stava molto a casa, però era sempre premuroso, non ci faceva mancare mai nulla. Era insomma, una persona un po’ anarchica, non voleva assolutamente che gli si dicessero, quello che doveva fare o quello che non doveva fare! Forse era un po’ troppo egocentrico, ma in ogni caso, anche lui era una persona molto buona, quando poteva, ci dava tutto quello che gli chiedevamo. Forse anche perché, lui pensava che in questo modo, avrebbe sopperito alla sua assenza da noi! In ogni modo, non mancava ai suoi doveri principali; intanto io a sei anni mi ammalo di soffio al cuore, per mia madre fu una tragedia, perché a quei tempi non c’erano le nozioni di oggi, che si sa che con lo sviluppo, questo problema sparisce di solito spontaneamente! Furono anni duri per me e per mia madre, perché fino all’adolescenza ho fatto mille analisi e mille cure. Quando poi mi feci grande, infatti, il soffio al cuore sparì! Avevo dodici anni, quando la mamma, un giorno litigò con mia nonna, sua madre, non so ancora oggi quali furono i motivi, ma da questo fatto mia madre si sentì male, ebbe un ictus e morì nel giro di pochi giorni, a soli quarantacinque anni. In quello stesso periodo Flavia mia sorella, che si era sposata, metteva al mondo la sua prima figlia e noi tutti maschi compreso mio padre, rimanemmo da soli in balia di noi stessi, ad affrontare un dolore senza fine; mia sorella non poteva aiutarci in nessun modo. La nostra casa che era stata l’emblema dell’ordine e dell’armonia, fu travolta da un turbine di caos e dolore! I miei fratelli più grandi di me, sopperirono a questo dolore immenso stando sempre fuori di casa, chi perché aveva già un lavoro, chi in moto perché di natura era scapestrato, chi ad abbordare le ragazzine, disertando del tutto, le regole che ci sono in una famiglia normale. Ossia le ore per il pranzo e la cena, ed il ritirarsi a casa ad un’ora decente. Mio padre rimasto solo, era come attonito, ed io che avevo solo dodici anni, cercavo di mettere a posto le cose intorno a me. Almeno ci provai Leda, nonostante fossi un bambino; quel grande caos, che era diventata quella casa, prima tanto perfetta e poi tanto caos! Vedi com’è la vita Leda! Tentai di prendere le redini della casa, facevo la cuoca, la lavandaia e la massaia. Cercavo con il mio modo di fare, di dare una parvenza di ordine e normalità alle cose di sempre, ma era tutto un’illusione, morta la mamma, tutto andò a scatafascio! Mio padre non ebbe la capacità di reagire da solo,dopo soli cinque mesi, se ne spuntò con  una altra donna, dicendomi che da ora in poi, lei sarebbe stata la mia nuova mamma, che io avrei dovuto rispettarla, e che sarebbe tornato tutto bello come prima; Io nelle mia grande ingenuità, e nel mio grande bisogno di affetto materno che avevo nel cuore, mi fidai cecamente di mio padre; con il quale avevo sempre avuto un rapporto idilliaco, ero convinto che sarebbe andata come diceva mio padre. Purtroppo non andò così Leda, non fu così! Dopo la sua venuta nella nostra casa, fu tutto uno sfascio totale! Purtroppo mio padre, scelse la donna sbagliata, perché quando ci sono sei figli alle spalle, bisogna davvero trovare una persona disposta ad accettare tutto! Invece nel disegno di questa donna, c’era già una volontà precisa, quella, in pratica, eliminare tutti i figli. Non nel senso fisico della parola, ma con lo scopo di farci stancare, fino al punto di costringerci ad andare via di casa. Da lì cominciarono gli anni più duri della mia vita, intanto il mio primo fratello Giacomo, si era trasferito a Torino, dove lavorava presso un’impresa edile, che curava sia la manutenzione privata che quella pubblica degli immobili. Ed io che avevo solo quindici anni, pensavo di lasciare la scuola e quella casa, dove c’era una donna che probabilmente mi odiava e che io ricambiavo. Pensavo di lasciare Palermo e mio padre, che io amavo senza fine e lui allo stesso modo, credevo! Mio padre non sapeva stare senza una donna, e quando tentavo di lamentarmi con lui, per come mi trattava lei, lui diceva sempre:         < Porta pazienza Mauro, sei piccolo, cerca di sopportare per amore di papà!> Lì sono cominciati i grossi conflitti  con mio padre, voleva solo la sua tranquillità, non pensava ai nostri traumi; purtroppo mio padre ha sbagliato, ma io l’ho perdonato, lo abbiamo perdonato tutti! Perché per lui, la morte di mia madre è stata un qualcosa che l’ha destabilizzato, l’ha fatto perdere! Infatti, cominciò a non aver più voglia di lavorare, stava in giro così, senza fare niente! Poi ha conosciuto questa donna, e si buttò in questa storia, senza neanche pensarci sopra; tutti noi avevamo il dubbio, che l’avesse già da prima questa donna. Ma lui ci ha sempre giurato e spergiurato, che l’ha conosciuta per caso, già dopo poco tempo che mia madre era morta. Intanto uno per uno i miei fratelli scappava, chi per disperazione, chi si sposa, chi se ne va al nord, io rimango con mio padre; anche perché essendo così piccolo, non avevo nessun’altra possibilità. Ero un ragazzino un po’ difficile, non stavo per nulla bene a livello emotivo, non ti dico le lotte che ho fatto con lei! Le facevo mille dispetti, per vendicarmi della sua cattiveria persecutoria, maniaca della pulizia non vivevo più, non potevo muovermi a volte sembrava persino che mi fosse proibito respirare! In tutte questo, mio padre, cercava di mettere le pezze, nel senso che mi diceva sempre: < E tu sei piccolo, devi evitare, sopporta.> E di conseguenza io reagivo, facendole i dispetti! Mi sentivo come un condannato a morte, e gli facevo dispetti davvero stupidi; come ad esempio non salutarla quando uscivo o rientravo, le rispondevo male etc etc. In ogni modo succede che io comincio a essere troppo insofferente, inizio ad avere dissapori con mio padre, con il quale fino a poco prima era stato un idillio! Io e mio padre eravamo un corpo e un'anima! Chiaramente come puoi immaginare, ero il piccolo dei figli, ed ero anche il più vezzeggiato, improvvisamente tutto questo, non l’ho avuto più! Ho perso mia madre e ho perso mio padre, in due maniere diverse, ma altrettanto dolorose. Comincio così ad andare via da Palermo, me ne vado da mio fratello Giacomo a Torino, ma non ci sto bene, anche perché faccio un lavoro pesante. Lavoro sulle facciate dei palazzi, a pitturare, cosa massacrante per un ragazzino di quindici anni; avevo un’immensa nostalgia di mio padre, ero troppo legato a mio padre! E spesso decidevo di tornare a Palermo, così di nuovo lotte, liti, vado a stare un po’ da mia sorella, un po’ dal mio secondo fratello, Paolo, ma i rispettivi consorti non erano molto felici della cosa! Ed io andavo e venivo da Torino, facendo della mia giovanissima vita, un andirivieni continuo! Sino a quando a vent’anni sono partito militare, per me quel periodo è stato come una liberazione! Per la prima volta mi sono sentito un ragazzo davvero libero! Tornato da militare poi, sono andato ancora per altri due anni a Torino, dove facevo sempre lo stesso lavoro pesante; poi a ventiquattro anni ritornai a Palermo che amavo troppo, riprovai a vivere con mio padre e sua moglie, ma lei non mi tollerava, non mi vuole più, e me lo dice senza peli sulla lingua! Mio Padre ormai sottostava a ogni sua decisione, non riusciva a lasciarla, a staccarsene! E quindi, preferiva staccarsi dai figli! La situazione era questa, lui non poteva farci niente! L’unica cosa che poteva fare, era lasciarla, ma non aveva la forza di farlo, perché era un uomo mio padre, che non sapeva stare da solo, aveva bisogno della figura femminile accanto, comunque essa fosse! Allora io decido definitivamente di andare a stare da solo, condividendo l’appartamento con altri studenti a Palermo, e qui purtroppo, comincio a bucarmi, a fare uso di sostanze stupefacenti. Prima si comincia con le droghe leggere e poi così, solo per una grande incoscienza, e per la grande presunzione di pensare che, tanto non ti coinvolgerà mai, non sarà mai una cosa grave! E invece, il meccanismo è proprio questo, inizi per gioco, e finisce in tragedia! Non ti sto a raccontare Leda cara, i vari calvari della mia vita da tossicodipendente, ad ogni modo è stata dura. Quando mi sono reso conto di essere troppo coinvolto, ho cominciato a vivere male, anche se avevo ancora la forza di lavorare e bastare a me stesso. A Palermo facevo lo stesso lavoro, indoratore, ma mi occupavo anche di istallare moquette, carta alle pareti, insomma facevo lavori di ristrutturazione negli appartamenti privati; non era come a Torino che facevo facciate d’industrie, il lavoro a Palermo è molto più privato. Guadagnavo bene, ma purtroppo la maggior parte dei soldi, li spendevo … come li spendevo! Intanto per cercare di smettere, andavo spesso a Torino a trovare mio fratello, e cosa strana quando ero lì smettevo per un po’, ma poi quando ritornavo, ero sempre punto e a capo! Un giorno che ero ritornato nella mia amata Palermo, dalla quale non riuscivo a stare lontano, la amavo troppo la mia città! In uno degli ennesimi tentativi di smettere, le analisi hanno rivelato la sieropositività, trasformatasi poi, in pochi anni in aids conclamata. Da quel giorno la mia vita è cambiata, non dico che sono diverso, perché sono sempre io, Mauro D’Argo, ma è cambiata dentro il mio intimo, Leda! Perchè mi sono reso conto che mi stavo distruggendo, che ero arrivato al limite estremo, e che se potevo avere una chance, dovevo cercarla smettendo di bucarmi! Grazie A Dio, con il suo grande aiuto divino, l’ho fatta Leda, ho smesso, adesso sono tre anni che ne sono fuori. Ho cominciato quindi a curarmi, per quello che è possibile insomma! Ed oggi eccomi qua, a pensare ad un futuro, pensare di farcela, andare avanti, soprattutto di avere altro tempo, per rimediare ai miei tanti errori; fatti per incoscienza, per malessere, per poco amore e fiducia nella vita. Comunque ora tutto questo è acqua passata, anche se rimane ormai inciso con lettere di fuoco nel mio cuore, tutto quello che ho passato! In tutto questo tempo, ti devo dire, che mio padre è scomparso quattro anni fa per un infarto. Questa diciamo, che è in sintesi, veramente brevissima è la mia vita passata. Spero che da oggi in poi, ci saranno gioie e tanto tanto amore, da dare e da ricevere. Me lo auguro con tutto il cuore Leda, perché l’amore è il vero sale della vita, il rispettare se stessi e le cose che ci circondano. Tutto ciò che Dio, nella sua grande magnificenza ha voluto donarci e che noi, non abbiamo saputo apprezzare, anzi, stiamo distruggendo! Io prego tanto Leda, e nelle mie preghiere non trascuro mai di raccomandarci a Dio, chiedendogli di farci diventare migliori, di farci diventare veramente degli esseri umani. Esseri che rispettano la terra, che è la nostra casa, il luogo dove generazioni su generazioni ci vivranno per sempre, e dove per sempre anche dopo di noi, ci saranno altre vite che dovranno avere lo stesso rispetto!>.

I rintocchi del campanile della chiesa madre, contavano le due di notte, quando lo scatto alla fine dell’audio cassetta, fu l’unico suono in quella grande casa addormentata. Leda, si era addormentata con sensazioni contrastanti nell’anima, gioia incredibile, ed infinita tristezza.


23



La strada era lucida della pioggia appena finita, quella sera della vigilia di Natale a Palermo. Mauro camminava lentamente osservando le vetrine della sua amata città, ognuna di esse era piena di luci colorate, fili d’oro e d’argento, a cascata, come capelli d’angelo, sui prodotti esposti nella vendita. La sua inconfondibile camminata dinoccolata, un po’ dovuta dall’altezza, un po’ adesso, al suo eccessivo dimagrimento, gli offriva un’immagine diversa di se stesso, mentre le vetrine lucide gli rimandavano l’immagine. Guardarsi allo specchio, per lui era diventata una sofferenza, in quegli ultimi tempi di battaglie contro la sua malattia. Mauro sfuggiva agli specchi, ma quella sera non poteva fare a meno di vedere la sua figura, riflessa ogni volta che si fermava fuori da un negozio; implacabile, la vetrina rifletteva la sua figura. Aveva messo l’impermeabile color cammello, con opportuni maglioncini pesanti sotto, faceva freddo e non aveva il cappotto. Giacomo, ormai stabilitosi da lungo tempo di nuovo a Palermo, lo era andato a trovare una settimana prima, e gli aveva regalato per il Natale, 200.000 lire. Mauro era rimasto contentissimo della sua visita, tra gli altri quattro fratelli che aveva, esclusa Flavia, era l’unico che si era fatto vivo! Quando poi, alla fine della visita, gli aveva dato quei soldi, gli era parso un vero miracolo di Natale! Giacomo, gli aveva fatto capire, parlando con lui a cuore aperto, che la sua omosessualità non la vedeva più come un ostacolo che gli impediva di comunicargli l’amore fraterno che aveva. Si scusò con lui, per quante volte aveva ascoltato i giudizi degli altri, senza invece di ascoltare il suo cuore e il suo istinto. E gli disse anche che, se avesse capito almeno vent’anni prima, che la sessualità è un modo di essere e non una devianza, che il pregiudizio bigotto suggeriva; forse lui non avrebbe avuto la vita difficile che lo aveva poi portato a perdersi! Mauro lo abbracciò molto commosso, per questa sua affermazione che aveva il sapore dei vecchi ricordi di quando era ragazzo, e il fratello lo aveva accolto a Torino. Finalmente quella sera, aveva ritrovato un fratello, e poco contavano tutte le altre cose! Stettero vicini a lungo sul piccolo amorino a parlare, e Mauro gli disse, che in fin dei conti, lui in primis era responsabile del suo destino, e che se lo avevano ghettizzato per questo, non era una giustificazione alle sue scelte sbagliate. Gli disse che, non era facendo del male a se stesso, che avrebbe attirato l’amore, la comprensione e l’accettazione dei suoi fratelli! Giacomo, gli teneva stretta la mano, mentre dopo l’ennesimo abbraccio commosso, lo salutava davanti alla porta di casa. E mentre la stringeva nelle sue, gli fece scivolare una piccola busta bianca fra le mani, tirò su con il naso, si girò di scatto e scese le scale volando; farsi vedere piangere, proprio non lo voleva Giacomo!Mentre ricordava queste cose Mauro, ebbe un tuffo al cuore, il riflesso di una vetrina, non solo gli rimandava la sua immagine che non gradiva vedere, ma anche l’immagine di un viso che non avrebbe mai voluto rivedere! Angelo era nel negozio dei cibi macrobiotici, ove Mauro spesso comprava alimenti adatti al suo stato di salute; Angelo era distratto, non lo aveva visto, Mauro allora, si spostò dalla sua visione velocemente, superò l’entrata, scivolando dietro ad uno scaffale; facendo finta di leggere le proprietà del latte di soia, descritto sui cartoni, messi in bella mostra. Il cuore gli batteva così forte, che sembrava un tamburo africano, suonato dai guerrieri per annunciare battaglie, e si maledisse per quello che ancora riusciva a provare per quell’uomo! Non avrebbe mai voluto farsi vedere in quelle condizioni da Angelo, l’ultima volta che lo aveva visto, non era ancora un malato conclamato; ora la sua malattia era evidente a chi sapeva già di lui. Infatti, per chi non lo conosceva, poteva passare tranquillamente per una persona malata di cancro. Come Dio volle, Angelo uscì dal negozio e Mauro tirò un respiro di sollievo, per essere riuscito a evitarlo. Non si aspettava di provare quel tumultuo nel cuore, e nella sua mente si delineava già l’idea di confidarsi con Leda, per questa cosa, che scopriva adesso, dopo tutto quel tempo passato! Leda, avrebbe capito, gli avrebbe potuto dare un consiglio, la sua amica gli voleva tanto bene, non aveva mai avuto nessun pregiudizio. Quel pensiero gli scaldò il cuore, facendo ritornare alla normalità i battiti del suo cuore, uscì dal negozio e si diresse a quello di fronte, dove vendevano abbigliamento per uomo. Dopo un’ora, da quello stesso negozio, uscì un giovane uomo, che indossava uno stupendo cappotto blu notte, il bavero alzato e il passo sicuro. Tatù osservava il suo altissimo papà, mentre sorridendo, gli diceva; <Stai buono lì, che mi riempi di pelo il cappotto nuovo!> Mentre sorridendo lo sfilava, appendendolo sulla gruccia e riponendolo nell’armadio a muro della stanza da letto. Quante emozioni nuove e sconosciute stava provando Mauro in quei mesi! Era ancora scosso per l’incontro a senso unico, per fortuna, che aveva avuto con Angelo; e ironicamente ora pensava, che quell’amore, come quell’incontro sfuggito, fosse stato sempre a senso unico! Quella sera Mauro, sentì di nuovo il bisogno di parlare a Leda, prese il walkman e cominciò a registrare.



< Cara amica mia Leda, buona sera, tempo fa nel mio diario, che ogni tanto spolvero, scrissi una riflessione che riguarda te; ma non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Stasera è una sera speciale, fra poche ore aprirò la scatolina blu’ che è, il tuo dono di Natale e nell’attesa di scoprire cosa sia, ti leggo la poesia che alcuni mesi fa, quando ti avevo appena conosciuta, scrissi per te.


C’è spazio intorno a me, frammentato qua e la da tentativi di renderlo più intimo.

Ma è così difficile!

Perché questo bisogno smisurato d’intimità, di confidenza?

Forse perché non mi sono

mai sentito, veramente, parte di un qualcosa?

Colpi di scure alla radice del mio scetticismo,

che ogni giorno di più vacilla, sminuisce!

Sento ascolto … ma, sento veramente?

Dilemma quotidiano, di scindere l’atteggiamento.

dall’effettivo sentimento!

Ed è brutto sentire di recitare!

Ci vuole tempo per guardarsi diritto negli occhi.

senza cercare scappatoie!

A noi non manca la pazienza di tentare,

e forse un giorno,

se Dio vorrà, potremo scrutarci l’anima,

senza dover impallidire,

di nessuna vergogna o timidezza!

Ne avrei tanto bisogno!

Sentirmi a mio agio … il massimo!


Questa era una cosa che volevo trasmetterti, e posso dirti che da quando l’ho scritta, è cambiato molto. Io con te mi sento a mio agio adesso. Molte barriere che mi ponevo prima, adesso non ci sono più. Perchè so e sento, di potermi fidare di te! Questo momento in cui dico, la sensazione di recitare! E’ una cosa che ho avvertito molto spesso durante il mio percorso di vita. A volte mi sono chiesto, infatti, in alcuni momenti della mia vita, nei miei rapporti con gli altri, con la gente in genere; se io stessi recitando una parte o effettivamente ero quello che dimostravo di essere! E questo credo che sia il problema che ho sempre avuto con me stesso fin ora. Perché io non mi sono mai veramente chiarito con me stesso, ti ricordi che te ne ho già parlato di questa cosa? Ancora oggi non so bene chi sia, però adesso comincio ad avere le idee un poco poco più chiare! Non dico di molto, ma poco poco! E per me è già tanto! Quel tanto che basta, a farmi sentire più me stesso, a farmi sentire insomma più Mauro D’Argo! In effetti, è quello che aspiro maggiormente, riuscire a essere veramente me stesso fino in fondo! Senza remore, senza vergogne, perché non c’è niente di cui vergognarsi, a essere se stessi! L’alternativa altrimenti sarebbe solo una, la nevrosi! Voglio buttare fuori tutto, tutto ciò che di represso è dentro di me, e che ho soffocato per anni e anni e che adesso, non so da che parte li ho nascosti! Questi sentimenti, chissà dove sono riposti, ma piano piano, con l’aiuto di Dio, dell’amicizia e dell’amore,anche verso me stesso,ma soprattutto verso gli altri, riuscirò a scoprirli.> Dopo quello sfogo, Mauro si sentì meglio, era così difficile vivere la vigilia di Natale da solo!  Leda, glielo aveva detto mille volte che lui non era più da solo! Sul comò laccato di bianco della stanza da letto, aveva messo il presepe intagliato di Leda. Dal suo letto, ove lui ora era disteso, dopo la frugale cena, Mauro osservava i personaggi raffigurati in esso, e notò che la pastorella che raffigurava Leda, non era diritta come gli altri pastori. Si alzò per capirne la ragione, la sua incredibile pignoleria gli fece fare quell’atto spontaneamente; e nel momento stesso che prese fra le mani la sagoma della pastorella, si rese conto che dietro alla schiena della pupazzetta di cartone, c’era una piccola fascia dietro la sua vita che conteneva, ben arrotolata e piegata una banconota da 50.000 lire. Ed ecco di nuovo quell’onda, stavolta in positivo, s’infrangeva nel suo cuore, per poi sfociare dagli occhi, trasformata in lacrima, che raccontava alle presenze amiche di quella casa; tutta la gioia e la gratitudine per quell’amicizia sincera, magica e inaspettata, quasi alla fine della sua vita. Il piccolo albero di Natale, che Mauro aveva messo di fianco al presepe, a intermittenza, sembrava giocare con le sue lacrime, che parevano perle colorate. Luci rosse, azzurre e gialle, rendevano il suo viso magro e sofferente, bello e disteso, come il volto di un bambino che piange fra le braccia della propria madre, conservando ancora l’innocenza! Mancavano ancora quattro ore alla mezzanotte ma Mauro non volle attendere oltre, aprì il secondo cassetto del comò, dove aveva riposto quella scatolina blu, che Leda gli aveva detto di aprire il giorno di Natale, si sedette sul letto, asciugò le lacrime e la aprì. Tolta la carta blu, vi era una scatolina di velluto rosso e mentre Tatù che era sul letto, sulla sua copertina scozzese, rubava divertito i nastrini d’oro che lui aveva lasciato sulla coperta, Mauro attonito guardava estasiato quell’anello d’oro con il volto di Gesù nel mezzo e dieci protuberanze, ove si sgrana la corona del Santo Rosario. Ridere e piangere al contempo, era una sensazione che aveva dimenticato dalla notte dei tempi! Chi era davvero quella donna che gli scriveva, gli parlava e gli donava amore sia fraterno sia materno? Chi era quest’amica sconosciuta e lontana, che era in grado di fargli compagnia fattivamente, nella più perfetta delle solitudini? Infilò l’anello, distese la mano di fronte a se, per vederlo bene; il volto del Cristo, finemente cesellato, sembravano guardarlo con serenità e amore, Mauro baciò l’anello e disse < Che Dio ti benedica Leda, per tutto quello che fai per me! Che Dio ti renda nella vita, tutto il bene che desidera il tuo cuore! Grazie Leda!> Quel Natale del 1990, sarebbe stato l’ultimo Natale di Mauro, ma lui non poteva saperlo! Ed era forse per tale ragione, che qualcuno lassù voleva per Mauro, le più belle e sincere emozioni. Ogni creatura ha il diritto di avere nella vita terrena, anche se breve, l’amore che non chiede, ma dona. Ed era quel sentimento, che traspariva dal volto di Gesù, su quella piccola fascetta d’oro, diceva proprio queste parole! < Ti amo così come sei figlio mio, non avere paura di nulla, sta sereno !> La chiesa suonava le campane, la gente si recava in chiesa, nasceva il bambino Gesù. Comunque vi assicuro che in quella piccola casa, senza paramenti, ne ori, né calici forgiati ad arte, c’era la natività di Cristo in carne ed ossa!

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L’antica chiesa madre di Vietri Sul Mare era stracolma di gente, Leda aveva un’emozione profonda nel cuore; non solo per le letture che era solito leggere all’altare, ma perché sentiva, che quel Natale era diverso da tutti gli altri Natali vissuti sin ora. Ancora le risuonavano nella testa le parole di Mauro, quando in audio cassetta, le aveva fatto gli auguri per il Natale; a differenza della lettera, il ricordo dei toni e della modulazione della voce; rendeva il senso dei discorsi, molto più vero e incisivo. Un buon Natale, ascoltato in una voce, racconta lo stato reale delle emozioni di quel momento, una lettera cela, la voce non può!   <Mi raccomando, la notte di Natale se vai a messa, spero di poterci andare anch’io, prega per me. Anch’io pregherò per te, la notte di Natale, a mezzanotte, quando nascerà il bambino Gesù, pensami! Così saprò che in quel momento, siamo collegati da quel filo invisibile, ma tanto tanto forte e grande, che è l’amore! Il volersi bene Leda! Perché pensarsi, in questi momenti, è sintomo di un grande affetto! Mi raccomando, fallo, sicuramente te lo ricorderai lo so! >Aveva ascoltato questa parte del nastro, così tante volte, che aveva memorizzato le parole. E oltre a esse, Leda aveva letto chiaramente tutta la disperazione, la paura e la solitudine che esse fra le righe contenevano. Come di solito faceva, Leda quando andava a leggere le letture all’altare durante la messa, cercava di estraniarsi, non guardava mai la folla di gente che era di fronte a lei. Se lo avesse fatto, non sarebbe mai riuscita a contenere l’emozione e il timore di essere al centro dell’attenzione di tutti, quindi i suoi occhi erano fissi al grande libro che aveva davanti. Quella sera fu davvero un momento di grande comunione spirituale, la nascita del bambino Gesù, quell’anno per lei fu la rivelazione del significato profondo che questo evento è da sempre. Ogni parola che leggeva aveva per lei, l’intenzione, sia pure fantasiosa, che arrivasse al suo amico lontano; sicuramente solo, e forse anche tremendamente spaventato! Essere da soli a Natale, anche se nella tua vita ci sarebbero tanti parenti, e per di più alla fine della vita, era la cosa più crudele che possa esistere! Ogni parola, e ogni gesto, che Leda disse e fece quella notte di Natale, era rivolta al suo amico lontano. Gli dedicò le parole del Vangelo, che parlavano di nascita, augurandosi in cuor suo, che lo fosse stata anche per Mauro. Quando prese la comunione, immaginò che l’ostia stesse arrivando anche a Mauro, e quando abbracciò i suoi figli e suo marito, abbracciò virtualmente anche il suo amico. Quel filo invisibile, ma tanto tanto forte e grande che è l’amore, ci fu davvero! Il pensiero d’amore fraterno, che li teneva uniti nell’etere invisibile, quella sera fu come una musica che viene da lontano, e che è udibile solo all’orecchio del cuore. Quella settimana Leda coinvolse molto i suoi ragazzi, nel fare le registrazioni per Mauro; il suo intento era condividere con il suo amico, tutte le emozioni più belle che può donare una famiglia. Sarebbe passato parecchio tempo, prima che la spedisse, poiché Leda aveva intenzione di fare ascoltare tutti i momenti più belli delle festività del Natale fino al capodanno. Le voci e i commenti dei suoi figli, mentre scartavano i regali, le poesie imparate a scuola per la famiglia, i canti natalizi suonati al piano da Leda e cantati da lei e dai ragazzi, e infine l’allegra confusione del piccolo Riccardo, mentre a capodanno faceva scoppiare i petardi fuori al terrazzo. Insomma, zio Mauro fu sempre con loro in quelle feste dedicate alla famiglia. E mentre scorrevano i giorni, quel filo invisibile fu sempre teso nell’etere; Leda, non attese fino a capodanno per farsi sentire da Mauro. Scrisse nel frattempo una lettera, non voleva che pensasse di essere trascurato dalle distrazioni delle feste. In essa descrisse come aveva addobbata la casa, le giornate serene, passate in cucina insieme a suo marito Massimo, mentre preparavano i vari pranzi e cene festive, descrivendo alcune ricette che anche lui poteva facilmente provare a fare. Alla fine della lettera poi, decise di mandare a Mauro, una sua poesia che descriveva secondo il suo intimo pensiero, cosa erano gli esseri umani sulla terra, mentre percorrevano questa vita.


Noi siamo … Gocce!


Quell’infinito Oceano d’Amore che E’ Dio …

Esplode tutti i giorni sul mondo!

Un’immensa e fragorosa acqua di luce

colma di bellezza, scende sulla terra ad abitare!

Bagna tutti gli angoli del mondo, formando miliardi di gocce!

Quelle gocce … siamo noi!

Liberi di restare immobili a gozzovigliare al sole.

nell’indifferenza, l’egoismo, l’accidia e l’inedia!

Per poi … tristemente evaporare,

disperdendoci per sempre nel nulla,

senza lasciare alcuna traccia!

Gocce inutili!

Che non ritorneranno mai più all’Abbraccio eterno del Padre!

Noi… Gocce di Quella Esplosione!

Libere però anche…

di correre fra i rivoli stretti della vita!

Passando fra le gioie e i dolori, fra i sassi aguzzi.

i vetri taglienti e le pozzanghere stagnanti!

Gocce che camminano e poi corrono,

insieme con altre gocce come Te e Me!

Per abbracciarsi nell’amore, la solidarietà, il perdono.

la compassione, il sorriso, l’abbraccio tenero e forte,

il sorriso e la preghiera dell’azione!

Rivoli di gocce vive, che non restano ferme.

nell’indifferenza, per poi essere … assorbite-evaporate.

dalle strade facili e dalle cose fatue!

NOI … rivoli di gocce sante, che diventano ruscelli.

poi torrenti, fiumi e laghi!

Laghi immensi e cristallini di bene umano,

destinati a rompere gli argini dell’indifferenza e l’egoismo.

gocce che tracciano quel filo invisibile ma tanto tanto forte che è l’amore.

Rivelando la luce, fra la vita e la morte e i suoi misteri!

Noi…ci incontreremo in un unico abbraccio per sempre!

Morendo nell’involucro, diverremo QUEL MARE

che ci generò come gocce!

Gocce benedette,nutrimento Del Suo Amore sul mondo!

Noi non saremo più gocce! Saremo il Mare che Egli E’!

Vivremo per sempre In Lui,

perché avremo lasciato,

nel nostro fluente passaggio,

frutti, fiori e spighe da mangiare!

Nei rivoli delle vite che altre gocce,

dopo di noi percorreranno la terra / la vita!

Saremo Vita che mai finisce…

Nel Mare Dell’Amore Infinito Di Dio!

L’ho visto in sogno! Credimi amico mio !!

Il Paradiso E’ Fatto … Di Mare!

Per questo mi tuffo nei rivoli, anche se fa male!

Cerco di raggiungere il mare e sto …

 lontana dall’immoto della coscienza,

per non evaporare e divenire il nulla!

Fallo anche tu ogni giorno fratello mio, come me!

Per essere un giorno insieme noi due e chi più ci ha amato,

in questa vita , parte di un attimo soltanto!

 “Parte Eterna Di Quel Mare D’Amore Che E’…Dio!

Noi siamo quelle gocce che fanno il Suo Mare!


Leda

25


I giorni di Mauro in quelle festività che chiudevano l’anno 1990 , furono giorni strani! Non sapeva dare un’interpretazione precisa, ai sorrisi, agli sguardi, e ai fugaci abbracci, ricevuti dai parenti in quei giorni. Flavia e Giacomo forse erano gli unici che lo abbracciavano con trasporto e tenerezza, negli altri, che lui era andato a trovare, vedeva stampato sul volto, l’imbarazzo, il timore di toccarlo, sia pure solo in un abbraccio; e in altri ancora, la completa assenza!  Nella sua mente si formò angosciante il nome di tutti i suoi fratelli; Paolo, Giacomo, Flavia, Marco e Rodolfo. Come se avesse davanti a se, una lavagna nera, ricordando la divisione che faceva fare la maestra alle scuole elementari, quando lei si assentava un minuto dall’aula, lasciando il capoclasse di turno a far la spia! Una lunga linea retta scritta con il gesso bianco, divideva i buoni e i cattivi. La mente scrisse dalla parte dei buoni Flavia e Giacomo, ma quando poi si accinse a immaginare di scrivere gli altri nomi dall’altro lato della linea, si rifiutò di farlo! Rigettò quel pensiero, che non si intonava a quel clima santo del Natale, poiché in lui stava nascendo il senso della pietas, dell’apertura e dell’accoglimento, anche delle cose che non sarebbe mai riuscito a capire! Prese il walkman, schiacciò player e disse: < Ciao Leda, è la sera del 31 Dicembre, fra poche ore entreremo nel nuovo anno, ed io sono da solo! Ho bisogno di raccontarti quel che passa dal mio cuore, questa sera ove tutti fanno festa e stanno insieme con i loro cari. Io non mi sento tanto bene Leda, e non posso andare da loro, ed è impensabile che qualcuno di loro possa venire da me; triste ma vero amica mia! Riflettevo su questa mia solitudine, e mentre lo facevo, ho avuto voglia di farlo ad alta voce, mentre il nastro incide i miei pensieri; so che se condivido con te, mi sentirò meglio dopo! Adesso ho la sensazione, che tu sia qui dal vivo, seduta di fronte a me ad ascoltarmi. Mi sembra di vederti Leda! Guardo in questo istante la tua foto mentre ti parlo, e cerco di immaginarmi le tue espressioni, mentre io ti confido ciò che prova il mio cuore. Leda cara, io credo che molti, evitino le persone con problemi grossi, la gente ammalata, non solo forse perché le malattie fanno paura, ma anche perché hanno il timore di dover fare anche i conti con se stessi. Io credo che, la gente che agisce così, abbia troppi problemi irrisolti, e allora cerca di tuffarsi nella confusione fatua e superficiale della vita. Quella fatta di feste, discoteche, passioni brevi, che ti consumano l’anima e basta, luoghi o persone che prestano orecchio solo alle cose che probabilmente ti distraggono, dal tuo vero mondo interiore, che non accetti e quindi non vuoi vedere! Hanno troppa paura di affrontare il dolore della vita, poiché da esso alla fine, nasce sempre il risultato personale delle consapevolezze, e poi della presa di coscienza! Meglio il rumore delle cose fatue della vita! Il silenzio è pericoloso per loro, racconta spietato tutti i loro problemi irrisolti e i lati oscuri persino a loro stessi! Forse è questa la ragione, per la quale si tiene lontana una persona depressa o gravemente ammalata; si ha paura di ciò che siamo davvero, e l’ammalato, crea quel silenzio necessario che lo rivela troppo chiaramente!>. Aveva pensato ed espresso a Leda, mentre registrava quelle considerazioni amarissime, il suo stato reale in quel preciso momento. Non aveva più timore di turbare la sua cara amica, ormai aveva fatto sue le parole di Leda, quando gli diceva di registrare ogni momento della sua vita, non solo i momenti belli della giornata. La loro era un’amicizia magica, che poteva esprimere ogni momento delle giornate, non avrebbe avuto senso raccontarsi solo una parte di se stessi, tacendo i momenti difficili, esprimendo, sia pure per proteggere l’altro, un’ipocrisia inutile! Fra loro c’era sempre stata, e sempre ci sarebbe stata, quella fanciulla dai bruni capelli lunghi, luminescente e dolce! Non era possibile nascondersi nulla, Lei suggeriva la verità, qualsiasi colore avesse! Tatù acciambellato sulle sue gambe, sempre più magre e ossute, faceva le fusa, la tv trasmetteva da San Pietro la messa celebrata dal Santo Pontefice, Mauro spegneva il registratore, mentre caldo e accorato, quasi a consolare l’anima, scendeva il suo pianto a benedire l’anno nuovo 1991! La stanchezza che aveva nell’anima, aggiunta a quella fisica portava Mauro a salire una grande scala, ove la tromba altissima, gli mostrava una luce intensissima alla vetta. Mauro saliva le scale, con una nuova energia, aveva i pantaloncini corti, e poteva notare, mentre saliva le infinite scale, il fascio di muscoli guizzanti che si tendevano sulle cosce ad ogni passo in salita. Si sentiva benissimo e pieno di energia, aveva un’allegria incredibile dentro il cuore. Sapeva di essere atteso con ansia, e allora saliva quelle scale a due a due, con una forza e un’elasticità che non ricordava più quanto era bello possedere! Mentre si avvicinava all’ultima rampa di scale, che portavano a un enorme terrazzo coperto da una veranda tutta trasparente; sentiva voci familiari che ridevano e conversavano. Appena mise piede sull’ultimo gradino, per nulla affaticato dalla corsa, si trovò su di un terrazzo talmente luminoso, che fece fatica a vedere subito i contorni delle cose. Piano piano, mentre le pupille si adattavano alla luce intensa, vide un’enorme tavolata, ricoperta da una tovaglia bianca di lino, tutta ricamata a mano dello stesso colore. Sul tavolo vi era ogni ben di Dio, e tutte le persone che lo aspettavano, alla sua vista, lo accoglievano festose, sorridendo gli battevano le mani. Non li aveva riconosciuti ancora, si sedette sull’unica sedia rimasta libera, e solo allora si accorse che alla sua destra c’era sua madre, e alla sua sinistra c’era suo padre. Sua madre era giovanissima e bella, e come faceva quando era piccolo, tendeva una mano con un pasticcino, pregandolo di mangiare. Mauro non aveva fame, era così felice di averli incontrati, che era sazio di tutto! C’erano i nonni e le nonne, uno zio che era stato al fronte nella guerra del 15/18, un amico della sua stessa età, che aveva i capelli lunghi e biondi, come quelli che dipingono nelle chiese per immaginare gli angeli. Gabriele rideva divertito, mentre si nascondeva dietro le sue spalle, facendo il gioco che da bambini li divertiva tanto. Gli bussava sulla spalla destra, e mentre Mauro si girava per vedere chi fosse, scappava dal suo lato sinistro; ridendo a crepapelle per averlo fregato. C’era un’aria di letizia e di festa, che era evidente rivolta a lui; era atteso da tutti loro, e quella festa era solo per lui. Che meravigliosa sensazione era quella gioia infinita che provava nel cuore! Si sentiva benissimo, pieno di gioia e circondato da amore sincero! Mauro aveva le braccia aperte appoggiate sulle spalle dei suoi genitori, mentre conversava sereno con loro, mangiava letteralmente sua madre con gli occhi. Erano così ridenti quegli occhi verdi come il mare, come mai più erano stati dalla partenza di sua madre! E come sempre accade, nei sogni più belli e incredibili, mentre sua madre gli stampava un leggero bacio sulla gota, Mauro si ridestò, mentre Tatù con la zampetta timidamente gli toccava il mento. Erano le sei del mattino, e il gatto reclamava la sua pappa, Mauro si alzò felicissimo, aveva sulla gota ancora l’impressione del tocco delle labbra di sua madre, sollevò fra le braccia Tatù, si alzò solleticando la testina del suo bambino peloso, e si diresse in cucina a preparargli la pappa. Aveva un’ansia lieta nel cuore, accendere il walkman e raccontare il suo stupendo sogno a Leda. Mai avrebbe pensato che quel sogno stupendo, era forse il preludio che lo preparava ad affrontare davvero, la fine della sua vita terrena.


26



Le festività erano passate da un mese, Febbraio si era presentato freddo e pungente, e quando Mauro avvertì i primi sintomi del parassita che inconsapevolmente gli aveva trasmesso Tatù, pensò semplicemente all’influenza. Molte volte i medici del consultorio lo avevano messo in guardia dal tenere con sé il gattino, ma Mauro si diceva che il suo Tatù gli poteva trasmettere solo una cosa, l’amore; e non si può dare via una cosa così preziosa! Mauro era molto meticoloso e pignolo, nel tenere pulitissima la sua casa e le cose del suo bambino peloso, ed era lontano dal suo pensiero che Tatù per lui potesse essere un pericolo. Nonostante i suoi pensieri positivi, aveva notato, nel farsi la doccia, l’ingrossamento delle linfoghiandole; soffriva di mal di testa, e una febbriciattola che lo faceva sentire sempre stanchissimo e con le ossa rotte. Mai avrebbe pensato che il parassita della toxoplasmosi si fosse attivato nel suo corpo, senza ormai più alcuna difesa immunitaria. Di lì a pochi giorni Giacomo lo avrebbe accompagnato al consultorio per il day hospital, già programmato prima delle festività; e quindi non si preoccupò di telefonare al medico per raccontargli dei suoi sintomi. Quella mattina era una giornata fredda e senza sole, dal suo balconcino, Palermo sembrava una stupenda cartolina in bianco e nero, cipì dal tetto di fronte non si vedeva, e il tapiro d’acqua aveva le foglie brune. Dopo aver pranzato, Mauro prese il libro che gli aveva, regato Leda, ”Notte Infinita” di Romano Battaglia, accese il piccolo walkman e cominciò a parlare con la sua amica del cuore: < Ha un senso, quando si giunge alla sera della propria vita, ripercorrerne le tappe e indagarne il significato, il valore? Ha un senso chiedersi se quanto abbiamo compiuto é servito a qualcosa, é riuscito a cogliere la luce abbagliante ma fuggente di un raggio di sole, oppure ci siamo sperduti, irrimediabilmente, in un abisso di oscurità?> E  Mauro commentò così: < Secondo me, la vita non ha un senso ben preciso, la vita è l’attimo fuggente, la vita è una piccola parte, di un intero disegno, percorso dall’essere. Sia nello spirito che nella materia, la vita è la parte materiale di questa esistenza: che va molto di là da questa vita terrena. Questa vita terrena, io la vedo come un percorso obbligato, che le nostre anime devono affrontare, e più o meno superare. Noto in questo libro una grande, immensa dolcezza, pieno di sentimenti, di cose delicate, anche molto intime. Non so se ti ricordi il libro che mi hai regalato, ci sono anche delle fotografie bellissime, e spesso ci sono pagine, dove ci sono scritte delle grandi verità, ma con una semplicità disarmante! Ad esempio questa >:< E'inutile compiere lunghi viaggi, andare lontano a vedere le grandi montagne, i grandi fiumi, le grandi città del mondo, se non ci accorgiamo del filo d'erba bagnato di rugiada che cresce davanti alla porta di CASA>.

< Leggendo questo libro, ho capito che mi può dare molto, a parte il fatto che è un tuo regalo, e per me è importante già questo !> <Tendete le orecchie alle piccole cose> <Trovare l’oceano in un bicchiere d’acqua> <proprio un libro che t’incita alla semplicità, a non andare troppo oltre, a trovare la felicità nelle piccole COSE>.

<Per sempre me ne andrò per questi lidi, tra la sabbia e la schiuma del mare. L'alta marea cancellerà le mie impronte, e il vento disperderà la schiuma. Ma il mare e la spiaggia dureranno in eterno >

<Ti può sembrare strano Leda, ma il tuo libro mi tiene molta compagnia! Ne ho letto pochissimo, perché mi stanco facilmente la vista, ma già mi rendo conto che mi può dare tanti spunti belli, per discorrerne con te . Sono passati tanti mesi , da quando ci siamo conosciuti Leda,ed è giunto il momento di condividere con te, le emozioni che scrivevo in passato. Desidero dirti proprio tutto di me sorella mia,scrivevo un diario alcuni anni fa, che oggi desidero riprendere , per fissare nel tempo sulla carta bianca, anche le nuove emozioni di oggi; che assurdamente, anche se sono gravemente ammalato, sono più positive e belle di allora! Ero sano nel corpo, ma non certo nell’anima! Scrivevo poesie Leda, come fai tu, e oggi voglio leggertele; la prima di essa s’intitola “Bestia” e non  a caso, ha questo titolo, in quel periodo mi sentivo davvero tra le bestie Leda, e tu sai di cosa parlo! >

****


Bestia


Bestia, che vuoi portarmi via!

Bestia, che quando ci sei vorrei gettarmi via!

Forza incontrollata possiedi la mente,sconvolgi la vita.

Che quando cambia … è sempre più buia!

Bestia! Tu sai !

Sai tirarmi fuori dal solito e trascinarmi in altri momenti!

Bestia, quando sei vera sei vita e se muori, poi rinasci,

E i ricordi riaffiorano assopiti dal purgatorio, che sa sempre di stantio!

Bestia, che quando ci sei ti sento, e vorrei urlare con tutto me stesso,

per coprire il rumore della ragione!

Bestia, non ricordare l’essenza!!

Cerca di guardare oltre i fitti misteri, che fanno svegliare infelice,

i momenti che potrebbero sapere di eterno!

Bestia, che non ti basta una vita!

Perché vuoi l’eternità!


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Questo posto



Non sento il vento,

non vedo il mare,

respiro fumo!

Non colgo fiori,

non semino il grano,

non vedo i gabbiani!!

Non parlo ai gatti,

mi rivolgo ai sordi!

Mi guardo … non mi vedo!

Andare …. tornare ….

riandare … e quindi fuggire!

Per non appassire!

Che fare! Impazzire?


****



Cosa c’è



Saturo di energia aspetta il corpo,

stanco di fantasia, resiste lo spirito.

Appello alla realtà, cerco anch’io!

Ma cosa cercano gli altri?

Perché non dicono quello che pensano!

Perché tutta questa paura di esprimersi!

C’è la guerra?

C’è l’invasione di noiose e spossanti situazioni,

di tragico susseguirsi di schifo!

Di cattivo pensiero o di gratuita interpretazione!

Di immorale cercarsi e di insoddisfatto trovarsi!

Di qualsiasi cosa, trasfigurata in niente,

perché superfluo è il tutto!

Stanco lo spirito e ancora di più il corpo!

Ecco che c’è!!


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27


 < Come puoi leggere tu stessa Leda,alcuni anni fa, nell’anima, stavo più male di oggi che ho l’aids! La mia visione della vita ora, amica mia, è molto cambiata da allora! Non di tantissimo! Ma quel tanto che basta, per farmi sentire più me stesso, più Mauro D’Argo!! Tutto quello che non vedevo, in quei periodi bui della droga, impelagato spesso, in amori malsani e spesso a senso unico. Ma voglio continuare a leggerti le mie vecchie poesie Leda, adesso ti leggo quelle che dedicai ad Angelo. Un uomo molto bello, biondo, con gli occhi azzurri, altissimo, più di me ,che pure sono un metro e novanta. Ma sai Leda, aveva solo la bellezza fisica, sembrava un angelo come il suo nome,ma dentro sorella mia, era brutto come il male! Ma io allora, non sapevo vedere!>


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Il tuo sguardo



Ci vuole più di una parola,

per descrivere la bellezza del corpo.

Ma nemmeno una,

per quella del tuo sguardo!


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Ardore



Vento caldo mi avvolgi,

verso il sole mi trascini,

sul mare dolce mi posi!

Attimi di estasi, sapore del sempre,

certezza dell’essere!

Reclino il capo, allungo il corpo,

rocce infuocate,

io, salamandra a sangue caldo!

Bagliori intuiti, tra le fatue oscurità

che il pensiero fa subito luce!

Io, il vento, il sole,il mare, l’eternità!

Vento caldo mi prendi,

dal mare mi trascini,

sulla sabbia rovente mi posi.

Tra i bagliori della luce,

mi fai guardare e non toccare!

Brezza insonne!

Assidua presenza, che guarda se stessa!

Vorrei … vorrei …

Vorrei e i ripotrei incalzano!

Stringendo fra e mani la vita, e un tenero sorriso!


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Per quest’attimo



Volendo vedere, da una diversa angolazione,

tutto ciò che s’intende per scontato,

il tuo modo e l’essere,

spontaneo è il gesto, conseguenza alla parola!

Invade lo spazio dell’intimo individuo,

che afferra, e agisce con te!

Proiezione inevitabile!

Il tuo corpo inibisce l’evoluzione!

L’immagine conferma la vita,

la presenza la convalida!

Quest’attimo che è vita,già svolto, nell’immediato successivo,

un altro, e un altro ancora.

E ora vivo in un attimo, cercandone uno che diventi eterno!


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Saturo



La mente vola al di là di ogni frontiera

e al di sopra di tutti i mari.

Va, e cerca i risi amici,che la loro essenza mi trascina via.

Tra la vita e l’eternità del pensiero!

Amo l’amore i suoi Dei!

E chiunque sappia nutrirmi, di cibo tanto prezioso!


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Vorrei




Vorrei parlare con te di qualsiasi cosa,

solo per ascoltare la tua voce!

Vorrei guardarti fino a consumarmi gli occhi,

sentire la tua pelle bruciare,

il tuo desiderio e desiderarti !

Vorrei raccontarti dei miei incontri,

di quando ho spiato i tuoi pensieri,

nascosto dietro le mie timide indifferenze!!

Vorrei guardare attraverso ciò che vedo,

e con l’ansia di chi sente impetuosi i venti,

trovare il coraggio di dirti addio!


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Zingaro


Non capisci la realtà che  fa dormire male,

non ti piace il quotidiano.

Cuore nomade, non accetti ripetizioni.

Non ti fermare, ama da zingaro!

Perché sarai ovunque!


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La grande illusione



La mia realtà, un’illusione fatta di sogni, di invenzioni!

E stanotte ti ho sognato!

Illusione, può darsi!

Ma è il mio delirio e lo sto vivendo fino in fondo,

e lo scotto è tutto mio!

Impenetrabile nel mio essere!

Non cerco più spiegazioni, e detesto le altrui interpretazioni!

Vado così, senza sapere perché, non c’è un perché!

Ma solo la forma esiste e spesso salva dai deliri.

Io no, non posso!

Mi sono attaccato alle sottane di questo spettro d’amore,

che mi è rimasto dentro e che non basta, non può bastare!

<E allora forza, datti da fare!>

Frase insulsa, che mi sconvolge ancora di più

di qualsiasi altra paranoica predica!

I pulpiti si sono centuplicati,

dovunque vedi, per le strade,

persone che per niente ti regalano la loro esperienza;

che non è mai la stessa!

Io direi loro, < Basta con le parole! Passiamo ai fatti!

Chi sono io e chi sei tu!> Questo è il punto!

< Cosa cerchi e cosa fai! Cosa vuoi e cosa non hai!>

“Soddisfatto o rimborsato”

questo è lo slogan dei nostri tempi!

E quindi, se alla fine dei tuoi discorsi,

 mi ritrovo con le ossa triturate,

allora mi dovrai risarcire!

Dovrai rimettere tutti i pezzi al posto loro,

con la promessa di non riprovarci mai più!

Io ho fede, e tu?


****



<Questa che ti leggo adesso l’ho dedicata a mia madre>




Sprazzi di lei



Ho avuto il tempo di conoscerla, quella splendida donna!

Tumulti fatti di buoni propositi e grande ispiratrice!

Ancora oggi ne conservo un buon ricordo, e questo mi piace!

Indelebile!!

Conosco la sua storia,non nei dettagli!

Di madre speciale, a volte prigioniera di moglie!

Chissà quante volte ha sospirato la delusa signora!

Lontana mille anni, aspettava e lottava, senza sosta!

Confidavi le vaghe promesse, della romantica fuga,

del tuo romantico incontro!

Amore, Amore,

trasposizione dei tuoi pensieri, del tuo essere,

passione magnetica, rivolta e dedicata a chi ti ha amato,

e che ti pensa ancora, con qualche lacrima!

Ciao mamma!

Con la speranza di rivederti un giorno!


****

<E ora per concludere Leda, il mio lato poetico del passato, ti leggo una cosa che ho scritto per te, alcuni giorni fa. Si Leda, hai capito bene, questa è dedicata a te!>


****



A presto



Non so cosa mai possa accadere,

nel momento in cui ti ho incontrato, già ti pensavo!

In fondo so che ti ho cercato, nei freddi giorni incompatibili,

con l’ardore di chi si guarda intorno!

Cosa mai potrebbe accadere!

                       Io ce l’ho un’idea, e saprei dirla ,

ma quanto costa incedere!

Potrei raccontarti, del mio amore girovago,

che non sa fermarsi,

perché la sua idea fugge dietro ai suoi pensieri!

Ci sei!

E questo mi distoglie dal mio insoddisfatto quotidiano!

La tua presenza, arricchisce di luce, le timide ombre

che si stagliano contro la ragione,

occludendola di fatue interpretazioni!

Vorrei dirti,

che mi piacerebbe arrivare puntuale ai tuoi appuntamenti!

Ma se lo dicessi, m’illuderei di averti!

In fondo mi piace incontrarti così!

E forse perché so che succederà spesso … può darsi!

In ogni caso, il nostro è un tacito accordo … A presto!

28


Quella notte Mauro dormì malissimo, la febbre era molto alta, fu un sonno costellato di incubi. Gli avevano affidato una gallina, preoccupato di non mancare alla fiducia data, Mauro si fa in quattro per accudire al bel pennuto, che nel frattempo medita la sua rovina, guardandolo con fissità cristallina .Mauro non si capacita, volge lo sguardo e in un frammento di attimi,il machiavellico animale non c’è più! Mamma mia! Si era trasformata in un assurdo e inutile pezzo di vetraccio, verde acqua, brutto, storto! Disperato lo prende in mano, ma si taglia la mano e allora lo butta via. Ma in un lampo capisce che non deve farlo rompere! Allora Mauro si lancia con un salto acrobatico, per evitare che si frantumi,ma lo manca, e il misero pezzo di vetro va in frantumi. Disperato,cerca allora un’alternativa a una cattiva figura e trasforma i miseri pezzi di vetro, in tanti piccoli pulcini verde mare. Si sentiva più sollevato ora ,Mauro pensò che forse avesse il tempo di farli crescere,e dare così ai suoi amici, non una, ma sette galline! Chissà, avrebbe potuto mettersi in affari …. E mentre nel sogno angosciante, pensava queste parole, aprì gli occhi sedendosi di scatto in mezzo al letto. Gli mancava il respiro, e aveva un dolore lancinante nella testa; la febbre era altissima, ma doveva sforzarsi di arrivare al telefono, aveva bisogno di aiuto, si rendeva conto che quella non era una semplice influenza, la vista era compromessa seriamente, non riusciva a focalizzare le cose, e un tremore in tutto il corpo stava prendendo il sopravvento sulla sua volontà. Ma la fanciulla di sole, dai lunghi capelli bruni era davvero sempre con lui; e quella telefonata a Flavia riuscì a farla, prima di perdere il controllo del suo corpo! Quando arrivò Flavia, contemporaneamente all’ambulanza che aveva chiamato, la scena che si presentò ai suoi occhi fu terribile! Il suo giovane e amato fratello era steso sul pavimento del tinello,aveva le reni inarcate in modo innaturale, batteva le lunghe gambe e le braccia sulle mattonelle. Il suo capo era voltato all’indietro, e aveva scatti continui, mentre gli occhi verde mare, erano divenuti grigio chiaro e la bocca sputava schiuma biancastra sulle gote pallidissime. I medici del soccorso ebbero subito chiaro che erano convulsioni, ma Flavia non ne aveva mai viste, ed era disperata e spaventatissima. Appena ebbero stabilizzato Mauro sul posto, i paramedici lo trasferirono al pronto soccorso dell’ospedale, Flavia chiudeva le porte, scendeva le scale volando, per seguire suo fratello, che sembrava più morto che vivo: <Ma cosa gli era accaduto!> Era la prima volta in assoluto, in tutta la sua vita, che seguiva un’ambulanza a sirene spiegate, che portava un suo caro così tanto amato,praticamente un figlio, verso un destino che a lei era sembrato solo un incubo raccontato e non una realtà! Spietata la verità, sulla malattia di Mauro, iniziava  a far vedere il suo vero ghigno, e la cosa più assurda, fu quando si seppe cosa era stato a ridurlo così! Il suo amato Tatù, gli aveva trasmesso il parassita della toxoplasmosi, e Mauro passò quella giornata tra la vita e la morte, in un lampo! Il giorno prima leggeva le sue vecchie poesie, per raccontarsi a Leda, poche ore dopo, lottava contro la morte! Flavia fu messa al corrente che Mauro aveva la toxoplasmosi, con la complicanza di un’encefalite e la corio retinite (infiammazione della zona visiva degli occhi).Essendo lui una persona con immunodeficienza la cosa era parecchio grave, ma non potette stargli vicino, poiché i medici avevano ritenuto opportuno, vista la situazione delicatissima di Mauro, di isolare il paziente nel reparto infettivo. Flavia passò la giornata, sulla sedia della sala d’attesa dell’ospedale, ogni tanto un medico o un infermiera la aggiornavano sulle condizioni di suo fratello. Le ore sembravano passare lente, e quando scese la notte, Mauro non era ancora cosciente. Con il cuore pesante, e gli occhi gonfi di lacrime, Flavia si diresse verso casa, doveva andare, lo aspettavano quattro ragazze, un marito e forse, se non le avessero dato il permesso, anche il lavoro l’indomani mattina! Abbracciò Giacomo, che le dava il cambio in ospedale e se ne andò con il cuore gonfio di paura e pena. Giacomo anche se non poteva stare vicino a Mauro, non era riuscito a rimanere in casa, voleva essere vicino a suo fratello, anche se non poteva vederlo e farsi vedere. Si era appena ritrovato con suo fratello minore, e aveva l’impressione, che lui lo avrebbe sentito più vicino, se fosse rimasto lì!  Leda era solita, da alcune settimane fare uno squillo a Mauro sul suo telefono di casa, era un segno che dava la buona notte o il buon giorno, e Mauro rispondeva nella stessa maniera alla sua amica. Allora, non esistevano le tariffe agevolate per la chiamate interurbane, e usavano questo stratagemma per salutarsi e dirsi <Tutto bene, buona notte. Tutto bene, buon giorno>.  Ma quella sera nessuno squillo di risposta tornò indietro a casa di Leda, e lei non ci mise molto a capire che qualcosa di grave era successo a Mauro. Telefonò senza pensare all’ora tarda, a casa di Flavia, che era rientrata da poche ore, e fu messa al corrente di tutto quello che era accaduto e stava accadendo. Vi può sembrare assurdo, oppure parto di fantasia, ma quel filo invisibile, che fu tessuto a Natale, ritornò forte, vivo e presente, nello spazio di un secondo! Leda era con la mente vicino al suo amico del cuore, era in quella stanza dai vetri doppi e la porta di metallo pesante. Mauro aveva gli occhi socchiusi, la febbre era diminuita, pur essendo ancora presente, il dolore alla testa era meno pulsante. Fra la veglia e il sonno , mentre il suo corpo gli sembrava di piombo, in quel letto troppo piccolo per lui,sentì la sua presenza e stranamente gli passò un po’ quella strana paura che gli aveva fatto quella gallina del sogno! Non ricordava altro, solo una gallina dagli occhi  vitrei e cattivi, e il rumore della cornetta del telefono caduta sulle mattonelle del tinello. Ma ora si sentiva più tranquillo, Leda aveva teso quel filo, doveva solo prenderlo, reggersi, e tirarsi su!


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Nello spazio temporale, che esiste solo nel mondo dei sentimenti  veri, Vietri Sul Mare e Palermo furono due luoghi che si trasferirono tutti i giorni, nella mente dell’uno e dell’altro.  Leda registrava cassette insieme ai suoi figli e i suoi amici, per tenere compagnia a Mauro, con allegria ,affettuosità e forza d’animo. Flavia aveva chiesto il permesso di fare entrare nella stanza di  Mauro il piccolo walkman, appena suo fratello si fosse ripreso da quello stato, sapeva che per lui era importante sentire la voce della sua cara amica. La vita attendeva Mauro, gli amici, gli affetti lo richiamavano a gran voce! Ora che stava davvero tanto male, le coscienze di alcuni si erano risvegliate, ma Mauro, tutto questo non lo sentiva ancora!  Era sospeso tra la realtà, che a sprazzi riusciva a percepire, quando un medico o un infermiera, gli toccava un braccio per la flebo, o un medico gli auscultava il torace, e  il mondo liquido che lo sosteneva a mezz’aria, facendolo galleggiare , tra la vita reale e il parallelo, dove vive solo l’energia della coscienza. Un attimo prima,fra gli incubi e l’attimo dopo fra le braccia della fanciulla di luce, dai capelli lunghissimi e bruni! La scenografia che viveva il suo corpo in sofferenza, era fotografata dalla temperatura del corpo; febbre  alta … incubi, febbre scesa … estasi della mente! Fu dopo una settimana dal ricovero, che cominciò a rendersi conto che non era più nel suo piccolo appartamento,quando riprese coscienza, la prima cosa che vide, piuttosto male a dire il vero, la vista era calata di parecchio; fu una fioca luce tonda su un soffitto bianco ghiaccio. Poi , spostando con molta difficoltà la testa, che gli faceva ancora un male cane, la finestra alla sua sinistra, senza tendine, che gli mostrava la cima di un albero spoglio, i suoi rami sembravano braccine magrissime che invocavano al cielo preghiere! Infatti furono le prime parole che pensò di dire, ci provò, ma la voce non uscì, era troppo debole persino per parlare. Allora le disse nella mente, aveva paura di morire, senza poter salutare le persone che amava,e allora pregò perché gli fosse concesso di fare almeno quest’ultima cosa! Quella settimana, nella quale andava riprendendosi gradualmente, Mauro poteva vedere un’ora il pomeriggio, il viso di Flavia o il viso di Giorgio, attraverso il vetro spesso, che isolava la stanza dall’esterno della struttura del reparto infettivo. Flavia gli sorrideva , mostrandogli le cassette sonore nuove che erano arrivate da Vietri Sul Mare: < Appena starai meglio, i medici mi faranno entrare, ti devo dire e ti devo dare tante cose Mauro! Ti voglio tanto bene, coraggio!>. Mauro, quando vedeva sua sorella e suo fratello, si sentiva accarezzato dentro l’anima, e riusciva a sopportare meglio anche il dolore lancinante che gli era rimasto dietro al collo, ormai era al corrente di tutto; il medico gli aveva spiegato ogni cosa, e stranamente il suo dolore più grande, fu il rendersi conto, che aveva dovuto dire addio a Tatù senza neppure salutarlo! Quel piccolo bimbo peloso, che sembrava capire alla perfezione i suoi stati d’animo, e che faceva il buffone per farlo divertire e distrarlo dalle sue angosce e dalla sua solitudine, era stato portato via, senza neppure poter salutare il suo papà!  Chissà cosa aveva pensato, quando non lo aveva visto più! Quando Mauro stava male, sembrava lo capisse; era nervoso e lo seguiva ovunque andasse nelle stanze, come se temesse di vederlo uscire e non tornare mai più! Quel suo atteggiamento, praticamente umano, era stato una preveggenza, poiché davvero era accaduto così ! Giacomo portò il gattino da una signora in campagna, che abitava in un villino e si occupava di molti altri gatti. Tatù si trovava bene, e aveva il cibo e il caldo di una copertina ogni giorno, ma papà Mauro perché non c’era più?  La terapia per la ripresa fu molto complessa e lunga, richiedeva tanta pazienza e forza di volontà alla giornata di Mauro, ma lui aveva mille motivi per tirare fuori tutta la sua testardaggine, e quando riuscì ad alzarsi per andare in bagno da solo, a lui sembrò la conquista di un bambino di tredici mesi, che finalmente, dopo tanto gattonare, traballante, riusciva a camminare eretto appoggiandosi a tutte le cose che si trovavano a tiro. Flavia potette entrare nella stanza, e fra lei e Giorgio, i pomeriggi di Mauro furono sempre più reali, ormai erano quattro giorni che aveva lasciato il suo mondo liquido definitivamente! Sentiva tutto il peso della sua malattia, la realtà per lui a volte era dolorosissima, i suoni erano ancora poco gradevoli; gli era rimasta una forte sensibilità ad alcuni suoni, l’infezione cerebrale non era ancora del tutto debellata. Il medico gli spiegò che probabilmente sarebbe rimasta latente, poiché avendo pochissimi linfociti, debellare infezioni nel suo caso, era davvero una cosa praticamente difficilissima! Leda , che era stata con lui, nel suo mondo liquido, insieme alla fanciulla di luce, dai capelli lunghissimi e bruni, era ritornata attraverso il piccolo walkman. La sua voce rendeva la sua presenza così tangibile, che Mauro incominciò a sentirsi a casa, anche se era in un luogo anonimo e asettico. Leda diventò amica virtuale anche di un‘infermiera, che passava molto tempo con Mauro, tanto che ne fu incuriosita, quando Mauro le raccontò la loro storia di amicizia virtuale,  gli chiese l’indirizzo per poterle scrivere. Leda dal suo canto , a sera tardi, telefonava un giorno sì e uno no a casa di Flavia, per avere notizie sulla guarigione di Mauro, ed era rincuorata, sia dalle notizie buone e sia dalla dolcezza e la disponibilità della voce di Flavia.Fu in quel periodo che le due donne iniziarono la loro amicizia, che sarebbe poi durata anni, dopo la dipartita di Mauro. Leda, senza volto, senza tattilità fisica, entrava nella vita di una famiglia lontana, che non l’avrebbe mai più dimenticata!

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Febbraio era quasi alla fine, raffiche di vento freddo percorrevano la strada sotto casa di Leda. Abitava in una delle vie principali del suo paese, era la via centrale ,di una diramazione che a destra scendeva al mare, e a sinistra s’inoltrava all’interno del paese. La sua ubicazione, faceva da gola , tra le montagne alle spalle, e il mare di fronte, ed anche quando era estate non mancava mai il venticello. Quel giorno di fine Febbraio, sembrava vi fosse fuori la bora di Trieste, ma Leda non si fece scoraggiare dagli elementi,aveva organizzato un pellegrinaggio alla Madonna Del Castello con un gruppo nutrito di suoi amici, sia del posto, che di altri luoghi di Italia. Si erano concordati appuntamento, tutti al vecchio castello diroccato, dove c’era una stupenda Madonnina, alla quale Leda era molto devota. Un’ora di viaggio, e Leda e i suoi amici erano tutti lì sull’antica scala di pietra, di fronte al cancello, dove era la grande stella bacheca che conteneva la statua della Madonna Del Castello. Leda, era andata con una coppia sua amica e la loro figlia Lina, i quali conoscevano molto bene la storia di Mauro, e quando s’incontrò con i vari gruppi venuti da Torino, Firenze e Potenza, ci fu nell’aria la sensazione quasi tattile, dell’emozione che avvolgeva il cuore di tutti. Erano lì per Mauro, Leda aveva coinvolto tutti, lei pensava che la preghiera più efficace per chiedere la guarigione di una persona cara, fosse l’azione. Per questo in meno di una settimana, telefonando agli amici giusti, aveva organizzato in poco tempo un pellegrinaggio, che secondo la sua intima convinzione di fede, avrebbe fatto arrivare a Mauro un’ondata di energia affettiva, che gli avrebbe donato una guarigione più veloce! Erano arrivati alle 15,30, mancavano poche ore alla messa che si sarebbe tenuta nella chiesa adiacente al vecchio castello diroccato, avevano tutto il tempo, per raccogliersi in preghiera tutti, sgranare il Rosario a Maria ed esprimere le proprie preghiere spontanee per Mauro. Purtroppo il maltempo faceva da padrone anche lì, non tutti avevano pensato di portare un ombrello, e Leda era una di queste. Una pioggerella prima leggera e poi più corposa, cominciò a cadere sugli enormi gradini di pietra del maniero diroccato, Leda, però, non si mosse da dove era! Era così concentrata a pregare, tenendo fisso il suo sguardo, sul volto della grande Madonnina dietro alla stella bacheca di vetro, che non si accorse neppure dell’acqua che veniva giù. La Madonna Del Castello, (così la chiamavano tutti) aveva un viso dolcissimo, il bambino che aveva fra le braccia era così bello e rubicondo nella sua espressione, che a guardarlo fisso, si aveva l’impressione che sorridesse felice. Di lì a pochi secondi Leda, pensò che fosse davvero felice quel bambino Gesù in braccio a sua madre! Leda e i suoi amici, assistettero a un fenomeno inspiegabile, che non avrebbero mai e poi mai dimenticato! La pioggia cadeva grossa e violenta, le persone che camminavano nella piazzetta sottostante, che portava alla chiesa, correvano con mezzi di emergenza di tutti i tipi sulla testa; chi il giornale, chi la borsa e chi un rimediato ombrello. Nessuno del gruppo in preghiera, in ginocchio sugli enormi scalini di pietra, di fronte alla teca della Madonnina, si era coperto il capo in alcun modo! La prima ad accorgersi che stava piovendo fortissimo, fu Lina, che spontaneamente quasi urlò, dicendo a voce alta: < Dio mio! Piove a dirotto ma non mi bagno!> Le gocce di pioggia sulle loro vesti, sembrano grossi spruzzi di sabbia grossolana, se ne sentiva il rumore nella caduta, sia a terra sia sui vestiti, ma non lasciavano nulla di bagnato! Tutti si toccarono i cappotti e gli impermeabili, completamente asciutti, mentre sentivano il rumore di quella sabbia grossolana che li colpiva. Ci fu un coro di stupore, e tutti si guardarono in volto, con l’inizio di un pianto di commozione e di stupore che moriva poi nella loro gola senza riuscire a essere espresso! Si voltarono a guardare la strada piena di pozzanghere, e gli stessi gradini dove erano loro in ginocchio anch’essi zuppi di acqua, ma loro tutti, erano asciutti!!  Molti di loro si spaventarono della cosa, altri invece cominciarono a piangere sommessamente, perché quella cosa impossibile, doveva per forza, essere un segno che veniva dall’alto! Leda, non si era ancora resa conto del fenomeno, non distolse lo sguardo dalla statua, continuava a supplicare quella madre, di darle un segno del suo sì, alla guarigione di Mauro! Il Suo sì, scendeva sulle sue vesti asciutte e Leda concentrata com’era, a tenere teso quel filo d’amore fra suo fratello Mauro e lei, non se ne accorgeva! Con mano lenta e non curante, si passava sul viso le dita, per scostare da lei, quella sensazione di sabbia che le colpiva le gote. Fu Lina a gridarle di guardare cosa stava accadendo: < Leda, siamo sotto la pioggia, ma non vedi che non ci stiamo bagnando?? Che cosa sta succedendo, ho paura! Leda, mi senti? > Fu una frazione di secondi, le labbra del piccolo bambino Gesù si mossero leggermente all’insù, gli occhietti fatti di ceramica azzurra brillarono, come se ci fosse stato un raggio di sole, Leda si destò da quel torpore e ritornata fra i mortali, si rese conto dello stupendo sì che la Madonnina le aveva detto. Leda, lo vide così quello straordinario fenomeno, un meraviglioso sì per Mauro! Quasi tutti erano sbalorditi dal fenomeno al quale avevano assistito, non c’era nessuna ragione logica, l’acqua bagna, non può divenire sabbia, solo per un gruppo di persone e per altre no!  Leda, non si fece nessuna domanda, fra le lacrime di gioia e gratitudine, per come la fanciulla di luce, dai lunghissimi capelli bruni, del sogno di Mauro, le aveva risposto alla sua supplica sincera! La sensazione netta che lei aveva nel cuore era la certezza assoluta che Mauro presto sarebbe tornato a casa! Fu una serata indimenticabile, la pioggia cessò, tutto il gruppo assistette alla Santa messa, e per molti di loro, vi fu un cambiamento interiore inaspettato. Quel giovane ragazzo che viveva lontano, sconosciuto a tutti, persino a Leda se vogliamo, era stato il mezzo di un fatto straordinario, del quale oggi ancora si parla. Anche  perché molti diedero testimonianza scritta e firmata, del fenomeno al quale avevano assistito. Negli archivi del comitato della chiesa in quel luogo, la testimonianza è ancora a disposizione di chi la volesse leggere; ma è chiaro che se una persona è scettica, non è certo uno scritto firmato che la può convincere! Chi l’ha visto, non può negarlo a se stesso; può solo prendere coscienza, che sopra di noi c’è qualcuno che orchestra tutte le cose e le creature sulla terra. Fu in quel preciso giorno che Leda fece anche un incontro dolcissimo e tenero, con un vecchio monaco che si chiamava Frate Salvatore; aveva anche lui assistito al fenomeno dell’acqua asciutta, e Leda fu molto colpita dal suo pianto accorato, misto al sorriso aperto, mentre l’anziano monaco si rendeva conto di essere asciutto! Restava in ginocchio, alzando gli occhi al cielo, fra le lacrime e il sorriso, mentre stringeva fra le mani, un grossissimo rosario fatto da enormi quadrati di ciliegio rosso. Era molto anziano, e Leda si accorse subito che l’emozione gli rendeva difficile il sollevarsi da terra; gli si avvicinò e lo aiutò ad alzarsi dal gradino. Il vecchio frate, poi le aveva chiesto per chi o cosa stavano pregando su quegli scalini, e quando Leda gli parlò di Mauro che era fra la vita e la morte, il frate istintivamente, come per ringraziamento, a ciò che aveva visto con i suoi occhi, le mise fra le mani il suo grandissimo rosario, dicendo: < In qualche modo, fallo arrivare nelle mani del tuo caro amico! E digli che, grazie a lui, ho avuto la gioia di vedere una cosa meravigliosa, che in tutta la mia vita di uomo di chiesa, non mi sarei mai sognato di vedere! E dì anche a questo ragazzo, che non passerà giorno che io non lo ricorderò nelle mie preghiere!  Grazie per ciò che tutti voi, con la vostra fede avete fatto per me oggi!> Le strinse la mano e poi con passo ancora traballante per la grande emozione, un po’ piegato nelle spalle, si allontanò dal gruppo, mentre i suoi sandali aperti facevano il classico rumore che fa il cuoio quando calpesta pozze d’acqua, entrando e uscendo da esse. Mauro dopo solo due giorni, percorreva il corridoio dell’ospedale sotto  braccio a Flavia, e per la primissima volta, emozionato, componeva il  numero telefonico della casa di Leda. La voce di Mauro era ancora debole, ma si sentiva in essa l’allegria e l’ironia che raccontava del suo carattere, quando stava bene! Flavia informata da Leda, gli aveva raccontato il fatto, accaduto solo due giorni prima, e Mauro quando sentì per la prima volta nella cornetta telefonica la voce di Leda, disse: < Hai mosso gli elementi per me amica mia?? Che maniera insolita di dirti sì ha il cielo Leda??> Leda rimase senza fiato al telefono, non riuscì subito a realizzare che fosse davvero Mauro dall’altra parte del filo! Per la prima volta si sentirono in diretta, non dovevano passare settimane per ascoltare la risposta dell’atro. Ed era emozionante e stranissimo, potersi rispondere a voce  subito, non più in notevole differita, bensì in tempo reale! < Mauro sei tu!! Mio Dio che gioia sentirti!! Questa pettegola della tua amica, tu l’hai sentita anche lì in ospedale, io è un mese che non ti sento! Che bella sorpresa mi hai fatto, quando torni a casa? Come ti senti? Hai saputo di Tatù che sta bene e non ti devi preoccupare? Ho un bellissimo rosario da mandarti! Te lo manda un monaco che ho conosciuto due giorni fa ..... quante cose ho da raccontarti amico mio!!> Leda era un fiume in piena, Mauro non riusciva a proferire più parole, lei lo subissava d'informazioni ed entusiasmi. L’unica cosa che poteva  fare Mauro in quel momento, era ridere di cuore, per quell’entusiasmo così diretto, puro ed anche infantile della sua amica sinceramente felice per lui. Restarono a telefono finché l’ultimo scatto delle monetine annunciò la fine della telefonata mentre Mauro le diceva: < Ho tante cose da dirti anch'io, appena torno a casa ti scriverò>. La linea s’interruppe e Leda ballava nella stanza, come una ragazzina che aveva ricevuto in regalo l’invito al ballo dell’ultimo anno della scuola. Sentiva una profonda gratitudine, per chi l’aveva seguita con fiducia in quel pellegrinaggio magico! E la prima cosa che fece, fu un giro di cinque telefonate agli amici che l’avevano supportata e seguita in quella stupenda avventura, tutti dovevano sapere che Mauro era guarito! Disse a se stessa: < E’ proprio vera quella frase che ho letto! > < La preghiera vi conduce a Me. Io sono vivo tra di voi. .... siate più aperti nelle preghiere: rendetevi conto che quando pregate parlate con Dio!> Ed era andato davvero così quel primo pomeriggio di fine Febbraio del 1991, avevano davvero parlato con Dio!  Grazie all’amore di un gruppo di persone semplici, che neppure lo conoscevano,  Mauro tornava a casa, dopo aver sfiorato la vita oltre la vita!


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Cipì era ritornato a volare sul balconcino della casa di Mauro, il papiro gigante aveva i fioroni di un bel verde carico, i balconi di fronte cominciavano a straripare di colori brillanti; l’odore della primavera, in Sicilia, si annunciava già, rendendo dolce sia l’aria sia lo sguardo di chi ammirava la natura esplodere. Mauro steso nel suo grande lettone, aveva alla sua sinistra, questo quadro che mutava, giorno per giorno, sempre davanti agli occhi. Dopo i primi quindici giorni, del suo ritorno a casa, le visite di due o tre amici, dei suoi fratelli Flavia e Giacomo, si erano man mano diradate, per poi alla fine concludersi del tutto. Flavia era presa dalla sua famiglia e dal lavoro alla scuola, e gli telefonava una volta la settimana, ma a Mauro non poteva certo bastare! Sempre di più il suo mondo quotidiano era fatto della voce di Leda che gli sembrava quasi prigioniera del piccolo walkman, da quando l’aveva sentita al telefono ogni settimana, era questa l’impressione strana che aveva ora! Tatù non c’era più, in quelle piccole e linde stanze, non c’era più a fare il buffone per farlo ridere, a distrarlo dalle sue angosce e dalla sua sempre più spessa e corposa solitudine. In quel mese di fine Marzo, Mauro scoprì che la solitudine poteva avere uno spessore che quasi schiacciava l’anima! Occupava la sua giornata tenendo in ordine e pulita la casa, per quanto potesse, visto che di forze ne aveva ben poche. Ora che non c’era più Tatù, preparava il pranzo e la cena solo per sé. Il suo bimbo peloso non lo svegliava più alle sei del mattino, carezzandogli il mento con la zampetta! Poi ascoltava le audio cassette che Leda gli aveva registrato, nel periodo della sua degenza in ospedale. Un po’ non aveva avuto la possibilità di ascoltarle perché stava troppo male, un po’ lo evitava, perché l’infermiera era spesso con lui nella stanza, e Mauro era gelosissimo delle sue cose! Leggeva tantissimo, sia il libro Notte Infinita e sia il Vangelo, registrando spesso sia le letture che faceva e sia i suoi stati d’animo. Gli sembrava che comunicare ogni sua emozione all’amica, lo avesse poi in seguito, quando Leda gli avrebbe risposto, consolato per tutto il suo dolore, per la solitudine e la paura della sofferenza! Aveva provato a iniziare una lettera, ma si era reso conto che la sua scrittura era cambiata tantissimo, scriveva piccolo piccolo, e non riusciva a tenere il rigo in orizzontale, allora pensò di nascondere a Leda questa cosa, evitando di scriverle. La stupenda e grossa corona del santo Rosario del frate era arrivata, e Mauro la teneva sempre con sé. L’aveva appesa sotto il grande arazzo, che aveva sulla testata del suo letto, e quando la sera si apprestava a dormire la prendeva fra le mani e si addormentava più tranquillo; quasi come fa un bambino con il suo orsacchiotto amico! Quando parlava a Leda, nelle registrazioni, accennava appena al suo stato di salute, la sofferenza maggiore che gli opprimeva il cuore era l’immensa solitudine, ed era di quella che si lamentava senza sosta!! < Sai Leda, certe volte, non per presunzione, mi identifico molto nel cristo! Certo, non voglio mettermi al suo livello, però mi rendo conto che sto attraversando un periodo della mia vita, molto molto difficile! E più passa il tempo e più difficile diventa! Il mio calvario è questo amica mia, il mio calvario è questo mio continuo andare in ospedali a fare esami, il mio calvario è casa mia! Da dove purtroppo, non riesco a trovare altri spazzi, altre possibilità, per evadere un po’. Anche forse perché, non sono in grado di socializzare, poiché non mi va di uscire e farmi vedere in queste condizioni. Una mia amica, mi aveva invitato alla festa del suo compleanno, ma io ho dovuto dirle di no Leda! Perché ci sarebbe stata altra gente che non conosco, e farmi vedere in queste condizioni non mi piace! Non sono in perfetta forma, e si vede! Quando sto’ bene, mi rendo conto che posso fare qualsiasi cosa, insomma, posso vedere chi voglio, posso stare con chi voglio, ma quando sto’ male, non ci riesco proprio! Sai Leda, questa mia lunga solitudine, mi ha fatto apprezzare lo stare con la gente, però mi ha fatto anche capire tante cose sulla gente! Io credo che la gente tenda a essere egocentrica, chiaramente non parlo per tutti, ma Leda, anche se tu mi dici di avere fiducia, io mi rendo conto che ciò che vedo intorno a me è superficiale! Finché stavo discretamente in salute, qualche persona, non me la sento di dire amica, qualche conoscente, si faceva vedere, mi telefonavano, da quando sono uscito dall’ospedale, non si è più visto nessuno, né per telefono né fisicamente. Non ti nascondo Leda il mio pensiero di oggi, e ti dico chiaramente, che quando si presenterà qualcuna di esse alla mia porta, io sarò molto duro! Me ne dispiace, sarò duro, perché non le voglio più vedere! Perché non si sono mai chiesti se avevo bisogno di qualcosa, anche del semplice pane, o fatta un po’ di spesa, queste cose basilari, non si sono mai fatti sentire e non mi hanno chiesto mai nulla! Queste cose per me, sono delle grosse delusioni, anche perché mi sento molto umiliato da questo loro atteggiamento! La gente malata, Leda, viene evitata, per usare una parola “comune”, emarginata! Chi sta male, deve stare solo con chi sta male? Chi sta bene, deve guardarsi dal farsi coinvolgere? E’ giusto vivere una vita anche di distrazioni, divertimento e altro, ma essendo io dalla parte di chi è più colpito ora, mi rendo conto che la gente mi evita! E per gente intendo quelli che mi conoscono, non il passante occasionale per strada, che non si rende conto di niente chiaramente! Io parlo della gente che conosco da tantissimi anni, mi evita! Forse pensandoci bene, te lo dissi una volta mi sembra di ricordare, sarà perché hanno dei grossi problemi di auto accettazione, per cui, loro da anni, per distrarsi e non pensare alle loro cose irrisolte, che farebbero bene invece a tirare fuori! Soffocano la loro vera voce interiore, facendo una vita, fatta di locali, discoteche, di distrazioni continue, nel momento in cui non c’è qualcosa da fare, vanno in crisi! Queste persone, hanno una paura folle, di essere coinvolte in cose negative, ad esempio, se io sto’ male, loro se ne guardano bene dallo starmi vicino! Perché si deprimono il punto, è questo! Chiaramente la cosa mi fa soffrire tanto Leda, fino a un mese fa stavo abbastanza bene, ed ero in grado di essere spiritoso, brillante, e non facevo assolutamente pesare la mia situazione. Purtroppo adesso è davvero un po’ dura amica mia! Sono depresso Leda, in poche parole, se ne sono resi conto, e non si fanno più vedere! Io penso che da parte mia, la giusta reazione è di non considerarli più amici, e poi, di non vederli più! Tanto, ci sono o non ci sono, è la stessa cosa (detto a voce rotta). Scusa Leda, all’origine di questo discorso, non so più cosa c’era, ogni volta con te, mi perdo nei miei sfoghi, appunto perché … sono sfoghi! A volte sai, infatti, ho paura di auto commiserarmi, forse un po’ lo faccio, ma è una forma di affetto che do’ a me stesso! Come spiegartelo Leda; certe volte, pensando alla mia vita, a quello che ho fatto, giusto o sbagliato che sia stato, mi rendo conto che sono sempre stata una persona molto sola! E certe volte, mi viene addirittura da piangere quando penso: <Povero Mauro, che vita! > Ecco, forse in questi momenti, io sento molto di più il calore dell’amore, dell’affetto, perché riesco a darmelo anche da solo! Anche se non dovrebbe essere così! Dovrei avere attorno a me, almeno i miei fratelli, che mi rincuorassero, che mi dessero conforto! Invece, lo faccio da solo, poi quando passano questi momenti, penso che forse mi auto commisero troppo, ma non m’interessa di auto commiserarmi, è la realtà dei fatti! Sarà sbagliato, sarà controproducente, ma farlo mi fa sentire meglio, mi fa sfogare, perché piango e penso a come si è ridotta la mia vita. E poi Leda, io non credo per niente che sia solo autocommiserazione, lo ripeto, è la realtà dei fatti! E mi commuovo, pensando a quest’essere umano, chiuso fra quattro mura, senza neanche il conforto di una parola, di una presenza! Non c’è possibilità, devo mettermi in testa che devo affrontare la cosa da solo, come ho fatto fino adesso, da solo! Non devo illudermi di poter trovare comprensione o conforto, perché la gente pensa soltanto a se stessa, forse è giusto così! So anche però, che esistono delle persone, e questa è una speranza che mi hai dato tu, disponibili verso gli altri, che amano aiutare gli altri, specialmente quando queste hanno problemi seri! Io ho incontrato te Leda, che purtroppo sei lontana, però qui non ne ho incontrate! > Lo scatto dello stop del walkman, spezzò il silenzio di quella stanza al terzo piano di via Maqueda, e subito dopo l’unico suono che rimbalzava fra quelle pareti silenziose, fu il pianto sommesso di Mauro, che aveva fatto appena in tempo a bloccare il registratore, affinché non fosse inciso il suo dolore, più di quanto aveva raccontato con le sue parole. Per quanto amava, essere sincero con Leda, conservava sempre quel suo pudore, che gli conferiva, secondo lui, la dignità di uomo!

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Le caratteristiche terrazze sui piccoli monti della costiera Amalfitana, mostravano agli sguardi di chi era sul mare intento alla pesca o a una passeggiata in remata, le reti nere quadrate, che proteggevano i filari dei limoni più famosi del mondo. E spesso, per chi era dotato di un buon olfatto, era percettibile nell’aria, sia il loro odore sia quello della salsedine che risaliva la costa, soprattutto al tramonto del sole. I piccoli paesi della costa incominciavano a rianimarsi, i primi turisti, soprattutto tedeschi, incominciavano a rianimare i vicoli, gli alberghi e i ristoranti della costa. Anche Vietri Su Mare si risvegliava dal torpore dell’inverno, e tutto prendeva una luce brillante, fra l’azzurro e il verde smeraldo del mare, il giallo dei limoni, i gerani di tutti i colori, che copiosi a cascatella dondolavano dai balconi, e la Buganvillee rampicante, che ridipingeva da lontano le mura bianche dei paesi arroccati fra il mare e i monti verdeggianti. Sembrava un quadro naif in quel periodo la costa, dove abitava Leda, colori decisi, profumi intensi, suoni e voci accentuate, i vecchi sulle panchine dei lungomari e i giovani che timidamente, provavano già a prendere il primo sole sulle spiagge. Leda, non ci andava al mare, già da lungo tempo, il sole la faceva stare male, la sua pressione scendeva facilmente sotto il suo calore, e quando l’estate esplodeva e tutti avevano la pelle color miele o cioccolato, lei si distingueva per il suo incarnato così chiaro, da essere stonato per il luogo in cui viveva! Leda, somigliava più a una tedesca che un’indigena del luogo; e per sorridere di se stessa, spesso diceva ai suoi amici abbronzati: <Io mi distinguo dalla plebe! Ho il sangue blu!> Una frase ironica, per nascondere il disagio che provava in quei periodi, quando tutti si divertivano al mare e lei non poteva farlo. In quel pomeriggio, mentre ascoltava la cassetta di Mauro, che le rivelava più di quanto Mauro, le aveva detto, stava seduta sulla poltroncina della sua camera da letto. Sulle gambe aveva un appoggio in piano, e disegnava delle grandi farfalle, che poi avrebbe dipinto e intagliato, per la casa di Mauro. La sua intenzione, era di far entrare in casa del suo amico, la primavera, che dalla sua stanza al terzo piano, di una città caotica come Palermo, non si poteva certo vedere in tutto il suo splendore! Disegnava, dipingeva e intagliava, farfalle e rami di pesco bianchi e rosa, per rendere allegro il tinello della casa di Mauro. Ormai conosceva bene, l’anima femminile che viveva nel cuore del suo amico, ed era certa che avrebbe incontrato il suo gusto e la sua sensibilità; una bella idea, che le aveva suggerito un compito, svolto a scuola dal piccolo Riccardo. Leda, senza dire nulla a Mauro, per non urtare la sua sensibilità, si scriveva e si sentiva al telefono con Flavia, poiché si era resa conto che Mauro purtroppo non le diceva sempre tutto riguardo alla sua salute, per non preoccuparla. Sapeva che la toxoplasmosi aveva lasciata la sua impronta nella testa di Mauro, e che difficilmente il batterio sarebbe stato soppresso definitivamente. Nella sua ingenuità, e nella sua grande voglia di comunicare con lei, Mauro aveva dimenticato un particolare, che voleva appunto nasconderle, registrando invece che scrivere. Sulla facciata della custodia dell’audio cassetta, aveva scritto: < Non ti ci abituare troppo amica mia, adesso posso parlarti, ma verrà il momento in cui non potrò farlo come oggi! Ti giunga con questa mia, tutto il mio affetto Leda! Ti voglio tanto bene tuo fratello Mauro>. L’aveva scritto con una penna rossa che scriveva sottile sottile, e la scrittura era totalmente diversa dalla sua solita, prima della malattia grave; era tutta ascendente a destra e in alcuni punti era illeggibile. Quel miracolo dell’acqua asciutta, era stata la proroga che chiese Mauro quel giorno in ospedale, salutare chi amava tanto prima di andare via; e Leda, Flavia e forse anche Mauro stesso, lo sapevano già, senza dirselo! Ci sono cose, che sono troppo dolorose da dire, troppo dolorose per ammetterle apertamente, ci sono cose che sono tacite, si accettano serenamente nell’inconscio, e mentre le accogliamo, cerchiamo di dare e di darci il meglio di noi stessi alla fine! <Chissà poi perché> si chiedeva Leda < Va spesso così! Si dà il meglio, si dice il meglio, proprio quando sai che stai per lasciare questa vita, o perché sai che un tuo caro lo sta facendo! Per quale motivo invece, non si dà sempre e non si dice sempre il meglio!! La vita intima umana sarebbe certamente migliore, nei suoi valori più profondi! Spesso abbiamo delle vergogne e dei pudori strani, che non ci permettono sempre di mostrarci, meravigliosamente per come siamo davvero! E comunemente lo facciamo solo alla fine di questa esistenza terrena! Forse perché temiamo, di essere più esposti, più fragili, nel raccontarci senza barriere e inutili tabù? Se un po’ copiassimo i bambini, secondo me, vivremmo tutti più sinceramente, e alla fine di questa vita, non avremmo nessun rimpianto! >. E mentre faceva tali riflessioni, accese il suo walkman e le espresse a voce al suo amico, per fargli intendere senza peli sulla lingua, che capiva benissimo, il senso delle sue letture Evangeliche a lei, e i suoi commenti di commozione mal celati, dal respiro che cambiava, e il clic repentino dello stop del suo registratore! Nulla si poteva nascondere quel filo tessuto e tenuto teso, dalle leggiadre mani della fanciulla di luce, dai lunghi capelli bruni, non si poteva allentarlo neppure un po’! Il loro connubio affettivo, suggerito evidentemente da qualcuno lassù, era diventato così forte, che qualsiasi cambiamento, nei toni, nelle pause o gli argomenti trattati, raccontava tutto il sommerso che avevano nel cuore! A Mauro, infatti, sfuggì a un’apparente frase buttata lì, ma che non era per niente banale né buttata lì! Era un desiderio profondo, che aveva nel cuore da tanto! < Se potessi vederti, conoscerti dal vero Leda, prima di andare via, sarebbe il regalo più bello che possa ricevere!> Una frazione di silenzio vi fu dall’altra parte della cornetta, prevalse l’istinto prima della ragione, e Leda gli rispose < Contaci fratello mio!> Leda non sapeva perché gli aveva risposto così di getto senza pensarci: non aveva mai viaggiato da sola, l’ultima volta che aveva portato la macchina, risaliva a tre anni prima, poi per ragioni di salute aveva dovuto soprassedere. L’unico viaggio che aveva fatto con l’aereo era con suo marito, quando la piccola Angelica aveva diciotto mesi, ed erano andati a trovare il fratello di suo marito in Germania, a Moos Bei Plattling; ma aveva risposto di si! Parlare con suo marito Massimo, e dirgli le sue intenzioni, non fu facile, era comprensibile l’apprensione di suo marito, sia per il viaggio in aereo da sola, e sia per il timore di incontrare un ammalato di aids alla fine della vita. C’erano tante cose alle quali pensare, discutere, informarsi presso un medico competente per dei suggerimenti di comportamento. C’era da pianificare, dove dormire, dove fermarsi in quei giorni, e soprattutto chi avrebbe accompagnato Leda nella visita a Palermo. Leda, pensò alla sua amica Lina, che scriveva spesso anche lei a Mauro, e Massimo, dopo tante discussioni pensò che potesse essere fattibile. Cadde ogni sua barriera, quando un pomeriggio Mauro telefonò a Leda e le chiese di parlare un attimo con suo marito. < Massimo ascoltami, nella casa di mia sorella Flavia, sono tutte donne e mio cognato è una brava persona, lascia venire Leda a trovarmi, almeno una volta, sai non mi serve di più! La notte sarà a casa di mia sorella e sarà trattata come una principessa, lei e Lina; per favore Massimo falla partire appena può! Te lo chiedo come un fratello più piccolo, fidati di me e di ciò che dico! Telefona tu stesso a mia sorella Flavia, conoscila e vedrai che non c’è nessun pericolo per Leda!> La metà di Marzo portò una promessa, che si sarebbe poi concretizzata agli inizi, di un caldo e luminoso Aprile del 1991.


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Una nuova aria girava fra le pareti della sua piccola casa, Mauro aveva la netta impressione che ogni cosa prendeva una luce diversa. Era una sensazione stranissima! Aveva nel cuore un’immensa gioia, per la venuta di Leda nella sua casa, ma al contempo sentiva che i giorni avanti a lui correvano troppo veloci, e lui aveva ancora tante cose da fare! I giorni sembravano correre così veloci, che non aveva la possibilità di riuscire a vedere tutte le cose che doveva fare, che voleva dire, etc etc. Come spiegarlo! Era come se si trovasse su di un treno ad alta velocità, il passeggero dai finestrini riesce a intuire lo scorrere veloce delle case, degli alberi, i monti e altro, ma non a vederne i particolari e gustarseli! Come di solito invece accade, se viaggi su di un treno accelerato; da dove puoi osservare i particolari che scorrono dai finestrini, puoi fissare più chiaramente nello sguardo, anche le cose che apparentemente sembrano banali! Ecco, lui si sentiva così, da quando sapeva che Leda sarebbe arrivata a casa sua davvero, il tempo gli scivolava via, aveva insomma la netta sensazione che il tempo stava disegnando un punto gigantesco a tutte le sue cose terrene! Forse, questa sua altalena di felicità e pessimismo al contempo, era dovuta al suo effettivo stato di salute; che non migliorava purtroppo, le ultime analisi fatte erano davvero disastrose! Quella mattina doveva ritirare le ultime fatte e stava aspettando Giorgio che lo avrebbe portato al centro medico con la sua macchina. Quando suo fratello bussò alla porta, Mauro era già pronto per scendere le scale; indossava un jeans chiaro, una camicia bianca a righine blu, un maglioncino di filo color corda, i calzettoni a rombi color vinaccio e i mocassini color sabbia che gli aveva regalato suo fratello Giorgio. Era tutto fresco e profumato, aveva come sempre passato su tutto il corpo, il sapone allo zolfo che gli aveva dato il medico, per quelle sue micro pustoline che gli davano sempre tanto prurito. Giorgio dal citofono gli disse: <Non scendere Mauro, salgo io un momento!> Un piccola ansia toccò il petto di Mauro, era diventato così fragile nell’intimo, che si allarmava per qualsiasi cosa! Tenne la porta aperta e dopo un minuto Giorno fu di fronte a lui; < Scusami Mauro, non posso accompagnarti, ho delle beghe sul lavoro, sono venuto a portarti le chiavi e la macchina> Erano quattro anni che Mauro non portava la macchina, ma non gli disse nulla, sorrise e lo ringraziò; sarebbe poi passato durante la serata da lui per riprendersi la vettura. Giorgio abbracciò il fratello, mentre gli diceva: < Dai che la macchina è come la bicicletta! Una volta imparato a pedalare non si dimentica!> E poi lo prese in giro, per quel profumo femminile, che si ostinava a mettere, eau de cologne Jean Marie Farina –Paris. <mmmmmmmmmm che fiorellino di campo sei stamattina!> Gli diede una leggera pacca sulle spalle e rise di cuore insieme al fratello, e già quell’ansia di portare la macchina dopo quattro anni era quasi svanita! In effetti, il disagio durò solo qualche minuto, nel traffico caotico della città, poi il suo corpo si rilassò alla guida, e sembrava che la macchina l’avesse lasciata sotto casa solo la sera prima. Era bello provare quel senso di libertà e di auto efficienza, che non aveva provato più da troppo tempo! Chi guardava dalla propria autovettura o dal marciapiede, quel giovane alto, elegante e troppo magro al volante, non si sarebbe mai accorto di nulla, della sua drammatica realtà! Sembrava un annoiato figlio di papà, a bordo della macchinona elegante, in giro per la città a far da specchietto per le allodole, alle belle ragazze! Era questo il tono che si dava quel giorno Mauro, a suo fratello piacevano i macchinoni eleganti, e lui faceva l’attore per poche ore, giusto per non pensare agli esiti delle analisi che il medico aveva già in mano! Al ritorno dal centro medico, aveva il cuore così pesante, che quasi ne sentiva lo spessore sotto il maglioncino color corda. Insomma, possedeva la macchina, dopo quattro anni tutta per sé, fino a sera! Non tornò a casa Mauro quel giorno, il serbatoio era pieno, si sentiva discretamente nel fisico, i dolori alle gambe che lo tormentavano da due settimane, erano di molto alleggeriti; Ingranò la marcia più alta, mentre in autostrada si dirigeva verso Mondello.    < E’ il momento e l’occasione giusta, non ne avrò un’altra! Voglio rivedere il mare!> La giornata era stupenda, e il sole era così brillante a quell’ora che la sabbia bianca della spiaggia, sembrava farina che brillava mischiata all’argento. Mauro si tolse i mocassini e i calzettoni, e quando sentì la frescura morbida sotto le piante, chiuse gli occhi e respirò l’odore del mare, la musica delle onde, il grido dei gabbiani, che sfioravano l’acqua alta e poi risalivano in cielo come piccole frecce bianche. In quell’istante, mentre era seduto sul bagnasciuga e i piedi erano appena lambiti dall’acqua incredibilmente calda, il treno ad alta velocità si fermò. Davanti ai suoi occhi, tutte le cose erano chiarissime, nette, spietate nella loro dura verità! Quando nei giorni scorsi aveva avuta l’impressione che tutto fuggisse troppo in fretta sotto i suoi occhi assetati di vita, ora si rendeva conto del perché di quella strana sensazione! Stava davvero cominciando a morire; le analisi che il medico gli aveva letto, avevano chiarito il perché dei suoi dolori costanti alle ossa, e di quella febbre che la sera affiorava sempre. Aveva un tumore alle ossa e le metastasi erano già in viaggio per chissà quale altra parte del suo corpo! Il suo treno non era più in corsa né procedeva a piccola marcia, per mostrare il panorama della vita, ma si era fermato ora, di fronte a quel mare, che lui aveva desiderato vedere da tanto tempo! E mentre guardava l’orizzonte che quel giorno era di un blu scuro e profondo, respirò la vita del mare, come se gliene volesse rubare un po’ e allungare la sua! Non era spaventato, e neppure arrabbiato, era triste! Di una tristezza così profonda che se avesse potuto disegnarla, sarebbe stato l’abisso di quel mare che aveva davanti a suoi occhi! I suoi occhi, color dello smeraldo, che ora erano liquidi, come quelle onde che parlandogli, nell’infrangersi delicatamente intorno ai suoi piedi, sembravano rassicurarlo, accarezzarlo e assicurargli l’esistenza di Dio! Immerso in mille pensieri, nei quali volle sperare che esistesse un'altra vita dopo questa, il tempo passò in fretta, e quando Mauro fermò i suoi pensieri, su cosa fare, a chi dirlo per primo e come affrontare tutto, il sole calava all’orizzonte. Sembrava una palla d’oro che galleggiava sull’acqua, mentre nuvole viola, rosse e rosa, formavano disegni fantasiosi, nell’occhio di chi vuole vedere le cose belle che non ci sono! Quel giorno, fece bene ad andare al mare Mauro, poiché fu l’ultima volta che vide la natura, l’ultimo, che gli regalò la sensazione piacevole del sole sulla pelle, l’ultimo, nel quale sentì i profumi del mondo fuori da una stanza! Quella sera Mauro non disse nulla a Giorgio, dei risultati avuti, gli disse che era tutto come sempre, usò la parola <stazionario> e mentre glielo diceva, guardava dentro la pentola, girando il sugo per gli spaghetti che da lì a poco avrebbero mangiato. Parlò con lui di tante cose, come a sfogarsi con le parole, per non sentire il rumore di altre parole, lette dal medico, contenuto di quei fogli bianchi pieni di tabelle, numeri e sigle! Gli disse che finalmente avrebbe conosciuto Leda, che doveva organizzarsi per come riceverla, sarebbe rimasta due giorni interi, ed era una cosa incredibile per lui! Mentre erano a cena Giorgio accese il piccolo tv di Mauro, erano i giorni della guerra del golfo, e spesso il video di vetro, rifletteva quei terribili lampi verdi, che ogni telegiornale trasmetteva a tutte le ore! La gente moriva, il dramma di un popolo, fatto di carne e ossa, giovani uomini, donne e bambini; il tutto era ridotto, agli occhi del mondo, a migliaia di lampi verdi nel buio, come se fosse dei videogiochi e non la realtà della guerra!  < Come possono uomini, che si ritengono intelligenti, che professano la loro fede alla bandiera e a Dio, ridurre così la vita di gente innocente! Uccidere per cosa?? E a noi che siamo al sicuro nelle nostre case, cosa arriva di questo dramma, che ha solo e squallidamente il sapore dei soldi e il potere! Ci arriva la nuova tecnologia telematica! Il sangue che scorre, appare a nostri occhi, sotto forma di lampi e luci verdi, avanti un fondo nero! Sono giorni che mostrano sempre le stesse immagini Giorgio! Centinaia di lampi verdi! E ogni lampo è una città nel fuoco, è centinaia di gente che perde la vita o rimane orfana! Dio mio a cosa siamo ridotti! Che valore ha la vita umana!! La gente muore, mentre a noi sembra di vedere un angoscioso videogioco in tv?> Non si era neppure reso conto Mauro, che nel dire quelle cose, la sua voce era altissima, aveva lasciata libera la sua disperazione, il suo terrore della fine; un pianto sconsolato lo aggredì violento, e Giorgio spaventato corse subito a chiudere la tv. Stettero tutta la sera a chiacchierare di tante cose, Giorgio era davvero convinto che fosse solo la guerra del golfo a sconvolgere il suo fragile fratello, ancora convalescente dall’ultima botta. Mauro non dicendo nulla al fratello, era come se volesse rimandare forse in quel modo la sua morte. Non dirlo, gli sembrava fermare il tempo! Quella notte, ci fu un gran lotta nei suoi sogni; mentre la fanciulla di luce dai lunghissimi capelli bruni lo teneva fra le braccia, consolandolo e rassicurandolo, il drago di fuoco, faceva capolino dal centro dell’immenso stagno di acqua rossa e fiamme! E così per tutta la notte, fino al mattino, più che un sonno ristoratore, quello di Mauro fu “la sua guerra del golfo”!

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A volte un “sì” è detto così per istinto, pensiamo noi! Io invece credo che, quell’istinto è semplicemente una voce sincera e diretta, che ci parla da dentro e ci fa capire la reale prospettiva delle cose! Mauro aveva gettato lì una richiesta, che aveva nella mente da tanto tempo, e Leda aveva detto di sì senza pensare! Qualcuno aveva suggerito loro, che la proroga era stata concessa, e che dovevano acchiapparla ora o mai più! Leda, si preparava in quei giorni a partire, insieme alla sua amica Lina, poche cose in valigia, sarebbe rimasta a Palermo solo due giorni, avrebbe voluto di più, ma il lavoro di Lina, non glielo permise. Se avesse saputo poi, che per colpa del lavoro, Lina gli avrebbe dato buca, sarebbe rimasta a Palermo almeno una settimana! Quando arrivò la telefonata di Lina, che le diceva immensamente dispiaciuta, che non poteva più accompagnarla, a Leda si fermò il cuore! Convincere Massimo, che lei sarebbe partita anche da sola, fu davvero un’impresa ardua!  Leda, “sentiva” pur non conoscendo per nulla gli ultimi fatti avvenuti, che se avesse rimandato, non ci sarebbe stata un'altra opportunità. Il biglietto aereo all’agenzia viaggi per lei e Lina era stato già fatto, e i giorni purtroppo erano solo due, ma lei li avrebbe fatti bastare, tanto si diceva < Ritornerò a fargli visita e verrà anche Lina! > Anche se lei se la raccontava così, dentro il cuore sapeva già, che forse, quello del lavoro fu solo una scusa! Il famoso istinto le suggerì che Lina non era voluta andare per paura del contagio! E pochi giorni dopo, quando Lina andò a farle visita, com’era solito fare, mentre conversavano della sua partenza, nei discorsi, le sue reali ragioni vennero fuori: < Leda, ti sei informata da qualche specialista su quale rischio corri, ad avvicinare Mauro? > Un tonfo in pieno petto ! < Capperi, ma il suo istinto non falliva mai ?> Come sempre accadeva, la dolce Leda, quando sentiva male dentro, perdeva tutta la sua dolcezza! Il suo carattere, che aveva sfaccettature diverse e ben precise a secondo delle circostanze, veniva sempre fuori con fulmini e saette!Era una donna leale, diretta, sincera e passionale Leda, se gli toccavi il cuore, aveva coltelli al posto della lingua!  < Sono una moglie e una madre, vuoi che non sappia come devo difendere me stessa e soprattutto loro? Sai chi corre davvero un grosso pericolo quando sarò lì? Mauro lo corre! Siamo noi così detta gente sana (nel corpo) a trasmettere germi, dai quali un ammalato terminale di aids non può difendersi! Di cosa dovrei avere paura, se non di fare io del male a chi mi aspetta con tanta gioia? E' proprio vera la cosa che non te li danno questi miseri due giorni sul lavoro ?? > Erano caduti fulmini e saette, e l’imbarazzo di Lina si tagliò con il coltello!! La sua amica, stava perdendo una grande opportunità di lustrare un pochino l’anima, ma quando si calmò, Leda cercò di giustificarla! Lina e nessun’altra persona, compreso i fratelli di Mauro, poteva capire il senso di quel filo teso, che era nell’etere da mesi, da mani divine che benedicono solo le cose belle, pulite e cristalline! Ci sono sentimenti di amicizia che hanno una magia speciale, e che nella vita capitano solo una volta! Bisogna fidarsi “della fede” e Leda lo stava facendo da mesi; incontrare Mauro per lei, era come chiudere un cerchio, come quell’anello del Rosario d’oro che gli aveva regalato! Chi tende la mano a una creatura, chi cerca di infondere nel cuore di una persona, speranza, forza, coraggio e fede, non può poi negare la sua presenza!< E per cosa poi? Perché gli altri avevano paura? > Leda, aveva una sola paura, e cioè, che fosse Mauro ad averla! E lasciarsi influenzare dagli eventi, significava solo lasciare andare via un angelo senza donargli quell’ala di riserva che gli era stata promessa! Mancava una settimana alla partenza di Leda, tutto era stato programmato, Massimo aveva parlato con Flavia, lo aveva rassicurato, la sera sarebbe andata a prenderla da casa di Mauro, per riposare nella sua casa, e Massimo aveva in pratica dovuto cedere per forza, Leda fu irremovibile! Con Lina o senza Lina, lei sarebbe partita per Palermo! Quando arrivò la telefonata di Flavia a pochi giorni dalla sua partenza, Leda non era in casa, rispose suo marito, e quando lei tornò dalla spesa e vide il volto tesissimo di suo marito, si spaventò molto. Con voce calma ma rotta dalla commozione, poiché anche Massimo aveva imparato ad amare quel fratello lontano e sconosciuto, le disse che Mauro era stato ricoverato d’urgenza in ospedale. Non seppe, o forse non volle dire le reali ragioni del ricovero ma Leda volò al telefono e seppe direttamente da Flavia cosa stava capitando a suo fratello. Maledetta malattia, infame com’era sempre la morte per chi lasciava questo mondo troppo giovane! Era stato ricoverato per una doppia polmonite, e solo dopo il ricovero, Mauro aveva detto a sua sorella e a suo fratello, che aveva un tumore alle ossa. In concreto, ci era stato costretto, i medici lo avrebbero detto ugualmente! Anche Leda provò la sensazione del treno alla massima velocità! Tutto precipitava all’improvviso, sembrava come se il loro mondo magico, tenuto in piedi da quel filo teso fortissimo, stesse collassando su di loro. Mancavano cinque giorni alla partenza, e a Leda sembrarono cinque anni! Aveva una tremenda paura di non riuscire a mantenere una promessa; in un solo mese e mezzo, tutto era precipitato come una slavina di fango nero sulle illusioni e sulla fede! Quel “sì”, dell’acqua asciutta, doveva aver avuto per forza un significato!! Allora ogni sera Leda, non si addormentava, se non prima di scorrere tutta la corona del santo Rosario. < Tempo, le occorreva tempo! > Quando suo marito la lasciò al gate di Capodichino, le diede un bacio commosso, e le raccomandò di portare un abbraccio grandissimo a Mauro, così anche i suoi figli, commossi ancora di più, per la loro giovane età; non capivano però davvero la drammaticità della situazione, era più un riflesso delle emozioni espresse dai loro genitori. Avrebbero voluto andare anche loro con la mamma, ma su questo, ancora una volta Leda fu irremovibile, non era una cosa per bambini, appena zio Mauro stava meglio e tornava a casa, sarebbero andati anche loro a conoscerlo! Non era una cosa per bambini …. Forse non era neppure una cosa per lei, perché usciva da casa solo a piedi per fare la spesa, o con suo marito in macchina per altre cose; ma quel filo tesissimo nell’etere, era diventato un elastico; che la proiettava dall’altro capo della sua origine, con la forza di uno schiocco di freccia!! La traversata sul mare da Capodichino a Punta Raisi fu emozionante, aveva ventuno anni quando prese il suo primo e unico aereo, e non era da sola; oggi ne aveva  trentasei di anni, ed era da sola, mentre andava a conoscere e al contempo (forse) dire addio al suo migliore amico … mai visto! I fatti della vita a volte possono sembrare assurdi, ma solo perché siamo umani, e non sappiamo vedere le reali ragioni delle cose! Io credo che, tutte le cose, che accadono, anche se sono sottoposte alla nostra volontà o libero arbitrio, come si suol dire, hanno un percorso che non c’è dato di comprendere davvero! I sentimenti non si capiscono, si vivono, si accolgono e si donano senza domandarsi nessun perché! La forma della Sicilia, che Leda non aveva mai visto, si stagliava dall’alto dell’aereo che era, dopo meno di un’ora, già pronto per le fasi dell’atterraggio. Leda, vide i colori diversi del mare della Sicilia, le spiagge bianche brillavano così forte che sembravano lenzuoli bianchi. Da lei le spiagge erano scure e questa cosa la colpì molto, mano mano che l’aereo si avvicinava alla regione, potette osservare l’immensità di Palermo, fra i palazzi antichi del centro storico, visti da così in alto, le strade principali, sembravano piccole arterie, congestionate dal traffico delle auto, che apparivano come formichine brulicanti in movimento continuo. Le persone che sarebbero venute a prenderla avevano un cartellino molto grande fra le mani, con scritto D’Argo, erano, la nipote di Mauro, Silvia e il suo fidanzato Alessio, Flavia l’aspettava direttamente in ospedale. Leda, volutamente, aveva omesso un particolare a suo marito, non aveva detto che l’ospedale di Palermo che ospitava Mauro, era chiamato il lazzaretto. Era una struttura che ospitava in concreto, solo ammalati di aids terminali; e fra le persone comuni, inclusi i bambini, vi erano anche i detenuti. L’ospedale, o succursale di esso, era presidiato da soldati, che avevano sotto il braccio dei piccoli mitra a canne mozze; fu la prima cosa che vide Leda appena entrò “da sola” nella struttura, i nipoti non la seguirono. Dopo il breve tragitto in macchina dall’aeroporto all’ospedale, nel quale si erano scambiate frasi di circostanza e cordiali parole, i ragazzi restarono giù al parcheggio nell’attesa che fosse scesa Flavia. Lasciò la piccola valigia nella macchina di Alessio, tanto le cose le sarebbero servite solo la sera quando sarebbe andata a dormire a casa di Flavia; si attaccò con il braccio destro alla tracolla della sua borsetta di tela, come ad avere la sensazione che qualcuno la sorreggesse, si fece coraggio ed entrò nel lazzaretto. 

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Le avevano sconsigliato di prendere l’ascensore in quel posto, allora salì le scale per tre piani; a ogni piano, sulle scale c’erano soldati, ogni pianerottolo della vecchia struttura, che aveva ringhiere di ferro arrugginito, era presidiata da due militari con il piccolo mitra. Leda, non aveva mai visto da vicino un mitra, e si domandò che senso potesse avere una sorveglianza simile, anche se ci fossero stati delinquenti pericolosi, erano gravi, dove potevano scappare! Fu la prima nota storta che notò, ma la collana era lunga, doveva infilare ancora molte perle alla lunga fila! Finalmente la scala finì, e Leda si trovò in un lungo corridoio grigio, che aveva l’odore del disinfettante, così forte, che le prese un senso di nausea. Prese un fazzolettino di carta dalla borsetta, se lo portò alle narici e proseguì, le avevano detto che Mauro si trovava in fondo al corridoio a sinistra. Incontrò nel percorrerlo due militari che al vederla, le sorrisero con dolcezza.  < Che contro senso > pensò Leda,  <un saluto così dolce, fatto da chi ha sotto il braccio, un mitra! > Erano solo ragazzi, che probabilmente facevano la leva, ed erano mandati a controllare l’infelice giornata di alcuni detenuti che avevano avuto pene per omicidi, chissà! Leda, non ebbe il tempo di avere paura di nulla quel mattino, appena giunta al Lazzaretto, (nome azzeccatissimo) era così grande il dolore che si viveva là dentro, che non potevi sentire paura, ma solo, altrettanto dolore e pena, tanta pena! Ne ebbe la precisa sensazione, quando, prima di giungere alla camera di Mauro, passò  di fianco alla camera occupata da un bambino che poteva avere sì e no dieci anni! La porta stagna che aveva ogni stanza, formata da due letti, era momentaneamente aperta, e Leda vide un piccolo faccino magro, che aveva due occhioni così grandi  che sembravano finestre! C’era un’infermiera che gli cambiava una flebo, e il braccino che teneva sollevato, sembrava un piccolo tralcio di vite rinsecchito e pieno di nodi. Era da solo quel bambino, e Leda si chiese come mai lo fosse, se lei che era una semplice amica, aveva avuto il permesso di fermarsi nelle ore diurne per due giorni, come mai la madre di quel bambino non c’era?La risposta l’avrebbe saputa ahimè più tardi! Era ormai giunta alla fine di quel corridoio che sembrava un girone dell’inferno di Dante, sentiva lamenti e voci alte che discutevano, ma non si fermò, una donna alta bruna e un po’ pienotta, le stava sorridendo e Leda capì subito che era Flavia.  Aveva dei bellissimi capelli neri corti e mossi, e due occhi grandi scuri che brillavano come stelle, era di poco più grande di Leda, l’accolse con un sorriso aperto e le lacrime che le rigavano il viso. Sembrava un po’ incerta su cosa osare fare e cosa non fare, allora Leda, che non aveva mezze misure nell’esprimere i suoi sentimenti, l’abbracciò fortemente, restando qualche secondo fra le sue braccia per confortarla e smorzare quell’imbarazzo che si viene a creare fra persone che si sono conosciute solo virtualmente. <Sei tu Leda? Dio mio come sei diversa dalla piccola foto che ha Mauro! Ora che ti vede mio fratello impazzisce di gioia!! Sta molto male, ma è talmente emozionato che stanotte, mi ha detto, non è riuscito a dormire! >  A Leda cominciavano a tremare le gambe davvero ora! Aveva visto il luogo, toccava con mani sue tutto il dolore di quel posto, che sicuramente passava anche addosso al suo caro amico, dopo tanti mesi, fra pochi secondi si sarebbero visti! Un infermiere addetto a queste cose, fece indossare a Leda un camice di carta bianco, una cuffietta, una mascherina e dei guanti di lattice, Flavia era già vestita di tutto punto, tirò di lato la porta stagna, afferrando la grande maniglia di acciaio e fece scorrere la pesante porta di qualche centimetro, entrò Flavia e dietro di lei Leda; un tonfo sordo, e la porta pesante si chiuse alle loro spalle, Leda era in un altro mondo! Sul letto sotto la finestra, che dava in un cortile interno, c’era un ragazzo così alto, che i suoi piedi per pochi centimetri erano fuori dal letto; aveva i capelli lunghi neri con riflessi ramati, fino alle spalle, e una barba incolta, che denunciava il tempo che era passato da quando non era più stato in grado di farsela. Aveva due occhi enormi, verdi davvero come due smeraldi; forse perché erano pieni di lacrime di gioia! In quel letto Leda vide proprio il corpo e il volto di Gesù Cristo appena schiodato dalla croce! < Dio mio Leda, quanto sei bella! Sembri proprio un angelo blu!>


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Il filo teso fortissimo che c’era stato fin’ora fra i due amici, di colpo avvicinò i due capi all’unica origine che si trovava proprio in quel luogo; e lo schiocco fu così violento che entrambi rimasero senza fiato! Quando s’incontrarono i loro due sguardi, si aprì ”quella porta” che immette in quel mondo parallelo, che corre a fianco alla vita normale di tutti i giorni, ma che non incontra mai la realtà cruda, degli ultimi giorni di permanenza sulla terra di alcuni meno fortunati di altri! Non so dirvi, se questa sia una cosa buona o no! Tendo più a pensare che non sia una cosa buona, non venire mai a contatto con la dimensione parallela! Io credo invece che, se chi sta bene, assaggiasse solo per pochi secondi, entrando appunto in questo mondo parallelo, cosa significa prepararsi a lasciare gli affetti terreni parentali, senza la loro presenza per diritto umano, vivrebbe meglio la propria vita spirituale! Penso che, chi è capace di entrarvi, vivrebbe la propria vita, comprendendo innanzitutto  il reale significato del concetto drammatico che contiene l’espressione Emarginazione o Ghettizzazione! In quel luogo, quel concetto era così reale da avere proprio un corpo tangibile da toccare! Anche chi si prendeva cura dei malati terminali di quel tipo, aveva un atteggiamento totalmente diverso, da chi assisteva i terminali di un cancro. C’era nei loro sguardi, la paura, il ribrezzo e il “ fastidio “ di chi è costretto a svolgere un compito quasi contro natura! Fu questa la sgradevolissima impressione che avvolse il cuore di Leda, in quei giorni. Mauro era lì di fronte a lei, aveva il viso scarno, la pelle emaciata e ricoperta da piccole piaghe, e gli occhi così grandi, da sembrare laghi smeraldini della foresta amazzonica! Quel volto, quello sguardo, furono come una sonoro schiaffone sul suo cuore, e ancora una volta prevalse l’istinto prima della ragione. Leda, tolse la mascherina, che non permetteva a Mauro di vederla in volto totalmente, fece scivolare i suoi avambracci sotto le spalle dell’amico e con gran forza, sedendosi al suo fianco, lo sollevò dalle coltri. Il suo abbraccio fu identico a quello di una madre, che non temeva nulla del suo bambino; una madre che stringeva teneramente al suo cuore, un caro figlio che stava lasciando il mondo, chiedendo a lei, solo un abbraccio! Lo tenne così per pochi secondi, poiché capì subito, dal sussulto di Mauro, che gli provocava troppo dolore quella manovra, il tumore osseo era uno dei più terribili nella terapia del dolore. Quando lentamente lo depose sulle lenzuola, Leda vide nell’espressione del suo amico lo stupore, misto alla gioia senza fondo, che aveva il suo sguardo. Mauro cominciò a piangere a dirotto, mentre le diceva, tra una pausa e l’altra perché faticava a respirare: < Non hai paura di quel che vedi in questo letto? Mi vuoi davvero tanto bene! Sai che sei l’unica che mi ha abbracciato così dopo mia madre, quando ero piccolo? > Leda, sentiva lo sguardo di Flavia dietro di sé, che era ancora nella stanza, appoggiata alla finestra; avvertì un leggero imbarazzo, che non riguardava certo se stessa! Mauro parlava a voce bassissima, facendo delle lunghe pause, era difficile per lui, prendere aria fra una parola e l’altra, Leda se ne rese subito conto, perciò non lo interruppe; teneva le sue lunghe ed eleganti mani fra le sue, e ascoltò. < Tu non sai la gioia che mi stai regalando, dopo tanto tempo ho su di me uno sguardo che non ha paura, ma solo amore! Dio ti benedica per come sei amica mia, sei la gioia che attendevo prima del passaggio! Leda, sorella mia, ricordati che tu non sarai mai più sola e quando avrai bisogno di me, io ci sarò sempre. Ricordati che può morire un corpo, ma non un anima! Ed io, anche se il Signore mi chiamerà a Sé, ci sarò sempre, quando avrai bisogno di me! Tu sarai per sempre il mio angelo blu!> Con queste parole, cominciarono i loro due giorni, vissuti scollegati dal mondo fuori. Flavia lasciò la stanza notevolmente commossa, dicendole che sarebbe venuta a prenderla la sera verso le 21,00, con la mano lanciò un delicato bacio a suo fratello, mentre la porta stagna si richiudeva alle sue spalle sordamente. Mauro con gran fatica sollevò le braccia dalle lenzuola, come a dire  con la sua gestualità <mi dai un altro abbraccio?>. Azzerate le distanze, soli, l’uno di fronte all’altro, parlarono sommessamente, dell’unico argomento che volutamente forse avevano rimandato. Mauro bevve letteralmente,  ogni parola di Leda, mentre gli parlava della dolce fanciulla di luce, dai lunghissimi capelli bruni. Ogni fatto, e ogni scena, che Leda raccontava di Lei, cancellava completamente, tutte le paure che Mauro aveva nell’affrontare quel momento, il distacco, ormai inevitabile, da questo mondo. La sua anima, era così felice, così fiduciosa, alle parole dell’amica, che presto fu impossibile, scindere i momenti, in cui c’era un uomo adulto ad ascoltare o un bambino completamente abbandonato fra le parole/braccia di sua madre! Erano passate poche ore dall’arrivo di Leda, Mauro cercava con tutto se stesso, di non cedere all’effetto degli antidolorifici, ma le medicine vinsero, e le sue folte ciglia all’insù si chiusero dolcemente, mentre Leda gli parlava dei pascoli colorati, dai toni, che sulla terra non erano neppure immaginabili vedere! Leda, dopo pochi minuti, mentre faceva una pausa ai suoi racconti guardando fuori dalla finestra, si rese conto che Mauro si era addormentato, lentamente fece scivolare la mano che reggeva la sua e si alzò dalla sedia. Ora non la vedeva proprio nessuno, si diresse verso la finestra e guardò giù nel cortile interno dell’ospedale, era strana quella tranquillità. Non c’era quasi nessuno che accedeva all’ospedale, eppure era l’ora delle visite, le poche persone che vi entravano e uscivano, erano i medici, le infermiere e i militari quando si davano il cambio nei turni di guardia. La stanza era abbastanza grande, conteneva due letti attrezzatissimi per ogni tipo di emergenza, e un bagno privato, che aveva addirittura la vasca. Quel particolare, della grande vasca bombata, e i soffitti bianchi alti, denunciavano chiaramente l’età della struttura; che non era tenuta male, ma aveva il sapore del vecchio, dimenticato, obsoleto. Leda, si fermò di fronte al lavabo, si lavò accuratamente le mani, mentre il suo sguardo cadde sul suo stesso volto. Era così pallida, il suo solito incarnato sembrava ancora più diafano; forse era la stanchezza o tutte quelle emozioni che provava e si apprestava a vivere. Da dietro le lenti da vista notò che il colore dei suoi occhi era molto simili a quelli del suo amico, e si chiese se era un caso; sembravano davvero fratelli in quello! Per il resto, sorrise mentre lo pensava, il suo metro e sessantatré e i lunghi e sottili lisci capelli biondi, poteva considerarsi per lo più una sorella adottiva! Sorrise di questi suoi pensieri sciocchi, forse fatti per tagliare un po’ la tensione che le metteva quel luogo anomalo, non  tanto per gli ammalati, bensì per gli operatori che li accompagnavano verso la fine. Aveva sentito da Mauro la storia di quel bambino di dieci anni in quella stanza, senza neppure la madre a consolarlo; e ne era rimasta sconvolta! La madre morta, lui in dialisi da quasi cinque e il padre in carcere. Quel bambino era solo, ancora più di Mauro! Non aveva avuto comportamenti rischiosi, tentava solo di restare in vita, mentre il retrovirus, ancora sconosciuto, entrava nel suo sangue tramite la dialisi! Allora Leda, per sentire meno l’angoscia che le metteva quel luogo, faceva pensieri stupidi, cercando di riderci su! La porta del bagno era proprio di fronte al letto di Mauro, e quando Leda uscì, se lo trovò di fronte, in tutta la sua presenza dolorosa. Sembrava dormisse tranquillo, ma dal movimento appena percettibile delle esangui labbra, si capiva che stava parlando. Si avvicinò per sentire ciò che stava dicendo, ma non si capiva assolutamente nulla, lo toccò delicatamente sulla fronte, cercando di non svegliarlo e si rese conto che aveva la febbre altissima. Senza pensarci sopra due volte Leda, aprì la pesante porta a scorrimento e uscì dalla stanza; nel corridoio vedeva solo dei militari, seduti sulle panche lunghe di lacca grigia, addossate al muro, poi da lontano vide una cuffietta bianca, e con passo svelto e deciso si diresse verso quella donna. < Infermiera, vengo dalla camera del signor D’Argo, ho notato che ha la febbre altissima, può chiamare un medico per favore?> Lo disse con tono concitato, e l’infermiera, senza neppure voltarsi e vedere chi fosse a fare la richiesta di aiuto, disse con modi sgarbati: < Cerco il medico di guardia, lei nel frattempo ritorni nella stanza, è pericoloso stare qua fuori signora!> I modi urtati e indifferenti dell’infermiera, provocarono in Leda, una voglia matta di afferrarla per il collo, per farsi guardare almeno in faccia, ma non fece nulla di quel che avrebbe voluto fare; rifece tutto il corridoio con le lacrime agli occhi per la rabbia e l’impotenza e ritornò nella camera di Mauro. Non essendo parente, aveva avuto un permesso speciale per stare due giorni nella struttura ospedaliera accanto all’ammalato, e se avesse detto il suo pensiero in quel momento, ne sarebbe dovuta uscire di corsa! Leda, era una madre, che come tutte, aveva avuto tante volte i suoi figli malati con la febbre altissima; anzi Angelica da piccolina, aveva avuto anche le convulsioni per la febbre altissima, sapeva cosa doveva fare nel frattempo! Andò in bagno, prese un catino, lo riempì di acqua fredda e v’immerse dentro un asciugamano piccolino bianco. Si sedette sulla sedia accanto a Mauro e cominciò a fargli le spugnature fredde, alla fronte e ai polsi; mano mano che passava il tempo e nessun medico era venuto ancora, notò che Mauro era più rilassato, dormiva ora senza più vaneggiare silenziosamente nel sonno. Era inconcepibile il comportamento che era adottato in quella specie di ospedale, era un po’ come dire senza voce < prima muoiono e meglio è!>. Quello era solo un piccolo esempio, di cosa era stata la vita di Mauro in quegli ultimi anni; ora toccava con mano Leda, il significato delle parole di Mauro! Quando diceva < Mi auto commisero è vero, ma forse in questi momenti facendolo, io sento molto di più il calore dell’amore, dell’affetto, perché riesco a darmelo anche da solo! Anche se non dovrebbe essere così! Dovrei avere attorno a me, almeno i miei fratelli, che mi rincuorassero, che mi dessero conforto! Invece, lo faccio da solo … > Quelle parole ora avevano un sapore diverso, le stava assaggiando in tutta la loro cruda realtà; in quella stanza non c’era nessuno dei parenti di Mauro, e sua sorella nell’andare via gli aveva mandato un bacio con la mano da lontano, i nipoti che erano venuti a prenderla all’aeroporto, non erano saliti ……… quante cose ora, chiaramente, le facevano vedere la realtà di Mauro!!! Guardava senza sosta il volto magrissimo di Mauro, gli sembrava impossibile, ingiusto, crudele, andare via così da questo mondo! E mentre lo stava guardando con immensa dolcezza, lentamente, la voce di Mauro disse <Hai paura per me  gioia mia?> Aveva gli occhi chiusi, ma si era svegliato, e aveva letto chiaramente nel suo cuore! Gli prese la mano, abbandonata sulle lenzuola, la portò alle labbra e delicatamente gliela baciò < si Mauro, ho tanta paura per te! >. Il rumore sordo della porta che si apriva fece leggermente trasalire Leda, un’infermiera, che non era quella alla quale aveva parlato, e un medico erano entrati nella stanza, < alla buonora, era passata più di un’ora! > Leda, si alzò dalla sedia, per lasciare libero lo spazio a qualsiasi intervento dei due, e la scena che guardò le lasciò dentro l’anima, un solco di tristezza così pesante, che le sue spalle assunsero un atteggiamento curvo. Ciò che più la colpì però, non fu l’atteggiamento del medico, bensì lo sguardo di Mauro, che andava dai due a Leda, come a dire < vedi di cosa ti parlavo, quando ti registravo le cassette o ti scrivevo? >Il medico era bardato fino agli occhi, sembrava più un astronauta che un dottore, le mani guantate, erano rivolte in alto, come in attesa dei ferri chirurgici per operare, mentre l’infermiera era addetta a “toccare il malato” ossia, semplicemente alzare la maglia intima per esporre il torace allo stetoscopio del medico. L’unico gesto che fece il dottore, fu appoggiare lo strumento sul torace del paziente; l’oggetto scorreva sul petto e sulle spalle, sorrette dall’infermiera, mentre Mauro lanciava sguardi d’imbarazzo per la situazione grottesca che si era venuta a creare intorno ai quattro! Il medico diede la terapia, per tenere su il cuore che era molto affaticato, e l‘antipiretico tanto atteso per far scendere la temperatura, poi uscì dalla stanza, senza dire neppure una parola né a Mauro né a Leda, che in pratica furono trasparenti! La parola “conforto”, umanità, pietas, deontologia medica, erano termini terresti che non si usavano su Marte! Per quanto una persona possa raccontare, uno stato, una situazione, è difficile veramente da capire fino in fondo nella sua crudezza, se non la vivi almeno di riflesso in prima persona! Leda, era arrivata in quel luogo da meno di cinque ore, e aveva visto solo gli sprazzi dell’assurda realtà di quel tipo di ammalati! Mauro era stato sfortunato, come molti altri là dentro; ammalarsi di quel tipo di malattia in quegli anni, era in pratica ritornare al medioevo, quando gli ammalati di lebbra portavano la campanella al collo, per avvertire i sani del loro passaggio! 

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Leda e Mauro rimasero di nuovo da soli, ora potevano ignorare di nuovo il mondo parallelo che anche quando incontrava la sofferenza, continuava a scorrere parallelo per i fatti suoi! Non parlarono per nulla della cosa accaduta pochi istanti prima, perché era, non solo inutile e doloroso, ma soprattutto perché toglieva del preziosissimo tempo a loro due, che ne avevano così poco; solo due giorni! Con grande fatica Mauro parlò a Leda degli anni più difficili della sua vita, quando scriveva o quando registrava, ne aveva parlato pochissimo, accennandolo appena nelle sue poesie. Volutamente, si era riservata la possibilità di farlo di persona, perché dire certe cose così forti, senza avere la persona alla quale le stai confidando di fronte a se, faceva paura a Mauro! Lui voleva “vedere” il volto di Leda, con le sue espressioni mutanti, per capire ”come dire” certe cose! Solo le espressioni che avrebbe fatto Leda, gli avrebbero dato la possibilità di capire, come dire certe cose, così intime e personali, lui ci teneva tanto a confidarle a Leda! Parlò tanto dei suoi fratelli, del non rapporto che aveva con loro, tranne Giorgio e Flavia, parlò dei suoi anni bui nella droga, e del suo amore non corrisposto vissuto e finito male con Angelo. Mauro si rendeva conto, che poteva dire tutto alla sua amica, le espressioni accoglienti e lo sguardo amorevole di lei, lo fecero sentire praticamente al sicuro! Era come riavere indietro per due giorni sua madre, pronta ad ascoltarlo senza giudizio e per di più con quell’amore incondizionato che hanno tutte le madri del mondo! Era l’ora del pranzo, e quando entrò l’addetto ai pasti, anche Leda ricevette il suo pranzo, che tenne in caldo nel frattempo. Aiutò Mauro a sedersi nel letto e dopo averlo convinto a mangiare almeno la carne, gliela tagliò piccola piccola, come faceva quando aveva i suoi figli di pochi mesi; poi la mela cotta, e in fine Mauro le chiese < per favore puoi aiutarmi Leda! Se non lavo i denti, non riesco a riposare!> Leda sorrise, ricordando la pignoleria dell’igiene che aveva il suo amico; si attrezzò, con catino, bicchiere d’acqua e spazzolino. Rise di cuore, alla meticolosità di Mauro nel spazzolarli per almeno un minuto! E Mauro nonostante la situazione per nulla divertente, sorrise anche lui, mostrando i suoi candidi denti, tenuti perfettamente! Mauro voleva ancora parlare, ma Leda lo convinse a chiudere gli occhi e riposare un po’, così anche la febbre sarebbe scesa del  tutto, e quando si addormentò, anche Leda, dopo aver pranzato, lo fece nel lettino a fianco, che era a disposizione di chi assisteva il malato. Il primo pensiero che passò nella mente di Leda, quando finalmente stanchissima si stese, andò alla sua casa e ai suoi affetti :  < Spero tanto che non siano troppo preoccupati, a loro posto, in tutta coscienza io lo sarei!> Quella mattina, dall’ospedale li aveva chiamati e rassicurati, ma prima ancora di loro, aveva rassicurato Mauro, che con apprensione le aveva detto:  < Ora che esci da qui va direttamente al telefono a gettoni in fondo al corridoio, non fermarti a parlare con nessuno e metti il fazzoletto di carta sulla cornetta! Poi , appena rientri lavati bene le mani mi raccomando!> Leda aveva riso davvero divertita, anche Mauro faceva la madre con lei! Pensava a tante cose Leda, stesa su quel lettino, mentre sentiva il respiro leggero di Mauro che era finalmente sfebbrato. Addirittura le venne in mente che poteva essere lei, in quella stanza a essere distesa per le stesse ragioni di Mauro! Pensò che spesso la vita, sia solo un grande colpo di fortuna o di sfortuna; pensò che non sempre i comportamenti umanamente sbagliati, potessero creare l’occasione della disgrazia! E lo pensò per cognizione di causa; perché il bambino di dieci anni, nella quarta stanza del corridoio, aveva l’aids solo perché era dializzato da anni! <Com’era possibile pensare, che queste persone si meritassero di soffrire della malattia che avevano?> Fra tutte le cose più ingiuste e cattive, che si potevano dire in quegli anni, questa era la più tremenda di tutte! Per fortuna era davvero stanca, visto tutte le emozioni alle quali era stata sottoposta quel giorno, e il sonno vinse anche su di lei.



La città di Palermo si presentò al suo sguardo più attento, mentre la macchina di Alessio che era venuto con Silvia a prenderla, la portava a casa di Flavia. Era una serata gradevolmente tiepida del 5 Aprile, Leda osservava le strade del centro storico, i palazzi dall’architettura barocca, le strade alberate, la marea di gente, i negozi aperti fino a tardi. Per lei, abituata a vivere in un piccolo paesino, quella città pur essendo incredibilmente bella, le dava un senso di non appartenenza. Non tanto perché lei non era di quel luogo, bensì per la sua immensità, per il suo caos, e le migliaia di persone che lo affollavano; dando la sensazione a chi la viveva, di essere uno fra i tanti! Cosa che non accade mai nei piccoli centri, perché in pratica ci si conosce tutti da sempre! Leda, poteva sembrare un’adolescente che lascia il suo paesino, per andare alle scuole superiori nella città più vicina. Sentiva la nostalgia dei suoi figli e di suo marito, ma sentiva pure il desiderio grande, che risorgesse presto il sole, per essere di nuovo da suo fratello Mauro, aveva un senso di divisione interna che l'era incomprensibile! Fu accolta con molta cordialità ed anche con qualche risolino d’imbarazzo, le nipotine più piccole di Mauro, non l’avevano ancora ben collocata in quell’ambiente! < Sei l’amica dello zio Mauro? I capelli biondi sono veri?Quanti anni hai? E i tuoi figli sono piccoli o grandi? Il tuo paese è davvero così bello come dicono in tv?> Domande ingenue, sorrisi di ragazzine allegre, che non avevano capito molto della situazione drammatica dello zio? Forse perché tenute allo scuro di tante cose? Chissà!!> Leda dormì nel lettone grande con Flavia, e suo marito Salvatore sul divano della sala. La casa di Flavia era molto grande, sulle mura prevaleva il color rosa antico, e le terrazze avevano le tende da sole, fatte di fine canna, Leda non vide di più. Dopo avere parlato con Flavia della situazione di salute di Mauro, che era compromessa seriamente, si addormentò come un sasso. La svegliò il profumo di caffè che veniva dalla grande cucina, e in un primo momento, il rumore del traffico sotto il balcone; s’infilò la vestaglietta di seta rosa, che si era comprata per l’occasione di quel viaggio e si alzò. Una frugale colazione sotto gli occhi sarcastici del marito di Flavia, Salvatore, che la guardava come se avesse due teste, e le ventose al posto delle orecchie. Agli occhi suoi, forse, una che si dava tanto da fare per un perfetto estraneo malato di peste, poteva solo essere un’aliena! Nei  suoi modi di falsa cordialità, i suoi mezzi sorrisini, era questa propria la sensazione che dava a Leda! Lei ricambiò le sue gentilezze e il suo modo sarcastico di squadrarla da capo a piedi, con il sorriso che di solito si offre ai deficienti, e appena pronta, fu in macchina con Flavia. Era Domenica, e mentre era in macchina, alla luce del giorno, potette ammirare molto meglio le bellezze della città. Con il primo sole, Palermo offriva allo sguardo un’apertura totale; i carretti ricolmi di pane fresco, facevano capolino dai vicoli, e le voci del mercato che era a pochi passi dalla casa di Flavia, la Vucciria, le arrivarono chiare. Mentre la macchina avanzava, dai vetri aperti, si sentiva il profumo  del pane fresco, era davvero buffo che non venisse dai negozi, ma dai carretti trainati a mano dagli ambulanti e le sembrò così strano che il pane si vendesse in strada, <a tutte le ore, compresa la Domenica> le disse Flavia. Un misto fra il moderno e la tradizione si fondeva nella città grandissima, e Leda bevve tutte le cose che lo sguardo riuscì a catturare, aveva da raccontare tante cose ai suoi cari, quando sarebbe tornata a casa; aveva solo quel giorno, domani avrebbe lasciato il suo amico forse per sempre! In assoluto questo pensiero infausto non passò dalla mente di Leda, mai! Mauro si era raccomandato con lei, la sera prima che andasse a risposare a casa della sorella, di farsi accompagnare nella sua casa in via Maqueda il mattino dopo, prima di andare da lui. Ci teneva tanto che lei la vedesse, in fin dei conti, se non fosse precipitata la situazione così velocemente, era là che sarebbe dovuta andare Leda! Flavia parcheggiò la macchina un po’ lontano, poiché non c’era posto, e Leda fece quella antica e lunghissima strada a piedi. Le sembrava di ripercorrere gli scenari immaginati da lei, mentre Mauro le raccontava le cose, tramite gli scritti e le registrazioni. Era come aver letto un libro, essersi fatta una scena personale delle cose che leggeva, nella sua mente, per poi ritrovarsele dal vero, e tutto era diverso. Per il semplice fatto, che sia nel bene sia nel male, la realtà non è mai simile alla fantasia! Poteva sentire gli odori, sentire i rumori, e quel linguaggio dialettale, che raramente aveva sentito da Mauro, che tendeva a parlare sempre in italiano; tranne  piccoli momenti, dove l’accento prevaleva per forza. Accedette  al grande portone antico del palazzo, dove abitava l’amico, salì la lunga scala di pietra che portava al terzo piano senza ascensore, ed entrò nella casa di Mauro. Aveva con sé una piccola macchinetta fotografica, che le aveva imprestato Lina, Mauro le aveva dato il consenso di fotografare la sua casa, perché sapeva che Angelica, Riccardo e Massimo, erano curiosi di conoscere la casa di zio Mauro almeno in foto. E quando Leda, varcò la soglia della sua casa, tutto quello che aveva sempre immaginato, nei racconti di Mauro, fu sotto i suoi occhi, con una luce totalmente diversa! Sembrava la casa di una ragazza, aveva un aspetto incredibilmente lindo e profumato, prevalevano i toni del bianco e del giallo. A Leda, abituata alla sua grande casa antica, con le stanze di sei metri per quattro, le sembrò essere nella casa delle bambole. Tutto era in ordine, nessuna cosa era fuori posto, < forse in quest’ordine così meticoloso vi era la lettura del grande bisogno che aveva Mauro di mettere finalmente ordine nella sua vita?> Leda se lo chiese! L’entrata era un piccolo quadrato con uno specchio a parete finemente lavorato ai bordi, un’applique alla parete, fatto di terracotta, sosteneva una lampadina tonda, due mensole di legno chiaro, sostenevano libri e una piantina di edera rampicante, che cadeva a pioggia nell’angolo. Una piccola porta vi era, di fronte all’entrata quadrata, che immetteva nel piccolo soggiorno, cucina di Mauro. Flavia faceva strada, e Leda dietro di lei, procedeva con passo cauto, come se temesse di fare disordine solo a guardare quel piccolo mondo. Una veneziana bianca divideva il soggiorno dalla cucina, che era piccolissima, ma alla quale non mancava nulla, piccoli oggetti sul lavello, colorati, semplici e ancora lucidi dall’ultima lavata. Vide la credenza di legno antico di sua madre, il tavolo di marmo assemblato alla base, dalla macchina per cucire della Singer, e sorrise a quel ricordo della descrizione che le aveva fatto Mauro. L’amorino a due posti dove si stendeva il suo amico insieme a Tatù a guardare la tv, aveva sopra una copertina di cotone, con disegni astratti, dal bianco al celeste e il nero di fronte c’era la piccola televisione e il famoso bauletto blu del quale Mauro le aveva parlato; dove conservava tutte le sue cose. Quadri astratti, coloratissimi, piante appese dal soffitto, con altra edera rampicante, e poi … vide le farfalle che lei gli aveva disegnato, colorato e intagliate! Le fu impossibile non emozionarsi, vedeva con i suoi occhi, quanto era reale la sua presenza nella casa di Mauro! Nella seconda stanza, un po’ più grande vi era una camera da letto minimalista, un grande letto senza ossatura, come testata vi era, un immenso arazzo tra l’argento opaco, l’oro e l’azzurro indaco; e il suo Rosario dai grandi quadrati in ciliegio appeso sotto di esso. Le foto della mamma, del papà e anche di suo padre! Infatti, Mauro glielo aveva detto che lo avrebbe messo insieme ai suoi cari, e la cosa le fece ricordare l’emozione che le diede, quando seppe di questa parentale delicatezza! Vicino al balconcino della camera, vi era una piccola scrivania, con una sedia bianca dalla seduta in tela gialla, su di essa vi era una grande cartella gialla, ove forse teneva tutta la corrispondenza; Leda non lo apri di certo! Un armadio scompariva nel muro, si vedeva appena la maniglia, che troneggiava nel mezzo della parete tutta bianca. Poi la cassettiera, bianca anch’essa, con sopra dei profumi, la statuetta di un angelo ai piedi di una mamma e il libro Notte Infinita di Romano Battaglia. Il pavimento bianco crema, uguale in tutto il piccolo appartamento, era lucido come se avesse la cera, il bagno, al quale si accedeva dal tinello cucina era piccola e ben organizzato, tutto lindo, con profumi, dopobarba, saponette allo zolfo, di fronte ad uno specchio quadrato, luccicante e pulito. L’unica nota scordante, era quel grande contenitore di varechina, accanto al water, < e sì, per Mauro era davvero un’ossessione, l’igiene!!> Si disse nella mente Leda, sorridendo. Fece tutte le foto che desiderava, poi si sedette sull’amorino con Flavia, che conversò con lei, di tante cose che riguardavano la vita passata e presente di suo fratello; e mentre Flavia raccontava e le mostrava delle foto, Leda ogni tanto guardava l’uscita del balconcino, di fronte al divanetto, ombreggiato dalla stessa tenda da sole di canna sottile che aveva Flavia a casa sua. Poi vide il papiro gigante, con dei fioroni enormi di un  verde vivace, la pianta di malva  e i balconi di fronte, dove spiccavano squillanti i colori della Bouganville e i Gerani. Mancava all’appello solo Cipì e Tatù, e se ci fosse stato anche Mauro lì, sarebbe stato tutto perfetto! Era quasi uguale a come si era costruita nella sua testa, in tutti quei mesi epistolari, la scenografia del suo  libro mentale! La  differenza, stava negli odori della casa e nei suoni, lassù, aveva notato non ne arrivavano quasi; esclusa la campana della chiesa più vicina, la solitudine era il suono più acuto che ci fosse! Presero un caffè, misero in ordine, e poi a Leda le venne un’idea! < Quale cosa più carina e simpatica poteva fare per il suo amico, al suo ritorno a casa? > Leda, ci credeva davvero che sarebbe ritornato a casa, e che sarebbe di nuovo ritornata, con la sua famiglia a trovarlo! Prese dalla borsetta, uno di quei piccoli taccuini gialli, che hanno i foglietti con un leggero strato di colla a un alto, ne tirò via cinque, e in ognuno scrisse una frase affettuosa di buon rientro a casa per Mauro. Prima di andare via, con la complicità divertita di Flavia, che apriva anche lei, in questo modo il cuore alla speranza, Leda incollò in giro per casa questi messaggi di benvenuto, e poi si chiusero la porta alle spalle, pronte ad andare da Mauro in ospedale. Quando le due donne entrarono nella stanza di Mauro, lui era seduto in mezzo al letto, con tre cuscini dietro le spalle, aveva il pigiama pulito di fresco e un bel sorriso stampato sulla faccia. < Ti è piaciuta la mia casina Leda? Avete messo l’acqua al papiro gigante?C’è odore di chiuso? > Così iniziò quella Domenica del 6 Aprile, l’ultimo giorno che li avrebbe visti insieme, senza il supporto di quel filo fortissimo e invisibile, che si sarebbe poi riteso, appena sarebbero ritornati, a essere epistolari. Flavia si trattenne poco tempo, salutò il fratello e andò a casa, e quando rimasero soli, Leda sedette a un angolo del suo letto, pronta ad ascoltare, ciò che Mauro avrebbe voluto dirle la sera prima, quando aveva la febbre troppo alta e lei lo invitò a desistere. Lo sguardo di Mauro su di lei, era carezzevole e gentile, quasi la guardava come se fosse una cosa fragilissima, da tenere con estrema delicatezza, Leda se ne rese conto, e di getto gli domandò < Perché mi guardi così?> Mauro allungò una mano a sfiorarle i lunghi capelli biodi, ma la lasciò cadere sulle coltri, era troppo debole per tenerla sollevata, poi piangendo commosso le disse: < Dolcezza mia, insostituibile amica, sorella, madre e confidente, non puoi neanche immaginare quanta tenerezza c’è nel mio cuore per te, e quanta stima ho della tua persona,  quanto mi è cara la tua anima buona e sensibile! Tu mi hai sempre ringraziato, per meriti che io non riconosco o che forse non vedo, Ma tu hai idea del bene che mi fai con la tua spiritualità e la tua semplicità? Grazie a te Leda e a Dio che ci ha fatto incontrare! Grazie a te, oggi il mio cuore è così pieno di sentimenti! E sempre grazie a te, che il mio cuore trabocca di amore e di speranza! Che Dio ti benedica Leda mia! Non ho parole per esprimerti ciò che sento dentro di me, in questo momento molto particolare! Sta succedendo quello che ho sempre desiderato Leda! Sto cominciando ad avere fede, ma non come quella che credevo di avere, ma qualcosa di incontenibile, che mi fa mancare il fiato!! Tu sei la mia guida spirituale, tu mi stai insegnando la strada; e la cosa magica è che non so’ come stia accadendo! In qualche modo, tu mi stai aiutando a capire, a conoscermi meglio! Perché, come dicevo alla mia psicologa, io non so ancora chi sono realmente, ed ho una grande confusione dentro di me!! Adesso, comincio a vedere qualche spiraglio Leda! Ringrazio Dio che mi ha mandato te amica mia! Sai in questi ultimi giorni qual è stato il mio pensiero più costante, grazie a te Leda? Il desiderio di servire Dio, per davvero nella mia vita, ove fosse possibile vivere ancora! Io desidero ardentemente di diventare monaco, credimi Leda, è vero!Tu amica mia, che continui incrollabile nella fede, a darmi speranza e a farmi credere in qualcosa, che a rigor di logica sembra impossibile! Come si suole dire “la speranza è l’ultima a morire”e se ne avrò tanta, passeranno ancora molti anni, prima del mio “passaggio”devo mantenere una promessa! Non ho paura di usare questa parola Leda, e te la dico senza timore di essere frainteso, perché Dio mi legge nel cuore, ti amo sorella cara, Dio ti benedica Leda, e sia sempre con noi !> Leda guardava gli occhi pieni di lacrime di Mauro, sembravano due gemme di smeraldi profondi, così immensi quegli occhi!Non li avrebbe dimenticati mai più! Non c’era dolore in essi, al contrario, un’autentica felicità che lo avvolgeva tutto, e si domandò come era possibile, che potesse essere stata lei l’artefice di tale stupendo pensiero sulla sua vita futura; e come era possibile che Mauro avesse di lei una considerazione così grande! L’abbraccio che si scambiarono ancora una volta, chiuse forse quel cerchio, che rese complete le loro vite spirituali in evoluzione, ognuno a proprio modo e per ragioni diverse, chiuse quel cerchio che spesso si deve chiudere! Nulla si può contro il destino, i compromessi non sono ammessi!! Leda non si riconosceva in quella creatura che Mauro le aveva appena descritta, ciò che pensò, è che la fanciulla di luce, dai lunghissimi capelli bruni, l’aveva guidata ad ogni passo, e che il risultato nato nel cuore di Mauro oggi, era il Suo intervento, magicamente trasmesso attraverso lei; tutto qui! Lo pensò, ma non lo disse, perché intuiva che Mauro non sarebbe stato d’accordo, ed era troppo bello vederlo felice ora, glielo avrebbe detto quando sarebbe ritornato a casa: <La chiamata a una vita di fede, la fa solo Dio, e non un fragile essere umano! > Quell’ultimo giorno che li vide insieme, fu bellissimo e radioso come l’estate dell’anima, quando è benedetta da Dio! Fecero anche la Comunione insieme, quando il prete venne a dire messa nella stanza di Mauro, c’era una magia  di fiducia, amicizia sincera e ottimismo, che li avvolse; in quell’incoscienza che hanno solo  i bambini o i santi, quando credono fermamente nei miracoli!! Pranzarono insieme, Leda sul tavolino e Mauro a letto, aveva provato ad alzarsi, ma era stato impossibile! Nel pomeriggio Mauro si addormentò sereno, era come se la presenza della sua amica, cancellasse in lui ogni dolore fisico e ogni timore! Mentre Leda riposava sfogliando una rivista stesa sul letto a fianco, Mauro parlò nel sonno. <Leda sei sempre qui? Mica sei andata via? Sei qui davvero, vero? Non è stato solo un sogno! Leda ci sei? Leda ci sei?> La voce divenne un po’ più alta e Leda capì che Mauro stava sognando e la febbre cominciava a salire di nuovo. Si alzò dal letto, scosse leggermente la spalla di Mauro dicendo: <Sta tranquillo sono qui davvero!> < dio che brutto sogno! Ho sognato un uomo cattivo che mi derideva, dicendomi che tu non c’eri, che ti avevo solo sognato!> Leda gli sorrise provando in cuore, la stessa tenerezza che provava per i suoi figli quando facevano un brutto sogno. Prese fra le sue, la mano dell’amico, e lo esortò a richiudere gli occhi, lei era lì, e mentre dormiva gli avrebbe tenuta la mano, così l’uomo cattivo sarebbe andato via! Leda osservava la lunga e magrissima mano di Mauro, il suo anello del santo Rosario d’oro, spiccava su quel pallore, lo aveva messo al medio per paura di perderlo, e mentre lo guardava, ricordava le parole di Mauro, quando le disse: < Ti può sembrare strano Leda, ma mi tiene molta compagnia! Sai come si fa con gli anelli, te lo giri e lo rigiri con le dita, poi lo prendi in mano, sgrani le protuberanze d’oro e preghi le dieci Ave Maria e il Padre Nostro. E’ una cosa davvero bella Leda, sembra una presenza che ti tiene compagnia dentro!> Quando fu certa che egli aveva ripreso sonno, si alzò, avvertì l’infermiera per la febbre che saliva, prese le cose che le occorrevano e rifece le spugnature fredde. Il medico arrivò un po’ più celermente questa volta, non lo visitò neppure, gli sentì soltanto i battiti dei polsi, e quando giunse la sera e si avvicinava il tempo della partenza di Leda, sul volto di Mauro era sceso un velo di tristezza che sembrava palpabile. Somigliava tantissimo al Cristo Velato nella scultura marmorea di Giuseppe Sanmartino. I momenti lieti, anche se può sembrare assurdo tale definizione, in un ambiente simile, scorrono veloci come i pensieri, l’ora di andare via venne e quando si salutarono, non si dissero un granché! Leda gli promise che sarebbe ritornata insieme ai suoi cari, appena fosse ritornato a casa. Non parlarono mai della possibilità, molto concreta, che non si sarebbero visti mai più su questo mondo! A volte davvero bastano solo gli sguardi per parlarsi dentro, non c’è bisogno di altro per capirsi! Il loro saluto, fatto solo di sguardi rassicuranti, sorrisi amorevoli e fiduciosi, fu il discorso più intimo che si può avere sulla terra, prima che una delle due creature, lasci questa vita per  divenire davvero un angelo blu!


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La febbre tormentava Mauro durante la giornata, era diventato un rito l’entrata del medico affiancato dall’infermiera e la scena era sempre la stessa. L’infermiera sollevava la maglia intima e aiutava Mauro a sedersi in mezzo al letto, e il medico guantato e bardato come pronto per lo spazio, sfiorava con lo strumento il petto e le spalle di Mauro. Non c’era una cura per quello che stava accadendo, ai polmoni, alle ossa e al cuore di Mauro, gli erano somministrati farmaci endovena che tenevano a bada solo la sofferenza, per quanto a quei tempi fosse possibile! Da quando Leda, si era chiusa alle spalle quella pesante porta, Mauro aveva interagito con gli altri poco o nulla, era come se avesse chiuso quel cerchio che metteva un punto a questa vita, per cominciarne un'altra! Interagiva solo con sua sorella che andava a trovarlo per poche ore durante il pomeriggio, e alla quale Mauro parlava di Leda e della sua venuta, delle sue impressioni meravigliose che aveva provato, e che ancora lo accompagnavano durante la dura giornata, fatta di sofferenze fisiche, che lo stavano sfiancando sempre di più. Le raccontava, come quella donna lo aveva reso felice, nel fargli scoprire il desiderio di servire Dio, semmai fosse riuscito a vivere qualche anno ancora. Le raccontava, che aveva scoperto che ci sono persone che amano amare e aiutare gli altri, senza chiedere in cambio nulla! Le diceva che sentiva tantissimo la mancanza di Leda, con la quale non poteva più comunicare, ma Leda sarebbe ritornata, e lui programmava con Flavia, la sua venuta, questa volta a casa sua, e tutto sarebbe stato più bello, lontani da quel lazzaretto. Tutti, compreso Mauro, sapevano benissimo che quel lazzaretto sarebbe stato l’ultimo posto che avrebbe visto, prima di andare dall’atra parte; ma a tutti, piaceva pensare diversamente! Questi atteggiamenti, credo che siano normali, poiché evidentemente, sono la miglior difesa a certe sofferenze dell’anima, che sono davvero insopportabili! Mauro restava solo in quella stanza per la maggior parte della giornata, e la notte lo era sempre; ma a differenza di prima, quando Leda ancora non era andata a conoscerlo, quella solitudine, fatta di sudore dolore e paura, si era stemperata. Il volto di Leda, la sua voce, le sue amorevoli mani sulle sue, ancora erano lì a sostenerlo in qualche modo! Era una sensazione che Mauro provava dentro di sé, pur non vedendola, la sentiva presente! E quando la febbre maligna ritornava a essere alta, e le coperte non bastavano a riscaldarlo, Leda diveniva presenza visiva vicino al suo letto. Ora lo teneva fra le braccia, cullandolo come un bambino, ora gli parlava a voce calma e dolce, raccontandogli la storia della fanciulla di luce dai lunghi capelli bruni, ora combatteva contro il drago, per difenderlo dai suoi feroci attacchi. La donna, che secondo lui, lo aveva portato a pensare di scegliere la strada del Signore per servire gli altri, se ce l’avesse fatta a vivere ancora qualche anno, era sempre al suo fianco. Quel filo sottile e resistente che correva nell’etere era così teso e fortemente radicato nella sua anima speranzosa, che una persona un po’ più attenta e sensibile, avrebbe anche potuto vederlo! In quei giorni difficili, infatti, a Flavia era capitato di vederlo, sia per come reagiva suo fratello alla malattia, e sia per le continue telefonate di Leda, in ospedale, quando c’era lei, e a casa quando ritornava la sera e le faceva il resoconto della giornata. Non si poteva più scrivere né lettere, né registrare cassette o discorrere al telefono, Mauro non era in grado di muoversi dalla sua posizione supina, e il tutto avveniva attraverso Flavia, che faceva da tramite; ecco perché il filo era riuscito a vederlo anche lei! < Flavia, domani passerai da casa mia a innaffiare il papiro gigante e la mia salvia? Apri un po’ anche le imposte, così entra aria, non vorrei vi fosse odore di chiuso quando ritornerà Leda!> Flavia gli sorrideva quasi maliziosa quando suo fratello le parlava di lei, le sembrava di vedere in suo fratello, quella (normalità) che erroneamente credeva ci doveva essere in lui. Si commetteva questo errore di ignoranza allora, anche se purtroppo, ancora oggi si ripete quasi con la stessa frequenza lo stesso errore di chiusura mentale! Credere normali gli etero e anormali gli omosessuali o le lesbiche è un atto omofobo ancora molto radicato purtroppo nella mente della massa! Raramente si riusciva a comprendere sia allora sia oggi, che l’amore amichevole e fraterno, non toccasse per nulla la sfera sessuale, ma semplicemente quella dell’anima! Era difficile da comprendere quel loro rapporto così forte e amorevole, che non aveva avuto bisogno di conoscenza fisica per divenire così forte e profondo; tanto da rendere più sopportabile anche il dolore di una malattia così cattiva! Mauro si rendeva conto del significato di quei sorrisi compiaciuti di Flavia, quando parlava della sua amica, ma non ci badava, tanto nessuna spiegazione sarebbe servita per farlo comprendere, lui era felice e basta! Di cosa potevano pensare gli altri, arrivato ormai alla conclusione del suo passaggio terreno, non gli importava proprio nulla!! Era la fine di Aprile del 1991 e l’aria era così tiepida e gentile che anche tutte le cose, i colori e le creature sui tetti, sembravano avere la stessa gentilezza nel vivere intorno ai palazzi antichi di via Maqueda. Cipì era sempre lì, solo un po’ più vecchio, mentre volava sui balconi, questa volta intento però anche a procurarsi il cibo per i suoi pigolanti uccellini che avevano appena rotto il guscio. Sembrava guardare con curiosità, quella alta e bella donna bruna, che dava l’acqua al papiro gigante che lui tanto adorava, come piccolo stagno per le sue piume da lucidare. L’orecchio del cuore, di una persona non comune, avrebbe potuto sentire quasi le sue domande:< E quel ragazzo alto alto e magro che fine ha fatto? E il gatto bianco dagli occhi celesti come il cielo in cui volo, che gli era sempre fra le gambe mentre camminava dove era andato a finire? A dire il vero, non mi dispiace che non ci sia più il suo amico peloso, dovevo sempre guardarmi le spalle mentre andavo a bere e a fare il bagnetto a sbafo!> Aspettò che il vaso del papiro gigante fosse ben pieno, che la donna richiudesse le imposte, e volò veloce e allegro come sempre nel suo stagno privato a ristorare le piume e il becco. Un leggero spostamento dell’aria, mentre Flavia chiudeva l’imposta del piccolo tinello, fece svolazzare le farfalle intagliate di Leda, che erano sotto la pianta di edera attaccata al soffitto, mentre un piccolo foglietto giallo chiarissimo, svolazzò nella stanza fino a posarsi sul marmo del tavolo, assemblato alla macchina Singer. < Ben tornato a casa amico mio! Ti voglio tanto bene, presto tornerò!> Flavia lo raccolse sorridendo, mentre ricordava il giorno nel quale aveva aiutato Leda a incollarli in tutto l’appartamentino.  E mentre faceva il gesto di raccoglierlo, leggerlo e ricordare, nel riporlo allo stesso posto dove lo aveva incollato Leda, una leggera morsa le chiuse la gola; era uno spontaneo sentimento di tristezza e dolore  che stava provando: < Mio fratello non tornerà mai a casa per leggerli, devo dirglielo che Leda gli ha lasciato in casa, nascosti, come una caccia al tesoro, i suoi benvenuti di affetto?> Ci avrebbe poi riflettuto meglio nei giorni a venire, Flavia non diceva tutta la verità a Leda quando le telefonava, le sembrava giusto, perché era lontana e impossibilitata ad andare da suo fratello, mitigare un po’ la realtà sulla grande sofferenza fisica di Mauro e il suo evidente aggravamento, era un atto di affetto verso l’amica del cuore di suo fratello. Finché avesse potuto farlo, in coscienza, lo avrebbe fatto! I giorni passavano veloci e Flavia era convinta che Leda avrebbe fatto in tempo a ritornare, anche se sicuramente sarebbe dovuto riandare al lazzaretto e non in quella piccola e luminosa casetta. Purtroppo nessuno dei tre aveva tenuto conto, dei diversi piani del destino, che spesso lavora contro tutti i progetti che l’uomo si costruisce senza tener conto di essi! Leda dal canto suo, non aveva detto a nessuno dei due, che stava avendo dei grossi problemi di salute, che la costringevano a rimandare la partenza di almeno due settimane. Quando fu costretta a dirlo a Flavia, capì subito dalla breve pausa che fece lei al telefono, che le cose non erano così tranquille come lei, tentava di descrivere riguardo alla salute di Mauro! Per chi è realmente legato da un sentimento che va oltre l’umano, non è difficile, infatti, leggere in un attimo di silenzio, il leggero imbarazzo di una pietosa menzogna! Mauro era stato messo in coma indotto, da cinque giorni, e Flavia, non potette più non sostenerle la verità. Il mondo liquido dove era Mauro adesso, lo trasportava verso i giorni felici della sua prima infanzia, e alcune volte, sia Flavia sia Giacomo, quando gli erano accanto, potevano osservare un impercettibile sorriso disegnato agli angoli della bocca esangue e pallida. Flavia lo diceva spesso a Leda, infatti, che suo fratello incredibilmente le sembrava felice!! Nonostante l’aggressività dei vari tumori che lo consumavano, Mauro spesso sorrideva, come se già stesse vivendo la sua nuova vita, senza più il peso di quel corpo tormentato. La terapia del dolore era abbastanza efficace, quel sistema del coma indotto era la migliore panacea per aiutarlo nel passaggio. C’era solo un momento, che durava lo spazio di pochi minuti, che il suo volto denunciava l’atroce sofferenza che lo fasciava, durava giusto il tempo che il lavaggio fosse cambiato, quando la boccia di vetro si svuotava. Da sotto le folte ciglia brune, girate all’insù, correvano lucenti lacrime che gli rigavano il volto emaciato dal male, ma poi il liquido ricominciava a correre nelle vene e Mauro ritornava a sorridere impercettibilmente agli angoli della bocca!   Ecco il carrettino del pane, trainato dall’ambulante, il piccolo Mauro attaccato sul suo retro, mentre rubava il panino con la farina gialla e il cumino o il sesamo; gli rimaneva sempre attaccato agli angoli della bocca e sulla punta del nasino, quando addentava il panino caldo! Ecco le grida dell’ambulante che se ne accorgeva, e Mauro che si lasciava cadere sul selciato sbucciandosi le ginocchia, mentre correva su per le scale a farsi medicare da sua madre! Un rimprovero poco convinto di sua madre, e un abbraccio, mentre a gambette aperte e con il visetto contro il suo seno, si lasciava cullare da sua madre che era sulla sedia di fronte al balcone arrugginito, mentre rammentava i calzini della sua grande cucciolata! Ecco i tuffi dagli scogli, delle isole delle femmine, quando i suoi fratelli lo tenevano sulle spalle, con le gambette tese in verticale, e quando l’acqua arrivava al torace di Giacomo, dopo una spinta poderosa, lui volava in cielo per poi cadere a candela nelle acque argentee del mare! I déjà vu erano così nitidi e brillanti, così veri e palpabili, che Mauro non era spettatore di una pellicola di film, ma era proprio fisicamente nella scena, con tutti i sapori, gli odori e i sentimenti che erano stati parte viva della sua vita. Persino i momenti più brutti, li visse con lo stesso dolore e la medesima angoscia di allora! Quando per la strada gli gridavano, mentre diveniva uomo, arrusu… iarrusu…jarrusu, termini siciliani per definire gli omosessuali in senso dispregiativo. Gli incontri sbagliati, gli amori non corrisposti, le stanze fumose dei suoi amici, fra virgolette, con i quali dividevano la bestia che correva nelle sue vene. Vide persino la sera, mentre dietro il vicolo della discoteca si divideva la dose da iniettare nel braccio, con Fausto, del quale allora, era innamorato perso! Quel déjà vu in particolare, gli diede la risposta che aveva sempre cercato, quando si chiedeva, < Come l’ho contratto il retrovirus?>. Lo consolò, per assurdo, quella rivelazione, poiché pensò che non fosse stato un momento d’amore a dargli la morte, bensì la bestia alla quale si era legato per un’assurda disperazione di non appartenenza, suggerita dall’ignoranza altrui !! Risentì nel cuore, come fosse uno scoppio di sole in mezzo allo splendido mare della Sicilia, l’amore che aveva provato per Angelo! Quell’amore che lui credeva corrisposto, che visse momenti unici fino a sbiadirsi di fronte alla cruda realtà dell’opportunismo e la menzogna! Provò una gioia immensa per il suo cuore, che ci aveva guadagnato tanto, e un’immensa tristezza per Angelo, che aveva perso un’opportunità preziosa, che forse la vita non gli avrebbe regalato mai più! Un amore, assolutamente pulito!! Pur essendo lui il protagonista in questo film reale e tangibile, in alcuni momenti si sentiva al di fuori di esso. Vedeva tutto chiaramente, ed era una cosa inspiegabile, il fatto che potesse osservare se stesso, mentre viveva la vita terrena, come se fosse una persona diversa che somigliava a lui. E fu in quei precisi momenti paranormali, che riuscì a vedere e a leggere nel cuore degli altri nitidamente! Ogni sentimento, sia bello sia brutto, che riguardava i suoi fratelli, i suoi amici e persino gli estranei che aveva incontrato durante la vita, gli furono chiarissimi! Era una cosa incredibile, difficile da spiegare, ma lui sentiva il malanimo, la pietà, ed anche il processo mentale di ognuno di loro, che lo aveva ghettizzato per com’era e per come aveva vissuto! Fu in quel preciso  momento che sparì dal suo cuore, ogni rancore, ogni rabbia sepolta nell’anima per tanti anni! Sentì per tutti loro, pietà e amore senza riserve! Anche loro, si rese conto, ingabbiati dall’ignoranza che partorisce solo preconcetti, avevano vissuto male la loro vita!In un certo senso, anche loro erano stati, ed erano ancora soli; poichè avevano perso grandi opportunità di evolvere l’anima, perpetrando sempre negli stessi errori! Ed ecco ora i momenti della presa di coscienza, la vittoria contro la droga, Rita Dalla Chiesa, dolce come un angelo, che gli tendeva la mano per un aiuto concreto! E fra l’emarginazione e il dolore della solitudine, rivedeva quel morbidissimo batuffolo di pelo, che aveva trovato nel vicolo vicino casa sua. Tatù che faceva il buffone per farlo ridere, che gli carezzava con la zampetta morbida il mento, la mattina presto, per pretendere la sua  pappa! Il piccolo Tatù, che rincorreva Cipì sul balconcino, mentre si spiumava nel papiro gigante che usava come bagnetto. Tatù che si acciambellava sul suo petto e gli leccava le lacrime quando il dolore usciva dalla sua anima come un torrente in piena! Risentì il sentimento dell’autocommiserazione che donava a stesso, per darsi amore, ove nessuno riusciva a darglielo, perché completamente assente!  E  poi… ecco spuntare il volto di Leda che lo teneva per mano, lo abbracciava e cullava come una madre adottiva, una sorella maggiore che lo amava senza pregiudizi né giudizi! La sentiva dentro di lui, come un amore grande senza nessun tipo di corruttibilità umana, la vedeva come una luce che lo aveva condotto a Dio, senza più nessuna paura del dopo! Si rivide mentre scartava il pacco di Natale, infilava al dito il Rosario d’oro, appendeva sotto il grande arazzo, la grande corona di ciliegio, che quel monaco aveva donato a Leda da inviare a lui; in quel magico giorno della pioggia asciutta! Rivide il presepe tridimensionale, intagliato da Leda, che aveva come personaggi i suoi cari e come Bambino Gesù, sé stesso! Che tenerezza infinita quell’idea di Leda!! Poi all’improvviso vide sé stesso nel letto dell’ospedale, inorridì quando si guardò, c’era sua sorella Flavia e suo fratello Giacomo. Il suo viso, era completamente ricoperto di piccole piaghe, la pelle era attaccata al viso, bianca e raggrinzita, come una vecchia carta buttata e appallottolata per poi essere riaperta nel tentativo di lisciarla! 

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Vide copiose lacrime uscire dai suoi occhi infossati, sempre più grandi, ma chiusi al mondo e senza più luce. Flavia seduta al suo fianco che piangeva accarezzandogli i lunghi capelli neri dai riflessi ramati, ormai spenti anch’essi. Vide Giacomo appoggiato alla piccola finestra della stanza, che lo guardava, era curvo nelle spalle, piangeva tranquillo, quasi come se fosse sollevato. Tentò di parlare, voleva chiamarli, per dire loro che lui stava benissimo e che si sentiva felice, ma nessun suono usciva dalla sua bocca. E mentre fluttuava sul soffitto della stanza e tentava di farsi sentire, sentì una leggera pressione al suo braccio destro, la fanciulla di luce dai lunghi capelli bruni era lì al suo fianco! Sorrideva radiosa come fosse un raggio di sole, e la luce era così forte, che la visione della stanza, del suo corpo sofferente e il dolore dei suo fratelli sparì come fosse stato cancellato da una grossa gomma invisibile. La mano che strinse la sua, aveva una frescura indescrivibile, morbida come la seta; il suo tatto immediatamente gli infuse dentro l’anima un amore che in vita sua non aveva mai provato, neppure per sua madre! Dire che era felice, non esprimeva per nulla, la reale sensazione che provava, era sublime quel contatto, si sentiva finalmente sano, finalmente vivo come non lo era mai stato!! La fanciulla gli sorrise ed era davvero incantevole, delicatamente lo trascinò da quel posto più veloce di un battito di ciglia! Un secondo prima Mauro vedeva il suo dolore e quello dei suoi fratelli, l’attimo dopo si ritrovò con Lei sul mare. Erano tutte e due mano nella mano, ad una grande altezza, volavano così veloci, che quasi non si notava  lo scorrimento veloce delle acque del mare sotto i loro piedi. Poi la fanciulla cominciò a discendere e Mauro potette osservare, con grande emozione la vicinanza delle acque del mare che quasi gli sfioravano i piedi. Risalirono così vicini, l’uno all’altra verso le spiagge bianche, poi i tetti e le terrazze dei palazzi antichi della stupenda Palermo. Ora si poteva vedere la striscia quasi argentea dell’infinita strada di via Maqueda, sfiorarono i tetti e le mura con gli intagli barocchi, fino ad entrare come attraverso un liquido impalpabile, penetrando il vetro di una imposta al terzo piano. Ci entrarono con una facilità, che lasciò Mauro stupefatto! Erano trasparenti eppure tangibili!! La fanciulla sorrise quasi divertita del suo stupore, gli lasciò la mano, quando furono nell’appartamento, era la sua casa, Mauro l’aveva riconosciuta solo in quell’istante! Girò nelle sue stanze, che tanto dolore, solitudine ed anche amore, avevano visto, fluttuando a pochi centimetri da terra; come se fosse un cuscinetto invisibile di aria a trasportarlo dove voleva andare e non le sue gambe! Mauro si era reso conto, che in quel nuovo stato di essere, non aveva bisogno di muoversi realmente fisicamente, bastava avere una volontà, che si trasformava in realtà senza muovere un solo passo fisico! Forse quando vedeva se stesso, era solo perché ne conservava ancora la memoria terrena, ma in realtà, ora si accorgeva che non aveva un corpo fisico, e che poteva volere le cose solo pensandole, ed esse accadevano!! La fanciulla  gli indicò alcuni punti delle stanze, sollevando leggiadramente la sua piccola manina bianca e rosa, e Mauro si accorse di quei foglietti gialli che Leda gli aveva lasciato incollati da un bordo per tutta casa. Non ebbe bisogno neppure di leggerli, il loro significato gli entrò nel cuore immediatamente; mentre nello stesso istante comprendeva i piccoli messaggi, desiderò di riabbracciarla e rassicurarla sulla sua felicità e la sua nuova esistenza. Fu allora che le stanze della sua piccola casa scomparirono all’improvviso, e lui e la fanciulla di luce, si ritrovarono in una grandissima casa antica dai soffitti alti quattro metri! Sulla terra erano le cinque e un  quarto di mattina, del 1° Maggio del 1991, una donna minuta e bionda era supina sul fianco destro al fianco di suo marito, dormivano in un  grande letto. Lei apparentemente sembrava serena, ma dal volto si capiva chiaramente che aveva passato parecchie notti insonni. La stanza era molto grande ed aveva mobili scuri, era adorna di quei mobili che furono moderni negli anni settanta. Mogano nero e acciaio satinato, con specchi bianco fumo e luci rettangolari su ogni lato del grande letto, con al centro della testata del letto, una radio di acciaio, contornata da velluto grigio chiaro. Nella stanza attigua c’erano due ragazzi, una ragazza adolescente di diciassette anni, ed un bambino di undici anni, che dividevano una stanzetta nuova di zecca di palissandro chiaro. Tutta la grande casa era addormentata, fuori al grande terrazzo che affiancava le stanze da letto, si sentiva il grido festoso dei gabbiani, che cominciavano la pesca, volando prima alti nel cielo e poi rasenti la superficie del mare. Mauro si disse che era in un posto simile al suo, dove era nato e vissuto, e mentre pensava a dove poteva essere, si ricordò del suo desiderio, mentre leggeva con gli occhi del cuore quei foglietti giallo chiaro. Non era abituato a quella nuova situazione, gli sembrava tutto troppo assurdamente bello per essere vero; ed ancora ogni tanto, pensava che fosse in un sogno. Poi... sentì quella donna minuta piangere, mentre accorata, scuoteva suo marito nel sonno dicendo: < Mauro è qui, lo sento! Mauro è morto Massimo, svegliati! Mauro non c’è più! > Massimo si svegliò un po’ spaventato, nel vedere sua moglie così convinta di quello che diceva, e con una infinita tenerezza l’abbracciò dicendole: < Non preoccuparti, è solo un brutto sogno!> < No! Non è un sogno, Mauro non c’è più sulla terra! Io lo sento, è qui nelle stanze, è venuto a salutarmi! > Non poteva sapere Leda, che Mauro le stava carezzando il viso per consolarla in quel preciso istante e per farle capire che lui ora era davvero felice! Eppure “ quel filo” straordinariamente continuava ad esistere fra di loro!  Leda, si alzò dal letto e come se fosse un segugio, seguì la scia di profumo che le aveva inondata la casa e che aveva avvertito solo lei!  < Mauro sei tu? Sei venuto a salutarmi?> Sembrava in preda alle visioni olfattive ed epidermiche Leda, avvertiva che lui era lì! Venti minuti dopo, il telefono di casa squillò, Massimo prese la cornetta perché era ancora a letto e vicinissimo al telefono; era Flavia, ed il volto di Massimo sbiancò repentinamente, mentre porgeva con il braccio tremante la cornetta a Leda, Flavia stava dicendo:  < Mauro si è spento un quarto d’ora fa! Prima di andare via, ha riaperto gli occhi per un istante, e piangendo quasi di gioia è andato via sorridendo, era  sereno! Gli ho messo fra le mani, la tua grande corona di ciliegio rosso, Mauro ci teneva tanto, sarà con lui e lo proteggerà per sempre!>  La fanciulla di luce dai lunghi capelli bruni parlò per la prima volta e la sua voce era simile alla musica, gli disse: < Voltati figlio mio, guarda chi c’è!>  Era sua madre, bella come quando si era sposata con suo padre, aveva i capelli corvini e ricci, così lucenti che sembravano contornati di stelle, gli sorrise felice e gli tese le braccia. Mauro si sciolse in un pianto di gioia così profondo, che quasi le vibrazioni di quel suono del suo nuovo mondo parallelo, giunsero a Leda! Infatti, lei era nella sua cucina con il volto fra le mani mentre accoratamente versava le stesse lacrime, senza nessuna gioia però! Leda, sentì che l’aria era elettrica, sentiva chiaramente la presenza di quell’anima amata nella sua casa, ne sentiva il profumo personale ed il calore del suo bene! E non poteva certo immaginare che l’incontro con la donna in assoluto più amata dal suo amico del cuore, sua madre, stava avvenendo proprio nella sua casa! Mauro aveva esaudito tutti i suoi desideri, a soli trentatre anni lasciava la terra. Una luce iridescente, fra l’argento e l’oro, avvolse tutte e tre quelle creature che non facevano più parte di questo mondo, la porta del mondo parallelo si aprì, per poi richiudersi alle spalle delle loro essenze che continuavano a vivere senza più il pensiero sconosciuto della morte! Mauro ora viveva la prova tangibile che non esiste la morte per lo spirito delle creature viventi! Leda, inspiegabilmente, si calmò subito dopo quell’avvenimento paranormale, che lei certamente non potette vedere; ma evidentemente la sua anima sensibile sentì la gioia di Mauro e sentì anche il suo abbraccio prima che se ne andasse via! Leda, sentì nell’anima una profonda calma, smise di piangere e chiuse gli occhi; mentre lo faceva, sentì con le orecchie del cuore la voce di Mauro che la consolava. Alle 12,00 precise il postino bussò a casa di Leda, le consegnò una ricevuta da firmare, e poi le diede una busta giallo ocra. All’interno vi era una foto che Mauro aveva fatto in casa di Flavia, proprio per mandarla a lei. Ci aveva messo più di due mesi ad arrivare a casa di Leda quella foto di Mauro! Chissà se fu un caso o un disegno del cielo! Era una foto molto grande a colori, ove Mauro sorrideva mentre pensava alla sua amica del cuore, e dietro di essa vi era scritto come testamento olografo:

< Il mio pensiero sarà sempre con te, anche se Dio mi chiamerà a Sé, io ci sarò sempre ricordati! Può morire un corpo ... ma non un’anima! A presto tuo Mauro >          


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Ringraziamenti


Un sentito e doveroso ringraziamento va a mia madre Angelina, mia sorella Marilena e mia sorella Rosy, che sono state ottime correttrici di bozze. Senza il loro aiuto avrei senz’altro infilato qualche perla di brutte figure alla mia collana !! Ringrazio di cuore anche tutti gli amici che mi hanno sostenuta mentre mi cimentavo in questa esperienza, che per me è stata la prima in assoluto! Ringrazio soprattutto chi ha fatto nascere in me, la volontà di scrivere questa storia, del tutto vera. Il libro per me,è un compagno che scaccia la solitudine e tiene viva l’immaginazione; ottimi ingredienti per conservare la giovinezza spirituale! In quest’anno speciale ho avvertito il bisogno di sentirmi in compagnia di qualcuno che mi amasse a prescindere dai miei limiti personali. Non mi è stato difficile, risentire fra l’eco silenzioso della mia stanza, la voce del mio migliore amico! Che dopo ventidue anni dal suo passaggio dalla terra al cielo è ritornato a farsi sentire all’orecchio del mio cuore! Sono grata a Mauro D’Argo, di essere stato il mio migliore amico e fratello, e ancora di più gli sono grata, per aver mantenuto la sua promessa, poiché senza la sua presenza amorevole nella mia anima, non sarei mai riuscita a scrivere la sua toccante e bella storia d’amore e amicizia !

Si fidò della mia capacità di scrivere, più di ventidue anni fa, quando m’incitò a scrivere la sua storia, dandomi il permesso, attraverso le sue lettere olografe e le cassette da lui registrate, di raccontare la sua storia, solo per amore della vita, verso tutta la gioventù di questo mondo!

Sia benedetta la tua anima fratello mio, con la speranza di rivederti un giorno!!

                                                                     


                                                                         





                                                                               Adele T......

di  (SA)

scritto nell’anno 2012