Il ragazzo di Ballarò
di Adele T.....
1
Una storia di amicizia,
che supera i confini dell’amore, poiché non soffre dell e implicazioni che esso
offre alle persone. Una giovane vita spezzata da una delle malattie moderne, sconosciute
ai molti negli anni 80: l’AIDS. Una promessa quasi estorta, dal protagonista,
mentre lasciava questo mondo, di scrivere la sua storia: come a testimonianza
di un vissuto sbagliato, sia solo per pochi anni, e alle conseguenze che esso
può offrire ai giovani, che scelgono comportamenti a rischio, dovuti spesso
all’incoscienza della loro giovane età. Una storia che racconta fra le righe
forse, anche la presunzione di credersi immuni da ogni male, quasi immortali,
mentre s’immagina che le cose brutte non possono accadere a noi, ma solo agli
altri. In un giorno speciale, il protagonista del libro, dice alla sua amica
dell’anima:
Scrivi la mia storia Leda, tu ne sarai capace, e forse la mia
storia, potrà aiutare altri giovani, che leggendola, non commetteranno gli
stessi errori che ho fatto io. Errori fatti, per poco amore verso la vita, per
poco amore verso me stesso e malanimo verso i preconcetti della gente; che non
sono però la giustificazione, che ti concede il permesso di farti il male che
loro stessi ti avevano augurato! Mi piacerebbe pensare, che la mia storia,
fosse quella magia, della quale avevo bisogno io, il giorno prima di prendere
la strada sbagliata. Quella magia, che per me, avrebbe fatto la differenza: la
vita! Desidero tanto che un giovane, leggendo questa storia, abbia quella
magia, che sarà per lui la differenza, mi sembri di aver vissuto, anche se poco,
ma per uno scopo onorevole: salvare la vita a una creatura, solo
momentaneamente confusa come lo ero io!
Un’esplosione di
sentimenti contrastanti, che hanno come palcoscenico Palermo e la costiera
Amalfitana. Scenari che vedranno due giovani vite, totalmente diverse, vivere
il connubio della profonda amicizia, senza neppure conoscersi di persona.
Scritta ventidue anni dopo la sua conclusione, per mantenere una promessa, per
ricordare un’anima bella, e perché può davvero essere un esempio per chi ancora
oggi pensa che la droga, sia solo una volta e poi basta, e che le cose brutte
accadono solo agli altri!
2
La splendida
Palermo, affascinante, seducente e pericolosa, s’infrangeva contro il sole
cocente, dell’estate siciliana. La marea di macchine invadeva la città,
riempiendola di rumori più forti, insistenti e sempre uguali. Si sentiva di
lontano la voce dell’ambulante che vendeva il pane fresco. La sua casa era al
terzo piano di un vecchio palazzo, uno di quei palazzi antichi con le ringhiere
di ferro battuto; che hanno i soffitti tanto alti, d’aver la stessa acustica
che si ode in un palazzo nuovo al pian terreno. Il sole passava dalle fessure
aperte delle tapparelle, e quei raggi, che tanto piacciono, perché sono la
vita, gli ferivano gli occhi fino a provocargli dolore. Biascicò una frase
impastata di collera e sofferenza, contro il mondo e contro se stesso. Mentre
si alzava barcollando, da quel letto, che da giorni, non era rifatto a modo!
Rimase per un attimo seduto sulla sponda del letto, si passò le mani esili ed
eleganti, fra i capelli sudati; erano giovani e lucidi, ben lavati e
profumavano di sole! Cercò di fare le cose senza soffermarsi, a pensare alla
sua situazione, gli faceva troppo male! Il caffè gli riscaldò lo stomaco e
rinfrancò un po’ la mente confusa. Sembrava un po’ più vivo, ora che il corpo
aveva ricevuto qualcosa di caldo.
< Sono tre giorni
che non mi rado!> pensò <oggi mi faccio coraggio, devo per forza
guardarmi allo specchio!>. Aveva un bel viso, magro, forte, con il naso
importante, ma non gli piaceva! Sorrideva compiaciuto, alcuni anni fa, quando
guardava i suoi occhi grandi, castano chiaro, spruzzati di un caldo verde
smeraldo! Aveva le ciglia lunghe, girate all’insù; una donna, lo avrebbe
invidiato! Ora, nemmeno dei suoi occhi si compiaceva più! Poiché l’unica cosa
bella, che secondo lui aveva, gli diceva in pieno viso e senza tatto, la sua
cruda realtà! Erano ancora più grandi adesso, sembravano sempre meravigliati
per quanto erano aperti, spauriti, dilatati. Non si vedeva la gioia, la vita,
in quegli occhi giovani e belli! Poiché l’astinenza ne spegneva la luce della
libertà. Quella libertà, che troppo spesso, l’uomo d’oggi cerca nelle cose
effimere, ma … non se ne rende conto, mentre lo fa. E’ questa la tristezza più
grande! Si è convinti che è un “gioco” < Solo una volta, che male può fare? >
Ma poi si ripete il “gioco”, perché è stato bello, ci ha dato l’illusione di un
mondo stupendo, fatto a misura dei desideri più impossibili. E non ci si
accorge invece della realtà ingannevole di poche ore, che a lunghi passi, ti
porta verso la morte. Ci si sveglia allora nel presente, che diviene sempre più
stretto e soffocante, perché ci mostra la sua vera faccia, quella di una
seducente amante assassina! Aveva fatto i suoi buoni propositi Mauro, quella
mattina, davanti alla tazza fumante di un buon caffè. Si era riproposto il
tutto; ma i suoi pensieri, amici ingannevoli, erano già sfioriti, mentre la
voce giovane dava il buon giorno al mattino. Come faceva da sempre, si sedette,
aprì il suo diario, e il suo buon giorno, lo diede scrivendo così:
Mattino-
Momento forte di volontà.
Rinascita e riproposta del tutto.
Veloci selezioni di stanche proposte.
Reazioni continue- e fisiche- e mentali.
Attimo di ribellione … vestirsi del solito!
Mattino-
Fine di evasioni trovate in altre dimensioni;
Forse migliori!
Mattino-
Finito davanti ad una tazza
Di caldo e fumante buon caffè.
Buon giorno!
Mauro chiuse il suo
diario, ma non immaginava che quasi tutte le sue pagine, sarebbero rimaste
bianche. Era un’abitudine che aveva sin da quando frequentava la quarta
elementare, scrivere sul suo diario; era come parlare a un amico immaginario.
Si era sempre sentito timido, riservato, e le sue confidenze non gli riuscivano
a dirle a nessuno, neppure a sua madre.
3
Mauro nasceva a
Palermo il 6 Giugno del 1957, nel quartiere poverissimo di Ballarò, ultimo di
sei figli, sin da piccolissimo si sentiva diverso dai suoi amici di scuola.
Allora si definiva “diversa” una persona che non aveva la classica sessualità, quella
che ti connota nelle due categorie, maschio e femmina. Infatti, il termine
etero, non si usava per nulla, e quando si vedeva un ragazzo che aveva atteggiamenti
femminili, si portava dallo psicologo, perché si credeva fosse malato. Tuttavia
non posso fare a meno di pensare, che se anche ci troviamo nel 2012, forse oggi
c’è qualcuno che la pensa ancora così! Mauro visse la sua infanzia poverissima
ma serena, piena d’amore e spensieratezza. E anche se era nato in una città
enorme e piena di pericoli come Palermo, ove si respirano la storia e l’arte; la
sua vita era circoscritta, in un solo piccolo quartiere, che era per lui, così
bimbo, un piccolo paese.
Fra le case vecchie e
i vicoli del quartiere forse c’è ancora oggi, la memoria del suono delle sue
scarpine bucate che trotterellavano dietro ad un pallone. Forse ancora si sente
oggi, l’eco delle sue grida argentine, mentre si attaccava al carretto del pane,
di nascosto del conducente, per poi cadere con la manina occupata da un panino,
e sbucciarsi le ginocchia.
La sua vecchia casa,
colma d’amore, ancora ricorda, quella stupenda donna bruna che lo cullava,
davanti al piccolo balconcino arrugginito. Di quella madre, che troppo presto
lo lasciò, per volare in cielo, c’è ancora tutto l’amore in quella casa, in
quel quartiere, che lui abbandonò, appena divenne un uomo.
L’aria del
mattino era fresca, quel giorno di Maggio del 1987, Mauro trascinava le sue lunghe
gambe dinoccolate, sul marciapiede infinito di via Maqueda. Sembrava che
guardasse le vetrine, quando si fermava di fronte ad una di esse, ma non era
così. Intenzionalmente tentava di allungare la strada, che di per sé era già
molto lunga. A lui sembrava troppo corta, per quello che si apprestava a fare. Era
terrorizzato da quello che lì a poco avrebbe avuto in mano! Si dirigeva verso
il laboratorio analisi che si trovava alla fine della strada, e dentro il suo
cuore quel disagio che viveva da qualche tempo, era come un’ombra corposa che
gli occupava lo stomaco fino a fargli sentire dolore!
Era da lungo tempo
che aveva malesseri, che non erano legati alla droga che assumeva. Anzi, quando
la usava, la bestia lo ingannava così bene, che si sentiva un leone pieno di
forza e vita! Quando passava l’effetto, precipitava nella realtà delle orribili
sensazioni, quel apparente banale rantolo dietro le spalle e quella
febbriciattola e spossatezza, che non lo lasciavano mai, era una cosa molto ma
molto più seria! Non a caso il medico gli aveva consigliato, dopo altre analisi
di routine di fare la prova finestra dell’Aids. Il sole carezzava gli storici
palazzi di via Maqueda, sembrava giocare con i corpi delle statue, dando a esse
nei riflessi, quasi una parvenza di vita reale. Mauro mentre camminava,
sollevava spesso il capo ad ammirare l’architettura barocca della sua splendida
città, e si diceva spesso, quel giorno, come a rassicurarsi la
coscienza:<Nulla di brutto mi può accadere, c’è troppa bellezza intorno a
me, se fuori è bello, anche dentro di me “deve” essere bello!> Gli capitava
spesso di pensare cose assurde, pur di rassicurarsi e scacciare quella vaga
paura che gli occupava lo stomaco da mesi! I clacson delle macchine lo fecero
trasalire dai suoi pensieri senza senso, una bambina bella come una bambolina
di porcellana, svincolava la manina dalla sua mamma, e correva al centro della
strada. Mauro non ci pensò neppure la frazione di un attimo, era già al centro
della strada, mentre schivava un paraurti e uno specchietto retrovisore, allungò
le braccia e la prese al volo!Sentì l’urlo acuto spaventato della madre che la
chiamava, fra il frastuono del traffico e le frenate; e si ritrovò a tuffarsi
in due occhioni celesti che gli sorridevano. Occhi innocenti, divertiti, del
tutto privi di coscienza, di ciò che le poteva accadere di brutto. Era fra le
braccia di un uomo alto alto, che le carezzava con il cuore in gola, i
riccioletti biondi ed era divertita tanto, dallo stare così in alto e vedere i
grandi più piccoli di lei! La donna quasi lo abbracciò per la gratitudine di
quel gesto, e mentre la sua voce lo ringraziavano mille volte, Mauro si perse
in quegli occhietti di cielo, intensi e ridenti, non potette fare a meno di
pensare: < Questa è la sensazione che si prova, quando si abbraccia un
angelo vero!>.
4
Quel tuffo che
aveva appena fatto, in quegli occhi di cielo, gli aveva dato una forza nel
procedere verso il suo destino, che ahimè era già segnato e forse, lui, nel
cuore, lo sentiva già! Varcò la porta bianca dell’ambulatorio, a quell’ora la
gente era poca, ma a lui sembrò di attendere troppo, un’ansia profonda gli
abbracciò il cuore. Allora lui chiuse le palpebre, per rivedere nella mente
quegli occhi di cielo che lo avevano tranquillizzato. <Il signor Mauro
D’Argo?> Mauro trasalì dai suoi pensieri di quel faccino roseo e morbido, si
alzò di scatto ed entrò nel piccolo ufficio bianco del medico. Il volto del
medico era molto serio, e il suo tono, quando parlò, era calmo, lento e vestito
di una speranza per nulla convincente però! < Lei è sieropositivo, ma ciò
non significa che ha l’aids, è solo positivo alla malattia, con i nuovi
ritrovati medici, potrà rimanerlo anche per venti anni. Non si spaventi,
cominceremo un lungo cammino di disintossicazione con il metadone, per poi
cominciare la terapia per bloccare il retrovirus, in modo che non ci sia la
conclamazione dell’aids. Stia tranquillo, ce la faremo!>.
Mauro si sentì
risucchiare in un tunnel nero, aveva solo la visione centrale della vista, e
nel centro vedeva solo lampi viola e una voce d’eco che gli diceva: <Ce la
faremo!>. La strada di ritorno a casa, vide un giovane ragazzo di trent’anni
correre disperato e pieno di terrore. Agli sguardi della gente che lo vedeva
correre, inconsapevole del dramma, quel ragazzo, sembrava un podista
eccentrico, che correva per le strade della città, con un inappropriato jeans
strappato e una canotta color arancio. I capelli bruni lunghi al collo, che
svolazzavano al vento dell’estate, e lo sguardo color degli smeraldi, dilatati
in un pianto, che li rendeva pietre lucenti, come quelle sotto il mare
trasparente della Sicilia. Correva per la via Maqueda una giovane creatura,
alta un metro e novanta, bella come il sole, ribelle come non mai, non più
verso la morte che offre la droga, ma verso la vita che “sentiva” gli stava
scivolando via! Mauro correva così forte, che sembrava volesse fuggire da via
Maqueda, dalla Sicilia, dall’Italia, dal globo terrestre! Correva via
dall’aids!
5
Le ombre
giocavano con i pochi mobili, che arredavano la stanza di Mauro, il sole era
tramontato da almeno tre ore. L’imposta lasciata socchiusa, nel piccolo tinello
cucina, lasciava passare una leggera brezza, che giocava con un foglio di
carta. Il foglio bianco si mimetizzava quasi sul pavimento dello stesso colore,
ma la poca luce, che veniva dal lampione della strada, lasciava vedere
chiaramente quella crocetta rossa, stampata in grassetto, dall’impiegato del
centro medico. Ed era su quel foglio che gli occhi di Mauro erano posati;
mentre era lì, a ventre in giù sul divanetto, dove si era tuffato stremato
dalla corsa, tra le lacrime cocenti, al suo rientro a casa, tante ore prima. Gli
era sembrato, che più avesse corso, e più lontano sarebbe andato dal suo
destino, disegnato su quel foglio, eppure, inevitabilmente e inconsapevolmente,
dalla sua stessa mano! Lo scambio di siringhe o gli incontri condivisi con i
suoi amori disperati? Che cosa avrebbero detto “gli altri”, perché era un
drogato o perché era un gay? Non aveva ancora preso coscienza, che gli altri
non sanno nulla, neppure della loro vita e degli stessi sbagli! Era solo gente
più fortunata! Lo avrebbe poi capito che nessuno merita un tale dolore! Non
c’era colpa, nelle cose che non si conoscono, nel dolore che ti porti dentro, dal
rifiuto di chi più ami e dovrebbe difenderti! E…cadi in strade sbagliate! C’è
invece molta colpa, in chi ti dovrebbe amare e quindi accompagnare, anche a
calci nel sedere. Sani calci, che ti dicono chiaramente, ti amo troppo per
vederti morire. Ti voglio bene, e accetto tutto di te! “Quella gente” che
dovrebbe amarti e accettarti a prescindere, senza stupidi e sterili pregiudizi
e totale disinformazione! In quegli anni, si moriva di pregiudizi e
disinformazione; e Mauro viveva purtroppo quegli anni! < Domani comincerò la
mia guerra contro di Te! Bestia nera che mi stai rubando la vita!Te l’ho
permesso io, ma domani, quando ti sentirò pulsare nelle mie vene, non cederò
alle tue lusinghe assassine. Sarai tu a morire in me, e non io a morire in te!>.
Quella notte
Mauro dormì in braccio ai draghi, neppure per un minuto ebbe pace,
nell’inconscio che costruisce i sogni. Voleva disperatamente riposare, e
credere fermamente di aver fatto un incubo, e di esserci ancora dentro. Sognò
anche sua madre, che lo teneva abbracciato al suo florido seno e gli cantava la
nenia che tanto amava. Fu una di quelle notti, che nonostante dormi, sei in
connessione anche con la realtà che ti circonda. Sei a cavallo degli incubi,
fra il dormiveglia e la realtà, ancora più nera dell’incubo stesso!Nel sogno
Mauro correva per l’ennesima volta, sembrava che i suoi piedi quasi non
toccassero terra. Gli scogli aguzzi dell’Isola Delle Femmine gli ferivano le
piante dei piedi. Mauro correva e urlava dal dolore, ma non poteva fermarsi!
Quel drago viola e nero lo stava raggiungendo, e puntava dritto al suo stomaco.
Un urlo potentissimo, un attimo di nero e il drago fu su di lui! Schizzò
letteralmente seduto in mezzo al letto, con gli occhi sgranati e madidi di
sudore, si comprimeva lo stomaco per il gran dolore. Tremava come se avesse la
febbre a quaranta, infatti, non riusciva a contenere il tremore che lo pervadeva
tutto, dalla testa ai piedi; mai aveva provato una sofferenza così profonda,
sia del corpo sia dell’anima; e si rese conto che quella sofferenza, era solo
l’inizio della sua battaglia contro la droga. Aveva una sola definizione
quell’orribile malessere che sembrava ucciderlo; astinenza! Restò a lungo
rannicchiato fra le coltri madide, riprese sonno a intervalli brevi,
sforzandosi di ritornare sveglio, per paura di lottare ancora contro il drago.
Di lontano sentì il rintocco del campanile, della chiesa più vicina e si rese
conto che era ormai mezzogiorno. I rumori della città salivano implacabili fino
al terzo piano, la vita fuori apparentemente era come sempre, ma le sue
orecchie avvertivano quei rumori, come ovattati, da una grande coltre. Mauro”sentiva
già”che tutto ciò che era fuori, gli sarebbe stato contro. Vedeva con gli occhi
dell’immaginazione la gente pronta al giudizio, alla condanna, sul suo petto
vedeva incollato il timbro della “Lettera Scarlatta”. Aveva seguito già le
prime trasmissioni che parlavano dell’Aids, e sapeva già, come se vivesse la
sua vita in moviola mentale, che le montagne umane sarebbero state tutte lì, di
fronte a lui, nei mesi a divenire!
<Pronto sono
zio Mauro c’è la mamma?> Gli rispose una voce dolcissima e quasi ancora
bambina, era Silvia, la seconda figlia di sua sorella Flavia. <La mamma è
ancora a lavoro zio, ma stai bene?>. <Ho solo un po’ d’influenza Sissi (così
la chiamava da sempre), mi dici quando rientra a casa?>. < Verso le 16,00
sarà a casa zio, ti faccio richiamare?>. < No gioia mia, richiamerò io,
devo uscire e rientrerò verso sera>. < Va bene, ma…stai davvero male zio!
Vengo da te?> < No gioia, devo davvero uscire! Ho un lavoro che non posso
rimandare, ma stai tranquilla, ho solo un po’ d’influenza, volevo solo sentire
la mamma. Chiamerò io più tardi>. Il piccolo rumore secco della cornetta
riposta sulla base, fece sussultare un pettirosso che si era posato sul papiro
gigante, che Mauro aveva fuori al suo balconcino. Nonostante il caos della
grande città, gli uccellini, ancora facevano il nido sotto i tetti. Mauro si
soffermò a guardare gli occhietti incuriositi dell’uccellino che lo stava
guardando. Un moto di tenerezza gli fece provare una sensazione di calore e
benessere, al suo stomaco dolente. Il tempo di fare due passi lenti e stanchi
verso il balconcino, che il pettirosso era già volato sul tetto. < Cipì voli
via? Magari potessi farlo anch’io e scappare da tutto ciò!>. Vide le arance
nella cesta di paglia, posata sul tavolo, che aveva per gambe, una vecchia
singer. Era un estroso Mauro, e amava circondarsi di cose particolari e carine.
Era stata un’idea che aveva condiviso con il suo amico Angelo. Amico poi! Nessuno
lo sapeva, ma Angelo, era stato mesi prima, il suo più grande amore, ma anche
la sua più grande e cocente illusione! In una delle loro romantiche
passeggiate, avevano visto, nel negozio di un robivecchi, la base arrugginita
di una vecchissima Singer, ed un marmo di Carrara spaccato da un lato. E come
spesso gli accadeva, Mauro pensò, che sarebbe stato bello farne un tavolo
bizzarro e unico. Stavano pensando di arredare, la loro futura casa di coppia; ed
era un’idea carina, farlo in modo unico. “Unici”, come credeva fossero, loro
due insieme!E così da quella base, resa di nuovo lucida da una bella verniciata
in nero matto e il taglio preciso della lastra di marmo bianco, venato di nero,
lucidato a nuovo; era nato il suo tavolo da cucina, che ora trionfava al centro
di quel micro tinello cucina. Quella stanza, più la camera ed il piccolo bagno,
era tutta la casa di Mauro oggi!Il tavolo mirabilmente assemblato era rimasto,
Angelo no! Il profumo dolcissimo delle arance rosse, gli diede uno scossone
allo stomaco contratto, sia dai ricordi dolorosi sia si affacciavano alla sua
mente, (Angelo era una delle persone, oltre ai suoi cari, che avrebbe dovuto
incontrare di nuovo, perché doveva essere informato della sua malattia) e sia
dalla sua realtà ancora più dura di oggi. Con grande sforzo, tagliò
quell’arancia bellissima e la mangiò; non poteva fare altrimenti, era
necessario prendere l’antibiotico, la febbre doveva scendere. Una doccia calda
lo ristorò, quanto basta per avere la forza di scendere lo scalone senza
ascensore, del palazzo in via Maqueda e dirigersi poi a passi lenti, verso
l’ospedale, per la sua prima dose di metadone.
6
L’infinito
marciapiede di via Maqueda, gli dava la sensazione che non finisse mai, le sue
gambe erano talmente deboli, che aveva l’impressione, di essere su di un nastro
trasportatore, che non gli permetteva di avanzare di molto!Si sentiva sfibrato
non solo nel corpo, ma anche nell’anima! Aveva una tremenda paura di dire alla
gente che amava, ciò che gli stava accadendo. Vedeva, con gli occhi della
fantasia, se stesso, camminare per le strade, con attorno al suo corpo, un’aurea
di color viola. Come faceva vedere lo spot pubblicitario in quegli anni in tv,
che tentava di comunicare le prime informazioni sull’aids. La cosa che più lo
angosciava, era costatare che lo avrebbero guardato con terrore!Mauro “sentiva”
su di sé, sempre più marcata, La lettera Scarlatta! Grazie a Dio, il percorso
finì, gli girava tanto la testa, e non vedeva l’ora di sedersi. L’odore
dell’ospedale gli penetrò nel cervello e pensò: <Quest’odore sarà mio amico
e mio nemico per il resto della mia breve vita?>. Si sedette sull’anonima sedia
di alluminio del consultorio interno all’ospedale, con lo sguardo spento,
guardava lontano senza nessuna meta precisa. Non sentiva neppure i rumori
intorno a sé, mentre attendeva, la vita gli scorreva accanto come sempre, ma
lui non la sentiva in quel momento, aveva solo una disperata voglia di farsi! L’attesa
non fu lunga, Fulvio Marini, il medico che gli aveva fatto un piano di cura,
per la disintossicazione dall’eroina, abbinata alla cura per il retrovirus, lo
chiamò. Mauro era lì di fronte a lui, e i suoi bellissimi occhi verde scuro,
erano spalancati con meraviglia e paura, di fronte alla pila di flaconcini di
plastica allineati sulla scrivania. Il medico gli porse il bicchierino bianco,
con la dose di metadone, e Mauro con le mani tremanti lo bevve in un sorso
solo, non voleva pensare agli effetti collaterali! Quella medicina, non poteva
essere più cattiva della droga!L’eroina lo aveva condannato, le medicine che
erano di fronte a lui, non avrebbero dovuto fargli così tanta paura, perché non
ne aveva mai avuto per la droga! Che strana la mente umana si disse! <Non ho
avuto paura di uccidermi con le mie stesse mani, e ora dovrei avere paura di
medicine che mi vorrebbero salvare?>. Mentre il dottor Marini, gli spiegava
come assumere le medicine per la sieropositività a casa, il tremore che aveva
addosso per l’astinenza incominciò a scomparire. Mauro iniziò a sentirsi la
testa più libera e lo stomaco non gli faceva più tanto male. Poteva curarsi da
solo a casa, ma non certo con il metadone! Quello doveva assumerlo solo di
fronte al medico, doveva recarsi in ospedale per quello, e Mauro era
consapevole che sarebbe stata dura!
Il traffico a
quell’ora era pazzesco, la gente usciva dagli uffici e l’orchestra fastidiosa
delle grandi città, si esprimeva con tutto il suo grande vigore! Mauro si
sentiva quasi bene, dopo la dose di metadone e non voleva più tergiversare.
Doveva vedere sua sorella, prima di affrontare un'altra notte da solo, con il
suo terrore! Attese poco sul marciapiede, fra lo strombazzare delle macchine e
la puzza degli scappamenti, il bus 101 lo portava da sua sorella Flavia. <Come
cominciare quel discorso?>, pensava Mauro, mentre una donna con le borse
della spesa, lo schiacciava fra la porta di uscita e il tubo di ferro che
stringeva fra le mani per non cadere. Flavia per lui, non era stata solo una
sorella, ma soprattutto una mamma, da quando così piccolo avevano perso la
loro!Era anche l’unica sorella, gli altri quattro, erano maschi più grandi di
lui. < Il cucciolo della figliata, pecora nera che camminava sull’altra
sponda, ora aveva anche la lebbra degli anni ottanta!>. Questo era il pensiero cattivo che aveva di sé,
nel cuore, e si chiedeva, se lui era così cattivo con se stesso, come sarebbero
stati gli altri con lui? Comunque ora non aveva più tempo di pensare, ora
saliva le scale della casa di sua sorella e le sue quattro stupende nipotine,
ora aveva il dovere di stamparsi un sorriso di circostanza, per le ragazzine,
alle quali non voleva dire assolutamente cosa gli stava accadendo! Non si
aspettava che le circostanze, quella sera, lo avrebbero favorito; le ragazze e
il loro padre erano andati al cinema, trovò Flavia da sola, che stirava una cesta
colma di panni. Flavia capì subito che qualcosa di grave stava accadendo a
Mauro! Lei sapeva che faceva uso di droga, E pensò che si fosse messo in guai
grossi proprio per quella tremenda dipendenza. Mauro lo abbracciò, e finalmente
riuscì a fare, quello che da giorni si era negato. Fu un torrente in piena, che
straripò dai suoi occhi e scosse il suo torace così fortemente, che Flavia si
sentì gelare dalla paura!Lui più alto di lei, di almeno quindici centimetri,
sembrava un bambino piccolo, inconsolabile, fra le braccia di una madre. Mauro
non ebbe più né barriere né incertezze, non disse alla sorella, cosa gli stava
accadendo; ma lo vomitò letteralmente! Si sentì mortificato per il suo
malessere così espletato, sulle mattonelle a mosaico della sua bella cucina di
fine ottocento e comprese quale effetto collaterale gli avrebbe poi dato il
metadone assunto. Flavia lo fece stendere sul divanetto che aveva in cucina, di
fronte alla tv, gli porse un panno bianco bagnato di fresco, che appoggiò sulla
fronte. Aveva un sorriso dolcissimo e Mauro si sentì lacerare il cuore, al
pensiero del dolore che le stava per dare!
7
Mauro cercava di
mettere a fuoco il viso di Flavia, i suoi occhi erano diventati due sorgenti, non
riusciva più a frenare tutto il dolore che aveva accumulato dentro, in quei
giorni, vissuti come in trans, tra la realtà e la fantasia degli incubi. Per la
prima volta, saggiò le contrastanti sensazioni che davano, il sapere di avere
potenzialmente l’aids. Dalla paura, passare alla rabbia, e da essa ritornare in
pochi secondi alla pietà di sé. Poi ancora … al suo accoglimento; come
carezzare la testa di, un lupo cattivo, per convincere la bestia rabbiosa a
calmarsi e a non sbranarlo! Quelle emozioni erano come le onde di uno tsunami,
che vengono dall’epicentro del terremoto. Onde che si gonfiavano alte dieci
metri, rotolando, tuonando, sulla superficie della sua anima, per poi
infrangersi nel suo petto scosso dal pianto irrefrenabile, travolgere e trascinare
via con sé, ogni parte del suo corpo e della sua anima ridotta a brandelli! E
alla fine, languire nella risacca della calma, fra gli anfratti della sua mente
stanca e paradossalmente rassegnata! E mentre tentava, fra le lacrime, di
vedere il volto di Flavia che scopriva dalla sua stessa voce, la realtà del suo
destino; Mauro lesse sul volto della sorella la disperazione e il terrore, che
può avere solo una madre consapevole della fine di suo figlio. Quella piccola
cucina di atri tempi, accolse fra le pareti un solo suono, i singhiozzi di
Flavia; che si era allontanata dal divanetto dove era steso Mauro, e girava la
stanza con le mani sul volto, come se avesse perduto il senso
dell’orientamento. Mauro con grande sforzo, si alzò dal divanetto, aveva la sensazione
di avere corso venti chilometri; tanta era la pesantezza di trasportare il suo
corpo, dalla posizione supina a quella eretta. Era dietro Flavia in tutta la
sua altezza, la prese fra le braccia e la avvolse come un bozzolo che protegge
la futura farfalla. Flavia si svincolò, con lentezza da quell’abbraccio che in
pratica le chiedeva perdono, si girò tenendo gli avambracci tesi sul petto di
Mauro. Cercò i suoi occhi e con espressione, dipinta da dolore e timore, disse:
<Che cosa posso fare per aiutarti, cosa dice il medico. E … come si deve
comportare chi ti sta accanto, cosa può e cosa non può fare, per proteggere te,
se stesso e gli altri ? >. Il viso di Mauro divenne una maschera di pietra, sentiva
che la sorella lo amava da sempre, ed era davvero disperata per lui; ma nella
sua mente, rimbalzavano fra le pareti della coscienza, le ultime frasi. <
come si deve comportare chi ti sta accanto, cosa può e cosa non può fare, per
proteggere te, se stesso e gli altri ? >.
Le pareti bianco
ghiaccio della sua camera da letto, erano rischiarate dal faretto che
illuminava, il basso rilievo barocco dell’antico palazzo. La sua luce soffusadipingeva
intorno alla stanza, ombre e presenze sia amiche sia nemiche! Il sonno non
voleva accoglierlo, e quando a sprazzi Morfeo lo stringeva a sé, Mauro
risentiva a rallenty quella frase di Flavia. Neppure quello che disse dopo,
riuscì a cancellare quella frase, detta di primo istinto!Neppure il sapere che
si sarebbe occupata lei di informare i fratelli e gli altri parenti. Non riuscì
a cancellarla, neppure la promessa sincera, che non lo avrebbe abbandonato, e
che in qualche modo, si sarebbe divisa, fra il lavoro, la famiglia e lui! La persona che più lo amava al mondo, aveva
paura di toccarlo, abbracciarlo, consolarlo! In quegli anni, un ammalato di
sieropositività, anche se non aveva l’aids, era un portatore di morte; e la
persona che ne era affetta, viveva drammaticamente, una vera e propria morte,
morale e sociale. Per tutte le malattie senza speranza c’era il senso della
pietà e dell’accoglienza totale, non era colpevole chi aveva un cancro e doveva
morire! Chi era sieropositivo, era additato come, il solo responsabile di tale
dramma, e molti addirittura erano convinti che lo avessero meritato!Nella malattia
c’era l’emarginazione, nell’emarginazione! Poiché molti erano convinti che fosse
trasmissibile, solo dalla droga o dall’omosessualità. L’informazione era ai
primi albori della conoscenza, e tanta gente inconsapevole, compreso i bambini,
si ammalava anche solo per aver avuto una trasfusione. Tutto questo Mauro non
lo sapeva, come tanta altra gente; e allora anche lui pensò, che fosse il
giusto castigo, per la sua vita sbagliata. Il fisico provato cedette il passo a
un sonno profondo e agitato, ogni muscolo del suo corpo era teso, fra le coltri
umide di sudore. La realtà si distaccò completamente da lui, la porta dei sogni
si spalancò e Mauro si ritrovò sulla scogliera dell’isola delle femmine! Correva
a piedi nudi, sugli scogli aguzzi, e anche se nel sogno, non sentiva il suo
peso corporeo, avvertiva il dolore delle ferite sotto le piante. La voce del
suo pianto sconsolato, la sentiva fuori dal suo corpo, come se fosse una
persona di là dall’orizzonte del mare a parlare. Era come uno spettatore, che
vedeva se stesso correre a perdifiato, quasi sospeso da cuscinetti d’aria sotto
i piedi, che sfioravano gli scogli, ferendosi lo stesso! Quel giovane uomo che
vedeva correre sino allo scoglio più alto, per poi lanciarsi in mare, era lui! Era
scarno in volto, aveva i capelli lunghi fino alle spalle, ed una barba bruna
incolta, lunga di mesi. Due occhi grandi, che sembravano sproporzionati al
volto, così macero e piccolo; era un fuscello di ossa, con la pelle attaccata e
macera di pustole e sangue. La corsa finì, le braccia erano tese e il pianto
era finito; e mentre le gambe macere, prendevano l’ultimo briciolo di forza,
per fare il salto nel vuoto, una luce intensa come un lampo lo paralizzò! <
Fermati, fermati!!Siediti accanto a me,ti dirò chi sei davvero, e quanto amore
ho io per te!> Una creatura asessuata fu di fronte a lui, aveva un abito
bianco, fermato in vita, da una corda di spago intrecciato. I capelli lunghi
leggermente mossi e di un castano dorato con riflessi d’oro. I suoi occhi
sembrano piccoli soli, e infondevano in lui, che lo guardava esterrefatto, una
strana calma accompagnata da un pizzico di gioia incredibile. Mauro gli tese le
mani, poi s’inginocchiò di fronte a lui, che era seduto sullo scoglio, e gli
posò il capo stanco sulle ginocchia; la creatura, parlò.< Hai smesso di
parlare con me, che eri un bambino, non credi sia giunta l’ora di riprendere il
nostro segreto discorso, che tanto ci faceva felici la sera prima di andare a
letto? Ricordi com’era bello, quando la mamma ti rimboccava le coperte, e ti
diceva, non dimenticare la preghiera del buon riposo!Ho atteso molti anni, che
tu mi chiamassi, per tenerci compagnia, ma tu ti sei scordato di me!O forse
credevi che non fossi più degno della mia amicizia, visto le scelte che ti
apprestavi a fare?Hai dimenticato che ti amo così come sei, e che il giudizio
non fa parte del mio mondo? Non potevo più sopportare il tuo dolore, ti
chiamavo ma tu non sentivi! Era troppo forte la tua rabbia ed il tuo affanno, e
le tue orecchie, per queste ragioni, non mi sentivano più!Ma ora è giunto quel
momento , così ben ricordato da un poeta spagnolo;ora ti prendo in braccio e
sulla sabbia vedrai fino alla fine, la mia orma che ti sorregge!> Cipì, dal
tetto volò sul balconcino di Mauro, a bere l’acqua stagnante del suo papiro
gigante,un gorgheggio allegro ed un frullo di piccole ali, creò uno spostamento
d’aria lievissimo, come fu lieve il bacio,che la creatura di sole diede a Mauro
sulle gote, prima di andare via, per poi fondersi con l’orizzonte e l’inizio
del cielo. Mauro si risvegliò, ancora sospeso, fra il sogno appena fatto e la
realtà della sua stanza, appena rischiarata da un raggio di sole che s’incrociava
con l’ombra dello stante centrale dell’imposta. Una croce disegnava le sue
lenzuola, e su essa Mauro si risvegliava da un sonno agitato, che gli stava
portando una speranza che credeva perduta.
8
L’estate
siciliana era scoppiata in tutto il suo splendore, il profumo delle zagare che
adornavano il giardino pensile di fronte al balconcino di Mauro, era una
sinfonia per l’olfatto. Cipì si divertiva un mondo a picchiettare con il becco,
la terra umida dei vasi in fiore, razzolando con le minuscole zampette,
sembrava facesse una danza rituale. Mauro era in strada, e il mercato della
Vuccirìa, ove lui si era recato quel mattino, era stracolmo di profumi e colori.
Le arance tagliate a metà nelle cassette di legno, come dimostrazione della
loro bontà, gocciolavano perle rosse come sangue, ed il loro profumo faceva
venire un languorino, che te ne faceva provare il sapore anche solo con la fantasia.
I carrettini trainati a mano erano stracolmi di pane caldo di tutti i tipi; farina
gialla, cimino, sesamo, panini all’olio e focacce bianche con olive grosse come
monetine. Il banchetto dei pesci, sembrava un fondale marino sulla terra, pesci
e frutti guizzavano di vita, come se fossero ancora nel loro habitat. Quel
giorno Mauro si sentiva bene, la cura con il metadone funzionava alla grande, e
sempre più raramente sentiva il bisogno di pensare alla bestia. In sostanza era
quasi del tutto soffocata dalla vita che riprendeva possesso della sua mente! Comprò
poche cose, i risparmi gli dovevano bastare per lungo tempo, il suo lavoro nel
campo edile, era saltato una decina di giorni fa. Palermo era grande sì, ma
come sempre funziona in tutti i posti del mondo, dove c’è una grande città; ci
sono anche i quartieri, e quelli erano tutti piccoli paesi. Fra gli amici, e i
conoscenti di Mauro si era sparsa la voce che lui fosse siero positivo e a
Mauro non davano più lavoro, accampando la scusa che gli operai erano già tutti
piazzati, le imprese della città, caso strano, non avevano bisogno di mano
d’opera! Senza lavoro, le giornate avevano due aspetti diversi; nel primo,
Mauro si sentiva libero di potersi curare, rispettando gli appuntamenti medici
e riposare quanto doveva, per stare bene. Nel secondo , il tempo scorreva
troppo lento, ed occuparlo bene, pensando poco e positivo, era praticamente
impossibile! Era passato tanto tempo, da quando ne aveva parlato con Flavia, aveva
ricevuto qualche sua telefonata, che chiedeva della sua salute ma quella lunga
scala di pietra antica del suo palazzo, non era stata mai pestata dalle affettuose
scarpe di nessuno. La falcata di Mauro, era lunga sicura e quasi spavalda,
mentre rientrava a casa, fra le mani, i sacchetti della frutta e il pesce
fresco, percorreva l’ultimo tratto di strada, dalla fermata del bus e il grande
portone di legno scuro del suo palazzo, vi erano da passare una piccola
traversa. Mauro la imboccò a testa bassa, immerso nei suoi pensieri, non fece
caso alla pila di cartoni vuoti che erano in fondo al vicolo, ma un movimento
di uno di essi, fu accompagnato da un suono che lo incuriosì.
Si avvicinò cauto,
incuriosito dal movimento dello scatolone, e si trovò di fronte a due occhietti
azzurri chiarissimi, un gattino bianco, striato di beige e ruggine, lo guardava
tutto spaventato. Doveva sentirsi davvero microscopico, di fronte a
quell’essere alto come una torre!Era un piumino di pochi mesi, tutto
impolverato, che mostrava con i suoi miagolii acuti, paura e fame; ma fece poca
resistenza, con le unghiette piantate nel cartone, prima di lasciarsi prendere
da una sola mano, gigante per lui!
< Gioia! Che ci
fai qui tutto solo senza la tua mamma!Vieni con me batuffolo, ti porto a casa
mia, anch’io sono solo come TE>.
Fu una vera impresa, tenerlo
fermo nella vaschetta con acqua saponata, ma era la prima cosa da fare, non
aveva soldi a sufficienza per portarlo a fare la toletta. Tatù ne uscì fuori
candido e profumato,erano ancora più nitide le striature beige e ruggine, sopra
quel bianco candido come la neve! Era bello avere un amico con il quale
condividere la solitudine, e quegli occhi di cielo erano così simili a quella
bambina salvata dalle ruote di quella macchina, nel traffico della città! Gli
infondevano la stessa tranquillità, visualizzata nel cuore, mesi prima, in
quell’ambulatorio di esami medici, occhi innocenti e ridenti mai dimenticati! Una
vecchia scatola di scarpe, per il momento, funzionava da lettiera per i
bisognini, posta sul balconcino fra il basilico e il papiro gigante, mentre una
ciotola di plastica, che aveva contenuto un yogurt, era il suo piattino pieno
di latte caldo. Da lì a meno di un’ora, con il pancino pieno Tatù, e quello di
Mauro altrettanto, i due coinquilini erano uno sopra l’atro, stesi sull’amorino
del tinello. Mauro nell’oblio del sonno leggero della digestione e Tatù che
attivava le fusa più sincere del mondo! Il vecchio televisore di diciassette
pollici in bianco e nero, stava trasmettendo Canale Cinque per voi, e la voce
calma e suadente di Rita Dalla Chiesa, era l’unica voce umana che si espandeva,
in quella piccola stanza colma d’amore, grazie ad una creatura pelosa, abbracciata
al suo improbabile papà.
9
Per la prima
volta, dopo tantissimo tempo, Mauro fece un pisolino tranquillo, la compagnia
del suo Tatù, aveva fatto la differenza! Il nome dato al gattino, l’era venuto d’istinto,
pensando all’ultimo sogno che gli aveva donato quei momenti di speranza al suo
risveglio. Tatore, in Sicilia, era il diminutivo di Salvatore, che significava
appunto Gesù Cristo (Il Salvatore). E Mauro aveva spontaneamente pensato, che
cambiare Tatore in Tatù, era più indicato a un gattino. Per lui, quell’essere
di pelo morbido e fuse sincere, gli salvava le giornate vissute in assoluta
solitudine, che era la cosa più dolorosa da sopportare, oltre la sua spada di
Damocle sulla testa.
Tatù aprì gli
occhietti assonnati, tese le zampette allungando tutto il suo corpicino, sul
petto di Mauro, poi schizzò dal divanetto, con un solo balzo fu sul balconcino;
Cipì era a bere l’acqua del tapiro gigante!
Per fortuna Cipì fu
più veloce, mentre Tatù rimase con il nasino rosa appiccicato alla ringhiera,
molto deluso di aver perso lo spuntino piumato!
Mauro osservava
deliziato quella scena, mentre pensava all’assurdità della sua situazione
umana:
< Unici compagni
che dividono il mio quotidiano, un uccellino e un gattino! E’ proprio vero che
gli animali sono meglio dei cristiani!>.
La sua considerazione
partiva dal comportamento che aveva visto assumere negli altri, quando avevano
saputo della sua potenziale malattia e dal lavoro perso a quanto pare per
sempre; e mentre il sole scendeva nel mare, ricordò il pomeriggio più triste
della sua vita, che aveva passato a Villa Giulia.
Poche parole dette a
telefono, circa un mese prima:
< Angelo, sono
Mauro, ho bisogno di vederti è importante!> Un lieve respiro sospeso,
dall’altra parte della cornetta, la voce di Angelo, profonda e leggermente
seccata rispose.
< Dopo due anni,
cosa ti viene in mente di chiamarmi! E se avesse risposto mia moglie?>
< Avrei provato a
richiamarti più tardi, se avesse risposto la poverina, avrei riappeso!>.
Provò un dolore
profondo Mauro, nel sentire l’alterazione della sua voce, neppure un momento di
meraviglia e minimo piacere ebbe quella voce, nel sentirlo dopo tanto tempo!Ma
non c’era nulla di piacevole, in quello che doveva dirgli, allora tagliò corto,
quasi estorcendogli un appuntamento il pomeriggio dopo, dicendo:
< E’ nel tuo
interesse vedermi, credimi sulla parola!>.
Villa Giulia come sempre,
era maestosa, oltre i quattro cancelli aperti dai diversi lati della città, si
estendeva una delle meraviglie di Palermo; Mauro aveva preso appuntamento dalla
porta d’ingresso del mare.
In prossimità del
cancello di comunicazione con l’Orto Botanico, si trova una bellissima fontana
dal cui scoglio centrale si erge la gigantesca statua del “Genio di Palermo”,
scolpita nel 1778 da Ignazio Marabitti e delimitata per tutto il perimetro da
pregevoli statue allegoriche disposte in semicerchio, rappresentanti la “Gloria
che abbatte l’Invidia”, l’”Abbondanza che scaccia la Carestia”, l’”Eresia”,
l’”Islamismo”, lo “Scisma d’Oriente”, l’”Intemperanza”, l’”Orgoglio”, la
“Superbia”. D’ispirazione ottocentesca è un’ampia zona del giardino destinata a
“sepolcreto” e con un boschetto di cipressi intorno, in cui si trovano urne
commemorative dedicate ai siciliani illustri dell’antichità e a storici,
filosofi e poeti greci classici. Mauro fece una lunga passeggiata per ammirare
quel maestoso giardino che non visitava da tanti anni; l’appuntamento era alla
terza panchina di fronte ad una delle esèdre.
Le altissime palme
sembravano toccare il cielo, il verde dei giardini d’infinite gradazioni,
sfavillava in tutto il suo splendore; le panchine di pietra candida, sotto il
sole del primo pomeriggio, sembravano iridescenti. Nonostante tutta quella
bellezza e quella stupenda memoria storica che lo circondava, Mauro aveva nel
cuore un’angoscia che lo divorava. Erano passati pochi giorni dalla rivelazione
fatta a sua sorella Flavia, e il ricordo della sua reazione, lo angosciava
ancora di più ora! Doveva dirlo a un “estraneo ora”, che era stato il centro
della sua vita sentimentale disgraziata!Era un atto dovuto, soprattutto per chi
aveva condiviso la sua intimità, non poteva ignorare la vita e la salute di un
altro essere umano e la sua ….ignara famiglia!
Angelo era seduto su
di una lunga panchina bianca senza appoggio per la schiena, dava le spalle a
una delle quattro esèdre, chioschi concepiti per la musica, nel luogo che si
definiva Rivelazione Centrale.
Non a caso Mauro aveva scelto quel posto preciso,
era un po’ questa sua macabra ironia, che una volta era la parte più gioiosa di
sé. Oggi si manifestava in un modo che lui non avrebbe mai e poi mai
immaginato!Quando lo vide, Mauro ebbe un colpo al cuore, lui era una di quelle
persone che quando amavano, anche se tutto finisce, non cancella dal suo cuore
quel che è stato!
Parlare per lui fu
ancora più doloroso della prima volta con sua sorella; poiché lei lo amava, Angelo
no. Non si aspettava nulla di meno di quel che disse e fece, ma nonostante
fosse preparato a tutto, la reazione di Angelo fu così scomposta e cattiva, che
Mauro avvertì la netta sensazione di essere preso a coltellate. Nessun dolore
per lui, che poteva finire di vivere da lì a pochi anni, nessuna espressione di
dispiacere per lui, anzi, c’era collera, una rabbia aspra e dura nella sua
espressione, mentre lo squadrava da capo a piedi, con occhi furenti e al
contempo schifati!
Angelo retrocesse per
tutta la lunghezza della panchina, come se avesse preso una scossa elettrica,
che lo scagliava dall’altro lato.
Il terrore del suo
volto era palese, strofinava convulsamente le mani sulla maglietta firmata, le
stesse mani che avevano strette quelle di Mauro, nel saluto all’inizio
dell’incontro, come se fossero sporche di sangue e gli incutessero terrore. Imprecava
e piangeva, come se fosse caduto in un pozzo di sanguisughe e volesse non solo
strapparsele di dosso, ma anche risalire il pozzo volando! Mentre la voce di
Mauro, resa rauca e fievole dalla pena che provava per lui, disse. <Sono due
anni che non ci vediamo più Angelo! E’ in sostanza impossibile che ti abbia
trasmesso la sieropositività! I medici mi hanno invitato a informare tutte le
persone con le quali ho avuto contatto, ed è quello che sto facendo con te, non
temere, sicuramente stai bene!> Ad Angelo mancava il fiato dalla paura, si
premeva lo stomaco con una mano, mentre in piedi in tutta la sua mole, andava
avanti indietro, tra la panchina e l’esèdra. Ora lo stomaco, ora le mani fra i ricci
capelli biondi, parlava a se stesso, ignorando Mauro e dicendo: < Come
giustifico a mia moglie che devo fare le prove finestra per l’aids! E
soprattutto come la convinco a fare altrettanto! E i miei figli? Che cosa
faccio con i miei figli!> Continuava a vedere solo se stesso, continuava a
pensare freneticamente, a come nascondere quella sua parallela vita, che aveva
avuto da sempre! Sin da quando si era sposato con quella povera ragazza, che
non aveva mai compreso la duplicità sessuale di suo marito. Un ragazzo, che per
nascondere al mondo la sua vera natura, aveva sposato una brava ragazza, dopo
una fuitìna rocambolesca! Mauro era rimasto seduto sulla panchina, piegato in
due con la testa fra le mani, mentre sentiva Angelo imprecare e disperarsi.
Sentiva dentro di sé il suo odio, il suo schifo e il suo terrore, non c’era
nell’aria che energia negativa per lui. Sembravano lampi di tempesta in un
cielo sereno e terso, che gli trapassavano l’anima, senza nuvole nere, senza
pioggia!la tempesta elettrica del male, era attorno a lui e dentro di lui!Era in un luogo
meraviglioso, pieno di luce e colore, ma quando alzò lo sguardo, per parlare
ancora con Angelo e calmarlo, si accorse che era rimasto da solo, i lampi e le
nuvole nere, seguivano un uomo da lontano! Angelo era già al lato nord della
Rivelazione Centrale di Villa Giulia, correva fuori dai labirinti verdi,
ignorando i labirinti che l’anima sua avrebbe avuto per sempre!Ma non perché
era stato infettato dal retrovirus,( lo seppe dopo un mese che stava bene)
bensì perché,era stato definitivamente cancellato , dal cuore dell’unica
persona, dopo sua madre, che lo avrebbe mai amato, Mauro D’Argo!
10
Tatù aveva
assunto un’espressione preoccupata, i suoi chiarissimi occhietti, guardavano il
viso di Mauro rattristato dai suoi pensieri scuri. Con aria di circospezione
saltò leggero sulle caviglie del suo papà, che era ancora steso sull’amorino, a
passetti leggeri gli salì sul petto, e cominciò a dargli colpetti con la sua
candida zampetta, sotto il mento. Quel tenero gesto, accompagnato dall’evidente
espressione preoccupata del gattino, fece commuovere Mauro, come non ricordava
più da qualche tempo. < E poi dicono che gli animali non hanno un’anima!
Questa piccola palletta di pelo, si è reso conto del mio stato d’animo, mentre
gli esseri umani si distraggono volentieri!> Mauro pensò che il destino, quella
mattina, nonostante la sua situazione difficile, riguardo anche la compagnia
umana, fosse stato generoso in quel felice incontro. Un po’ si sentiva simile a
quella creatura, erano in un certo senso, soli entrambi, mentre iniziava la sua
prima e penultima (inconsapevole) estate di cambiamento. Fu un’estate
caldissima e anomala in tutti i sensi; quando riusciva, Mauro faceva lavoretti
di piccole riparazioni, soprattutto in casa di persone anziane, rimaste sole in
città. Riuscì in questo modo, a sopravvivere senza toccare i suoi piccoli
risparmi; riprese contatto con alcune vecchie conoscenze, che aveva abbandonato
quando era entrato nel mondo della tossicodipendenza. Alcuni di essi lo
accolsero con affetto, e si comportarono con lui, come il buon padre, che
attendeva il figliol prodigo. Anche se, quando poi messi a conoscenza del suo
stato di salute, ebbero un affetto attento alle distanze di sicurezza! L’alone
viola degli spot, lo seguiva inesorabilmente, appena qualcuno sapeva della sua
situazione di salute, poco importava se era un familiare, un amico di vecchia
data, o una conoscenza! C’era carestia di gesti affettivi fisici, anche i più
banali e superficiali! Spesso ricordava la storia che aveva letto in un libro,
e si rivedeva con gli occhi della fantasia, come il personaggio secondario di
quel libro. Mantello, cappuccio e campanellino al collo, per avvertire i
pellegrini che lo incontravano, che aveva la lebbra! Quell’estate sembrò interminabile,
le volte che riuscì ad andare al mare di Mondello, invitato dai suoi vecchi
amici, si potevano contare sulle dita di una mano sola! Erano passati due anni
dall’inizio della cura con il metadone, ormai terminata, la droga era un
ricordo lontano, e sempre più spesso, quando si guardava allo specchio la
mattina, ritrovava lo sguardo bello che aveva una volta. Gli salivano agli
occhi le lacrime, a pensare a sua madre, che finalmente ora, lo rivedevano bello
anche dentro! Anche Flavia glielo aveva detto, quando un pomeriggio era andato
a trovarla: < E’ bello vederti con il volto e lo sguardo di una volta! Vorrei
esserne felice, ma non ci riesco Mauro, ho tanta paura per te!Sono passati due
anni da quando sappiamo … (fece una pausa silenziosa) e la paura invece che
passare, aumenta!>. Lo disse mentre gli carezzava i capelli, e quel gesto
spontaneo gli scaldò il cuore; anche se aveva espresso le sue paure, quando era
il caso, forse, di tenersele per se. Infatti, di lì a pochi giorni avrebbe
dovuto ritirare le ultime analisi di controllo, ma a Flavia, non lo aveva detto!
Mauro, non la giudicava per questa sua
fragilità, Flavia era l’unica persona, escluso lui e molti altri, che non
pensavano mai che se lo fosse meritato! Il giardino pensile, del balconcino di
fronte, si stava trasformando in un quadro naif; il rosso, il giallo e il
bronzo, erano pennellate nette e decise, in quel grigio fumoso dell’intonaco,
reso così dall’inquinamento della grande città. A Mauro spesso piaceva
immaginare di trovarsi, nelle lussureggianti campagne della Sicilia, sia per la
bellezza sia adorava ammirare in quei luoghi e sia perché voleva trovare un
alibi alla sua vita solitaria. “Non andava a trovarlo nessuno, perché era
troppo lontano dalla città, punto!” Quella mattina di autunno, Mauro si
preparava a uscire da casa, e aveva sul petto una strana oppressione, che lo
tormentava da quasi quindici giorni. Un insistente raffreddore con tosse
stizzosa, accompagnata da rialzi di febbre, sia pure di pochi decimi. Soffriva d’inappetenza
e spesso aveva coliche, che lo tenevano in bagno anche per quattro volte il
giorno. Voleva pensare di avere una banale influenza di stagione, anche se era
troppo presto per le prime epidemie. Aveva preso appuntamento con il dottor Fulvio
Marini, che periodicamente ripeteva le analisi del sangue, controllando così la
stasi del retrovirus, e quella mattina doveva metterlo a conoscenza dei nuovi risultati.
Mentre finiva di radersi, e gli occhi li vedeva belli, come una volta, aveva
l’impressione di essere cambiato nel volto. Gli zigomi gli sembravano più
evidenti, era sempre stato magro, ma adesso gli sembrava lo fosse un po’
troppo. Forse era per quella diarrea che lo tormentava spesso, ma era solo uno
stato influenzale; scoprirsi così apprensivo gli provocò un moto di rabbia.
Risciacquò il viso, con acqua gelida, per poi strofinarsi con l’asciugamano,
così forte, che sembrava volesse usarla come una grande gomma, per cancellare i
suoi cattivi pensieri!
L’aria fresca
del mattino gli schiarì quella piccola nebbia che aveva intorno alla testa, fu come
una carezza delicata, per la sua anima inquieta! Anche quel mattino, dopo due
anni dalla scoperta della sieropositività, “sentiva” che era un giorno diverso
dagli altri. In quei due anni di cure, per tenere a bada il retrovirus, Mauro,
sgombro dalla coltre della droga, che non gli permetteva di essere sempre
lucido,aveva riacquistata la sua lucidità, nella sua spiccata sensibilità! Avvertiva
che qualcosa stava cambiando, il suo corpo gli stava dando dei segnai precisi,
ed il dottor Marini aveva un ombra sul volto, quando dopo la visita
fattagli una settimana prima,gli disse
che si dovevano fare al più presto tutti i controlli del caso! La strada era
ancora umida, dalla prima pioggia caduta, che aveva spazzato via quelle
giornate di vento bollente di scirocco, che distinguono da sempre l’estate
Siciliana. L’autunno, nella sua terra però, non cancellava ancora le belle
giornate tiepide e terse, che spesso si mantenevano così belle fino a quasi
Natale. L’inverno durava poco in Sicilia,eppure Mauro aveva l’impressione, che
il “suo inverno” era appena iniziato;voltò l’angolo, e la struttura
dell’ospedale si stagliò di fronte al suo sguardo smarrito. L’attesa nell’atrio
,che immetteva i pazienti del reparto infettivo, all’ufficio del medico, durò
pochi minuti,un’infermiera di mezza età, invitò Mauro ad accomodarsi
nell’ambulatorio del dottor Marini. Una stretta di mano, uno sguardo sfuggente
del medico e uno indagatore di Mauro;si sedettero e Mauro cominciò a sentire le
prime fredde parole mediche che lo
introducevano all’inizio del suo calvario. <Dalle analisi si evince che lei
ha Il virus da immunodeficienza umana, conosciuto come Hiv, causa l’Aids
infettando e danneggiando parte delle difese del corpo, contro le aggressioni
esterne, i linfociti in particolare, che sono un particolare tipo di globuli
bianchi che nel sistema immunitario hanno il compito di scacciare i batteri e
virus invasori. Il virus HIV attacca specifici linfociti, chiamati cellule
T-helper (conosciute anche come cellule T), prende il sopravvento su di esse e
si moltiplica. Questo processo continuo, distrugge altre cellule T,
compromettendo cosi la capacità del corpo di reagire a insulti esterni attraverso
il sistema immunitario. Quando il numero di cellule T diminuisce
considerevolmente, si è più predisposti ad altre infezioni, che un corpo sano
normalmente sarebbe capace di combattere. Questa ridotta immunità
(immunodeficienza) è conosciuta come AIDS e potrebbe trasformarsi in gravi
infezioni minacciose per la sua vita. La conta dei suoi linfociti è
particolarmente bassa, allora siamo costretti a cambiare completamente la cura;
che purtroppo dopo due anni, non è riuscita a bloccare il retrovirus …>.Quella
voce, Mauro,la sentiva dentro l’anima,asettica, lontana, come se venisse da un
altro pianeta. Mentre lui si sentiva sospeso fra gli incubi che aveva fatto due
anni fa, e la realtà che si apprestava a vivere. La realtà era ancora più
spaventosa degli incubi stessi, poiché non sarebbero stati sogni dai quali
risvegliarsi, ma vita reale alla quale non puoi sfuggire! Costretto ad
affrontare gli ostacoli, combattere il dolore e vincere le battaglie, per
attaccarti alla vita il più a lungo possibile!Aveva solo trentadue anni, e
mentre ascoltava il proseguo del discorso medico, ebbe l’impressione che essa
viaggiasse a una velocità supergalattica. Realizzò con terrore, in quel preciso
istante, che la sua vita volgeva a tagliare il traguardo della fine; quando invece
a quell’età avrebbe dovuto appena cominciare l’alba!
11
Un giovane uomo tornava a casa portando il mondo sulle spalle; la
disperazione che provava nell’anima era così profonda, che rese mute le sue
lacrime. Nei giorni a venire passò le giornate, fra il letto e il divanetto, scrupolosamente
seguito in ogni suo passo, da un Tatù attento a ogni sua emozione. Flavia andò
a trovarlo, invitata da una sua telefonata, nella quale Mauro si espresse quasi
a monosillabi. Come dire a sua sorella che non aveva speranze, né possibilità
fisiche di lavorare, anche se per assurdo gli avessero dato un lavoro?Si
sentiva imprigionato in un angolo di mondo, ove diveniva invisibile agli altri
esseri umani, mentre il mondo, lo rigettava fuori dalla vita, verso chissà
quale dimensione! < Chissà se … c’è una vita dopo?>.Le classiche domande
di chi deve tirare le somme della sua vita, anche se breve! <E se c’è una
vita dopo… dove andrò e chi mi accoglierà ?>Turbini di pensieri a cascate, gli
fluivano dalla testa in quei giorni, aveva vinto la lotta contro la droga, ma
il sigillo indelebile di quella carogna che essa era stata, lo avrebbe
accompagnato sino alla fine!Fu nel mese di Settembre che Mauro, esausto per i
suoi continui malesseri, fu ricoverato per la prima volta in ospedale, per una
doppia polmonite. Aveva preso scrupolosamente tutte le medicine del caso, il
dottor Marini lo seguiva come un padre. A Mauro non era bastata la sua
meticolosità nel prendersi cura di se e della sua casa. Doveva tenere la sua
piccola casa, quasi asettica come un ospedale all’avanguardia! Era quasi privo
di anticorpi, e ogni cosa che lo circondava, doveva essere linda e pinta;
passava così, infatti, le sue giornate, a pulire l’appartamento, quando si
sentiva abbastanza bene, mentre Tatù si divertiva a correre dietro la scopa.
Ogni settimana Flavia andava a trovarlo, appena aveva una pausa, fra le figlie,
il marito e il lavoro, aiutandolo come poteva nelle cose di casa, il pranzo e
le attente coccole, ”poco invadenti”. Quel mattino del 18 Settembre era venuto
a prenderlo, per portarlo in ospedale, sua sorella Flavia; non c’era nessuno
con lei ad aiutarla, ma non era una cosa nuova per Mauro! Voleva raccontarsi
che non gli importava nulla, se si vestiva di cinismo, contro l’inumanità “degli
altri”, sopportava meglio la sua triste emarginazione! Esserlo per gli altri,
forse era anche normale, ma essere infrequentabile, per i parenti, era una vera
indecenza!Tatù entrò in macchina con loro, dopo la sua adozione, era la prima
volta, che andava a stare in un’altra casa, Flavia se ne sarebbe presa cura. Nonostante
l’ora presta, il traffico nella zona storica era intenso, la gente si recava al
lavoro, i bambini a scuola, gli ambulanti aprivano i mercati, l’umanità viveva
la solita vita insomma, che per Mauro non era più scontata ora, come per tutta
quella gente!Palermo era immersa in una luce stupenda, sembrava ancora estate
quel giorno, Mauro guardava fuori dal finestrino, con gli occhi arrossati dalla
febbre che non lo lasciava in pace da giorni. Il suo sguardo era melanconico ma
adorante, amava moltissimo la sua splendida città, guardava avidamente ogni
cosa, come a imprimersi ogni immagine, affinché fossero foto nella memoria, da
tirare fuori dai cassetti, quando sarebbe stato necessario. E aveva fatto bene a
farlo,poiché quei giorni interminabili del suo primo ricovero, lo videro in una
stanzetta a due letti, tristemente da solo. L’unica persona che vedeva spesso,
era l’infermiere che era di turno, quel preciso giorno e quelle stesse notti. Quando
si svegliava al mattino, il suo respiro era più libero e leggero, durante la
notte, infatti, aveva dei forti rialzi di febbre, che gli impedivano l’ampia
respirazione. Era angosciante sentire e sopportare i gorgoglii e i crepiti, che
venivano dal suo petto; e quando riusciva a dormire un po’, s’incontrava
inevitabilmente con quel maledetto drago! Mauro capì in quella settimana di
ricovero, cosa volesse dire Albert
Einstein, quando disquisiva sulla teoria della relatività!Quella settimana per
lui, era durata un mese!
Tatù era molto felice di ritrovarsi a casa sua, e
non vedeva l’ora di rivedere il suo papà, Flavia
lo aveva riportato nell’appartamento, di primo mattino, per poi andare a
prendere Mauro che veniva dimesso dopo l’ora di pranzo. Se ci fosse stato
qualcuno a filmare quella scena del rientro di Mauro e dell’accoglienza che
ebbe Tatù per lui, sarebbe stato un bel ricordo da far vedere ai posteri, che
vigliaccamente abbandona gli animali per strada! Il sorriso di Mauro, si
disegnava su di un volto smagrito, che sembrava avergli ingrandito gli occhi smeraldo
ma Tatù possedeva il sesto senso, e sapeva “vedere” la bellezza e la radiosità
della sua anima! E quando il suo papà lo prese in braccio per carezzarlo, risentì
in lui, l’infinita protezione affettiva, della quale aveva bisogno, sia lui sia
il suo papà; per Tatù, il viso del suo papà era sempre bellissimo! Per molti
giorni, Mauro non ebbe bisogno di scendere a fare la spesa, Flavia aveva
pensato a tutto; e almeno l’incombenza di uscire, e non ultima quella di
spendere, ciò che ormai non aveva quasi più, era risparmiata alle sue concrete
preoccupazioni. Ritornando a casa però, risentì pesantissima la solitudine; in
ospedale vedeva ogni giorno almeno un essere umano, lì no! Le giornate,
sembravano interminabili, e lui cercava di occuparle leggendo, guardando la tv,
giocando con il suo gattino, osservando Cipì che di nascosto del gatto, mentre
lui sornione dormiva acciambellato sulle gambe di Mauro, andava a bere l’acqua
dal tapiro gigante. Era un pomeriggio di Ottobre inoltrato, quando Mauro fu
attratto dalla voce di una donna, che parlava sommessamente e con estrema
gentilezza in tv. Era una trasmissione sociale, in voga alla fine degli anni
ottanta, (Canale Cinque per Voi, condotto da Rita Dalla Chiesa) che si occupava
di dare aiuto concreto alle persone in grande difficoltà. Mauro ascoltò il caso
del giorno, e fu colpito dall’affabilità del conduttrice televisiva, si vedeva
chiaramente che quella persona era davvero attenta all’ascolto dei problemi!
Mauro aveva fatto domanda d’invalidità, aveva chiesto aiuto al comune di
Palermo, per avere la possibilità di continuare a pagare l’affitto di quella
casa, ed anche di nutrirsi come doveva; ma di risposte non ne era giunta
alcuna! Si consultò con Flavia, per avere anche da lei una dritta, sulla sua
idea, e sua sorella non sola gli diede il suo assenso, ma gli promise che
avrebbe messo da parte dei soldi, di nascosto del marito, per pagargli il
biglietto aereo, semmai fosse riuscito a essere ammesso alla partecipazione della
trasmissione. Mauro era riuscito ad attaccarsi a una nuova speranza, forse
qualcuno gli avrebbe permesso di dare suono alla sua voce, che da troppo tempo
restava sospesa in aria, come capita ai pesci negli acquari! E grazie a quella
speranza, che diveniva sempre più reale, mentre prendeva contatti fattivi con
le segretarie gentilissime di canale cinque. Le sue giornate si trasformarono,
in un’attesa, con ansie liete. Come capita per paragone assurdo, ai bambini
chiusi negli orfanatrofi, mentre attendono la visita dei genitori
adottivi! Un Ottobre rosso e oro,
dipinto sulle foglie del giardino pensile di fronte al palazzo, lasciava il
posto a un anomalo e caldo Novembre, che aveva ancora i colori del bronzo e
l’odore della salsedine portata dal maestrale. In questo quadro, dai colori sfumati leonardeschi, si realizzò il desiderio di Mauro; il telefono
squillò alle 14,00, una voce femminile quasi flautata, gli stava dicendo la
data della puntata, nella quale lui avrebbe partecipato come ospite.
12
Incredibili sono, nella loro assurdità, i giochi
della mente umana! Nulla era cambiato in sostanza dalle dimissioni di Mauro dall’ospedale,
eppure nel suo animo c’era una serenità stupefacente! Era bastata l’attenzione
a quella voce in tv, la idea, come lampadina illuminante di cogliere
un’occasione, il coinvolgimento di Flavia che lo sosteneva, e una telefonata
che aveva accolto una richiesta di auto! Pochi elementi, ma quanto bastava per
lasciare entrare un po’ di sole dentro il cuore, Mauro si preparava al grande
evento! Dentro di sé, si tracciava il progetto mentale che stava partorendo;
non sarebbe andato solo per chiedere aiuto a quella trasmissione. Nelle sue
intenzioni c’era anche un altro scopo, che forse, a dirla tutta, era ancora più
importante dell’aiuto materiale; Mauro intendeva denunciare apertamente la situazione
umana ingiusta, sia fisica sia mentale, vissuta in sostanza da tutti gli
ammalati di Aids! Nell’anno 1989, non si parlava molto di questa malattia come
si sarebbe dovuto fare; sia per poterla evitare, in tutti i ceti e gli stati
sociali, e sia per come viverla e affrontarla, accanto a chi l’aveva, mentre tu
eri sano!Persino i medici ne avevano un’informazione errata, per quanto
riguarda la trasmissione, e quest’atteggiamento anche dei cosi detti uomini di
scienza, influiva molto, sulla massa delle persone che ignoravano del tutto la
medicina! Mauro voleva farsi sentire in tutti i sensi, si faceva promotore, in
prima persona, mettendoci la faccia! Non aveva fatto i conti con i suoi
fratelli, cognati e alcuni nipoti! Quando disse a Flavia le sue intenzioni,
notò che una lieve ombra passò sul volto della donna; la scorse solo per un
secondo, poichè Flavia si era velocemente voltata per deporre nella sua
valigetta, la biancheria lavata e stirata da lei. Le antenne di Mauro avevano
colto il segnale, si chinò mettendo le sue mani sulle sue, mentre sistemava le
calze, e delicatamente la fermò, invitandola ad alzare il suo volto e a
guardarlo negli occhi. < Perché hai lo sguardo contrariato Flavia, cosa
succede che io non so!> Flavia si sedette lentamente sulla sponda del grande
letto di Mauro, con le spalle curve e il capo rivolto in basso, a voce bassa e
titubante disse: <I i nostri fratelli con relative mogli ed alcuni nipoti,
si vergognano di essere associati a te. Non vogliono che tu parli di loro, e neppure
vorrebbero che tu mostrassi il viso alle telecamere. Hanno detto che molti ancora dei nostri e loro
amici, non sanno della tua malattia, e che andare in tv è come rendere,
pubblica la loro vergogna!> Mauro si sedette lentamente sulla sedia di tela
gialla, di fronte al comò laccato di bianco, si passò fra i capelli bruni e
lucenti, le lunghe ed eleganti dita, come a tentar di placare il marasma che
stava per scoppiare nella sua testa. Fece una pausa, che sembrò interminabile a
Flavia, che notevolmente dispiaciuta lo guardava con occhi supplichevoli. Mauro
respirò profondamente e con voce che tratteneva a stento la rabbia, disse: <
Sono io a vergognarmi di loro! E’ una vita che si vergognano di me! Ed io
stupido, ho lasciato che la loro vergogna, fosse un alibi per me, quando il
dolore rendeva tutto insopportabile, mi sono fatta amica la droga, le cattive
compagnie! Ed ho pensato che fosse sbagliato amare una persona del mio stesso
sesso, ho creduto di essere sempre sbagliato, e che gli altri avessero ragione a
emarginarmi! Ed è invece, per una vergogna non mia, che ora raccolgo i frutti
del mio dolore, e della mia stessa fine sorella cara! Sai, mi sono chiesto
diverse volte, cosa è stato a infettarmi, una siringa scambiata, con uno dei
miei “amici” di sventura, o l’amore che ho dato e ricevuto? Che cosa è stato
che mi ha ridotto così oggi! E’ stato il “non amore sorella mia”, l’ignoranza
mia e soprattutto la loro, che erano più grandi, e avrebbero dovuto amarmi,
guidarmi e accogliermi, così come sono! Perché non c’è nulla di male, ad avere
un cuore di donna, pure avendo il corpo di un uomo! Dì loro, visto che sono la
loro vergogna, che io sono stato solo maledettamente sfortunato, e che la
malattia che ho io, la possono prendere anche loro, quando tradiscono le loro
mogli, solo per vizio! Dì loro, che l’aids non è il male dei froci e dei
drogati; ma anche il mal costume che vive tantissima gente! Gli è andata solo
bene fin ora, diglielo, che il mio avvertimento vestito di rabbia, è solo amore
nei loro confronti, e digli anche che è l’amore a salvare una vita! Dì loro,
che sono i pregiudizi e l’ignoranza ad affondare, prima un’anima e poi un
corpo!!> Le lacrime gli scendevano cocenti , sul volto alterato, che aveva
ripreso colorito dalla sua stessa rabbia. Sotto il pallore costante della sua
pelle c’era una fiamma che bruciava come lava incandescente! Tutto ciò che
voleva dire in una vita intera, lo aveva detto in pochi secondi. Flavia si alzò
e gli andò incontro e mentre Mauro, accasciato sulla sedia, piangeva senza
riuscire a controllarsi, Flavia lo strinse al suo petto dicendogli
semplicemente: < Perdonami, perdonaci fratello mio!> Scese in quella
piccola stanza, fatta di pochi mobili, un silenzio irreale, Mauro aveva smesso
di piangere. Mentre, cullato dalle braccia di sua sorella, che continuava
lentamente a carezzargli i capelli, sentì che quello sfogo fatto a lei, lo
stava avvicinando moltissimo a una futura intimità tra fratelli, che fin dalla
nascita non c’era mai stata. Sentì come non mai, la vicinanza delle loro anime,
che finalmente si leggevano totalmente al femminile, quelle parole dette come
un fiume che rompe gli argini, aveva permesso l’incontro di due sorelle!
13
Era il 10 Novembre, il giorno della sua partenza
per Roma, l’ultima volta che l’aveva vista, era stato cinque anni prima a un
concerto, andato ad assistere con i suoi vecchi e sbiaditi amici di sventura.
Una sottile pioggerella marcava e rendeva lucenti i colori delle cose, mentre l’odore
muschiato dei giardini, era musica per il suo olfatto. Mauro aveva sempre amato
l’odore della terra bagnata, e mentre il taxi procedeva per l’aeroporto di
Punta Raisi, s’inebriava di quelle fragranze, pensando che quella pioggia
leggera, fosse la benedizione di Dio, mentre lo accompagnava nella sua nuova
avventura. Ne aveva un estremo bisogno, di quella speciale benedizione, poiché
non era più protetto dalle pareti immacolate della sua casa; ora era esposto a
ogni germe o batterio che poteva attaccare le sue difese immunitarie ridotte.
Cercò di non pensarci, poiché già doveva tenere a bada il timore e l’emozione
di andare addirittura in televisione a raccontare la sua storia, a una perfetta
estranea! Era solo in quel viaggio, poteva e doveva contare solo su se stesso!
Fece le cose con estrema calma, stando attento a tenere sempre le mani, lontane
dalla bocca e dagli occhi. Così gli aveva consigliato il medico, finché non
avesse avuto la possibilità di lavarle, le teneva lontane dal suo viso. L’aereo
non era ancora in assetto di volo, avevo il muso puntato in alto, e la sagoma
della stupenda Sicilia, scivolava sotto i suoi occhi. Contornata da acque, blu
cobalto, azzurro indaco, verde smeraldo e grigio argento, la sagoma della
regione diveniva sempre più piccola. Ed ecco il velivolo che fendeva le nuvole,
traversandole come ago nella bambagia, ora si trovava su di esse in assetto di
volo, e le nuvole sotto la carlinga, sembravano colline di neve grigia, poi bianca
immacolata, sopra un cielo limpido e terso, dove la pioggia non c’era più. La
trasmissione sarebbe iniziata alle 15,00, Mauro arrivò a Fiumicino verso le
10,00, appena atterrato, un nuovo taxi lo portò all’albergo che gli aveva
assegnato la produzione di canale cinque, ebbe tutto il tempo di fare una
doccia calda, stendersi sul letto, per riposare un po’, non solo il suo corpo
stanco, ma anche le sue emozioni che tentavano di sopraffarlo. Alle 13,30 un
uomo tarchiato, elegante e gentile, bussò alla porta della sua stanza, gli
strinse la mano con molta energia, e con un sorriso aperto e allegro lo invitò
a seguirlo giù in strada, una macchina scura e lucida lo stava aspettando.
Arrivato agli studi della Fininvest, come si chiamava allora, Mauro fu
accompagnato in un camerino, era piccolissimo, ma non mancava nulla. Si sentì a
suo agio, gli sembrava quasi familiare quella stanzetta, c’erano mobili
essenziali e bianchi, un po’ com’era casa sua. Su di un tavolino sotto la
finestra, che dava lo sguardo a un giardinetto, osservato dal quarto piano,
c’era un pranzo completo per lui. Con grande sollievo di Mauro, le vaschette
che contenevano il pranzo, erano tutte ben sigillate, così anche le posate di
plastica bianca; aveva una gran fame, e mangiò con gusto, anche se l’emozione
tentava di prevalere sul suo stomaco. Finito il pranzo, stava osservandosi allo
specchio, contornato di tante luci tonde, che era di fronte al tavolino;
osservava la sua figura alta e slanciata. Quel giorno aveva indossato jeans
blu’ scuri e una camicia bianca a maniche lunghe, striata di finissime righe
blu’, stava passando un pettine fra i capelli, quando bussarono alla porta. La
figura esile e minuta, di una donna bionda, vestita di un tenerissimo sorriso, si
presentarono alla porta, e Mauro risentì nel cuore, la calma che aveva provato
quel giorno, quando fu attratto dalla sua voce in tv; era Rita Dalla Chiesa. La
conduttrice, aveva l’educata abitudine di conoscere i suoi ospiti, prima
dell’entrata in studio di registrazione e quando si sedettero, sul piccolo amorino
color crema, che era nel camerino, svelò con naturalezza la sua capacità di
mettere a proprio agio il suo ospite del giorno. Mauro parlò di se stesso, ed
anche dell’intenzione di denunciare la situazione sociale e psicologica di
tutte le persone che si trovavano nelle sue stesse condizioni. La signora Dalla
Chiesa fu piacevolmente colpita dalla rivelazione, poiché era da lungo tempo
che aspirava a parlare di tale argomento, tenuto ancora sotto tono, da molte
altre trasmissioni; e quando apprese le intenzioni di Mauro, le venne spontaneo
stringere fra le sue mani, delicatamente, una delle mani di Mauro, sorridendo
con tanta tenerezza materna. Mauro ne fu colpito moltissimo, poiché era la
prima persona, che pure essendo a conoscenza della sua malattia conclamata, gli
stringeva le mani senza paura, con l’aggiunta di tanta dolcezza. Mauro finì il
discorso, spiegando dettagliatamente e con molta sofferenza, che l’intervista
doveva essere fatta di spalle alla telecamera. L’atteggiamento umano, senza
nessuna forma di pietismo, che aveva avuto quella donna nei suoi confronti, gli
fece perdere le ultime resistenze, timori e imbarazzi, Mauro parlò come un
navigato ospite ed anche opinionista, avvezzo al teleschermo. Disse della sua
vita, della sua famiglia, e i rapporti inesistenti, parlarono della sua
malattia, della sua ingiusta solitudine, delle paure inutili che la gente aveva
verso questo male. Fece un appello al comune di Palermo, affinché le sue
pratiche di richieste d’aiuto, fossero snellite dalla burocrazia, che aveva più
lunghezza della sua stessa vita. Parlò ai giovani, come può fare un fratello
maggiore, invitandoli a non offendere con i propri comportamenti sbagliati, la
sacralità della vita. La musica delicata, che finiva la puntata, era diffusa
nella sala di registrazione, mentre i titoli di chiusura scorrevano sotto lo
schermo di tutte le televisioni Italiane; la signora Rita Dalla Chiesa diceva: <
Abbiamo avuto nostro ospite, il signor Mauro D’Argo, che ha voluto condividere
con noi la sua sofferenza, esprimendo i suoi disagi e la sua emarginazione con un’estrema
dignità. Disagi che sono purtroppo, all’ordine del giorno, sia contro l’omosessualità
e sia contro la non conoscenza dell’aids; malattia che può contrarre, qualunque
persona, indipendentemente dalla sua sessualità. E mentre gli assicuro il
nostro appoggio, nel risolvere le problematiche burocratiche, lo saluto con
affetto rivolgendomi anche voi, cari telespettatori. Se qualcuno desidera
corrispondere con il signor Mauro D’Argo, per aiutarlo a sentire meno la sua solitudine,
e perché no, a dargli anche nel frattempo, un piccolo aiuto economico; scriva o
telefoni, alla nostra trasmissione, Canale Cinque Per Voi, In Via … o telefonando
al numero in sovra impressione. Sarà nostra cura accertarci che il signor
D’Argo riceva la posta, scegliendo lui stesso di dare o no il proprio indirizzo
personale. Buon pomeriggio amici, e a lei signor D’Argo, tanti affettuosi e
sinceri auguri! A domani! >.
14
I rumori della costiera Amalfitana, giungevano di
rado in quel periodo, alle orecchie della gente che vi abitava. Durante il mese
di Novembre il turismo era quasi inesistente, i piccoli e brillanti paesi che
la costeggiavano, erano più a dimensione d’uomo. Era da alcuni giorni, che la
pioggia batteva fine e insistente, la costa che correva sul mare, sembrava
velata da una melanconia piacevole. Forse dava questa sensazione di
piacevolezza, perché dopo i troppi frastuoni dell’estate, era piacevole
riuscire ad ascoltare finalmente, i suoni della sola natura. Vietri Sul Mare
era ed è, il primo paese che dall’accesso alla costiera, infatti, è spesso chiamato,
la finestra della costiera Amalfitana. Le case, si adagiano su di un colle, a
cinquanta metri in linea d’aria dal mare, ai suoi piedi, infatti, si stende la
sua piccola Marina, che sostanzialmente era composta di un micro paese
appendice del superiore più esteso. C’erano, infatti, poche case, due chiese,
un esteso giardinetto di passeggio, con piazzole fiorite e panchine,
costeggiante per tutta la sua lunghezza, da stabilimenti balneari lungo tutta
la spiaggia, che non superava i seicento metri. Tutti i paesi della costa erano
fatti similmente, e quando si annunciava la venuta dell’inverno, per chi vi era
stato anche in piena estate, aveva un impatto completamente opposto! Dalla folla
incredibile, che vociava per le stradine e le spiagge, che sembravano non
riposare neppure la notte, fatta di nightclub e discoteche rombanti; passava a quella dolce
melanconia, che rinfranca lo spirito, mettendoti finalmente in contatto con lo splendore
unico della sola voce della natura. Leda, vi era nata in quel posto
meraviglioso, aveva provato anche a viverci lontano il primo anno di
matrimonio, infatti, abitava nella vicina città di Salerno; ma poi si era
trasferita di nuovo nel suo paesino Natale, a tre mesi dalla nascita della sua
prima figlia. Quel pomeriggio, come milioni di persone, stava seguendo la
trasmissione appena andata in onda; era ancora seduta in mezzo al letto, con il
tavolino sulle gambe e il foglio di carta su di esso. Da venti minuti teneva la
penna sospesa a mezz’aria, senza scrivere più un rigo della lettera che stava riunendo,
rimise la penna sul foglio proprio mentre Rita Dalla Chiesa dava il recapito
della redazione e il numero telefonico. Lo fece in automatico, come se vi fosse
qualcuno che, spingesse la sua mano destra a scrivere, fu quasi un riflesso della
mano, suggerito da una volontà esterna sconosciuta. Aveva le lacrime agli
occhi, e non sapeva bene per quale ragione stesse provando tanta tristezza. Leda,
era “diciamo” abituata, a seguire e curare casi umani complessi e dolorosi, da
quando aveva avuto il forte desiderio di sentirsi utile agli altri; ma era la
prima volta che accadeva tramite l’ascolto di una trasmissione televisiva. In
genere lei scriveva a persone che aveva conosciuto fattivamente, ma … quel
ragazzo, di spalle … la sua voce … il suo tono … le sue pause, le fece scattare
una luce dentro l’anima. Telefonò alla trasmissione per tre giorni di seguito,
il numero era sempre occupato, ma lei non si perse di coraggio; il quarto
giorno finalmente le rispose. Era la prima volta però, che si sarebbe occupata
di un ammalato di aids, non conosceva nulla di quella malattia, la tv ne
parlava poco, non sapeva neppure da dove cominciare! La sola cosa che aveva
pensato, ascoltando quell’intervista fatta di spalle, era che quel ragazzo
aveva bisogno d’aiuto e basta! Le sue giornate, fra la casa i suoi figli,
Angelica di sedici anni e Riccardo di dieci, più il marito, erano già di per sé
pienissime. Lei moltiplicava le ore del giorno, rispondendo al telefono, alla
gente che chiedeva un consiglio o una consolazione! La sera faceva sempre
tardissimo, perché scriveva ai carcerati, ai ragazzi nelle comunità di recupero
e alle madri in ambascia. Da quando aveva avuto un’esperienza spirituale
inattesa e assolutamente illuminante, non poteva fare a meno di occuparsi degli
altri, oltre la sua famiglia. E spesso a dire il vero, qualche volta, senza
accorgersene, trascurava la sua; quando era invitata a vivere anche fuori di
casa, il suo impegno sociale. Passarono più di dieci giorni, prima che Leda
riuscisse a mettere la penna sul foglio, poiché scrivere a quel ragazzo, era
una cosa che non sapeva neppure da dove cominciare. Non sapeva nulla di quella
malattia, sennonché fosse di sicuro mortale; come consolare, aiutare e
sollevare una persona con tale croce? E soprattutto come evitare di scrivere
magari qualcosa, che potesse urtare la sensibilità di una persona così lontana,
anche dal suo abituale contesto sociale? L’undicesimo giorno, appena sveglia,
mentre prendeva la sua tazza d’orzo caldo, si scrollò finalmente di dosso
quella sensazione d’incapacità e d’inutili timori, dicendo a se stessa: < Mi
spinge la volontà di aiutare, consolare e offrire un appoggio, a una creatura
che non conosco! Se questo accade, non è certo suggerito da me, allora tendo la
mia mano destra a te Mamma del Cielo, mi affido a Te nello scrivergli; e tutto
ciò che non so dire io, per favore Dillo Tu!>. La chiesa madre suonava mezzogiorno,
quando Leda scese le scale per andare a imbucare la lettera indirizzata alla
redazione di Canale Cinque Per Voi. Mancava un’ora alla partenza di tutte le
lettere giornaliere del suo paese, e quando la mano di Leda si allontanò dalla
buca, lei ebbe la percezione viva in se stessa, che tante cose riguardo alla
visone che lei aveva avuto fin ora della vita, da quell’istante sarebbero
cambiate per sempre!
15
Via Maqueda aveva una luce diversa quel mattino
di fine Novembre, le vetrine dei negozi incominciavano a proporre i primi accenni
Natalizi. Non era insolito, infatti, vedere, persone arrampicate su piccole
scalette, mentre tendevano luci colorate e festoni da esterno, che fra non
molto avrebbero illuminato le festività. Mauro percorreva la strada fermandosi
piacevolmente incuriosito, faceva molte soste per osservare il lavoro dei
vetrinisti, e ogni volta che osservava una nuova vetrina in costruzione per il
Natale, gli sovveniva alla mente, i ricordi del cuore più piacevoli
dell’infanzia, Quando mano nella mano di sua madre, indicava con il ditino, il
giocattolo che avrebbe voluto avere, scrivendo insieme a lei la letterina alla
Befana. Al sud dell’Italia, in quegli anni, infatti, si dava la preferenza alla
Befana, più che a babbo natale. Quel ricordo struggente gli provocò un senso di
piacevole dolore, poiché le immagini che sfogliava il suo cuore, erano di momenti
felici sì, ma che oggi, sottolineavano ancora di più la sua profonda
solitudine. Stringendosi al collo il bavero dell’impermeabile, si voltò di
scatto, percorrendo gli ultimi metri che lo separavano dall’entrata del suo
palazzo. Non voleva pensare alla sua solitudine, e quasi gli sfiorò il pensiero
di dire; maledette festività! Si trattenne a quel pensiero che poteva offendere
il Dio ritrovato da così poco tempo, infilò il portone, con la speranza di
trovare anche quel giorno un pacchetto di lettere mandatogli dalla redazione di
Roma. Con sua grande gioia, notò che la cassetta di ferro battuta, allineata
alle altre degli inquilini del palazzo, era piena! Da quando aveva partecipato
a quella trasmissione, ogni settimana Mauro riceveva una serie di lettere,
scrupolosamente accumulate dagli impiegati della redazione di Canale Cinque Per
Voi; era lui stesso poi a scegliere, a chi dare il suo indirizzo per le
comunicazioni epistolari dirette. Appena fu nell’appartamento, pensò alle
incombenze del pranzo, sia suo sia quello del piccolo Tatù, non vedeva l’ora,
venisse quell’ora speciale della giornata, che nacque dai risultati della sua
partecipazione al programma! Quell’ora del giorno, che lo faceva immergere,
tramite una semplice lettera, in quei rapporti umani di confidenza e affetto,
così normali per gli altri, ma straordinari per lui. Aveva degli amici che
conversavano con lui, e anche se ciò avveniva tramite lettere, lui cercava di
immaginarsi un piccolo salotto, dove dalla 15,00 alle 18,00 s’intratteneva con
i suoi amici che lo venivano a trovare. Questo avveniva ogni volta che apriva
una lettera, era come aprire la porta della sua casa, a un nuovo o una nuova
amica che andava a trovarlo; spezzando finalmente la sua pesante solitudine
umana. Si sedette sul suo amorino, Tatù che era diventato prepotente, perché
sapeva di poterselo permettere, si fece spazio al suo fianco, tra la spalliera del
divanetto e le gambe del suo papà; si acciambellava metteva il moto il suo
“motorino”, per comunicare il suo affetto e la gratitudine per il pancino
pieno, per poi addormentarsi beato al suo fianco. Se ci fosse stata una
presenza invisibile in quella casa, si sarebbe divertita a guardare il volto di
Mauro, mentre scorreva le parole delle varie lettere. La mutevolezza delle sue
espressioni, quasi rivelava il contenuto di ogni letta; un mezzo sorriso, un
fremito del labbro inferiore, rivelavano momenti di gioia e momenti di
commozione. Ora il suo viso sembrava felice, anche se mentre i suoi occhi
scorrevano le parole di quella piccola lettera dalla busta giallo paglierino,
si affacciò un rivolo di lacrima che non fece in tempo a fermare con la mano; si
stampò sul foglietto colorato, come a sigillo di un inconsapevole patto
fraterno!
Vietri Sul Mare 20-11-90
Caro Mauro,
Alcuni giorni fa, ho visto e ascoltato la tua storia in tv e ne
sono stata notevolmente colpita. Sento parlare in tv dell’aids, ma a essere
sincera, non conosco bene l’argomento. Ciò che mi ha colpito moltissimo, oltre
al sapere della tua disgrazia di salute, è stato il costatare che sei una
persona quasi completamente sola, ed io non capisco perché nella vita, possa
accadere una cosa così tremenda! E mentre ti ascoltavo, mi sono detta; “oltre
il sapere di avere una vita breve, sono anche scansata e tenuta lontana da chi
più dovrebbe amarmi d’istinto?” Questa è la cosa, che più di tutte, mi spinge a
scriverti Mauro! Il desiderio, senza ragione, di farti sapere, anche se non ti
conosco, e forse non ti conoscerò mai, che tu non sei e non sarai mai da solo!
Io credo che se il cuore umano, nella vita non offre ciò che di bello ha, non
avrà mai modo di divenire grande! E credo fermamente che la grandezza di un
cuore, di conseguenza, sia proporzionata, all’aiuto che gli altri ti permettono
di dare! Per tale ragione ti domando se vuoi accettare la mia amicizia
epistolare fraterna; poiché credo che aiutando te, io possa arricchire me
stessa, imparando meglio a vivere la vita, come mamma di futuri adolescenti e
moglie. Ho trentacinque anni e sono una semplice casalinga, mio marito è un
operaio, ma nella mia casa c’è tanta ricchezza di amore e unione, vorrei
dividerla anche con te se me lo permetti, poiché so che sono le gocce a fare il
mare! La mia sarà magari solo una goccia mauro ma messa insieme a tutta la
gente che sicuramente ti scriverà, diverrà quel piccolo mare d’affetto
fraterno, e di aiuto fattivo economico, che forse renderà la tua vita meno
solitaria e meno difficoltosa, nell’affrontare la quotidianità. Mentre attendo
di avere una tua risposta di assenso, t’invio con tutto il cuore, la mia
preghiera quotidiana a Dio e un abbraccio fraterno, unita ai miei ragazzi e mio
marito.
Con affetto Leda
16
Aveva letto tutte le lettere, da quando le
riceveva, ne aveva visionate venti, non si aspettava che lo avrebbero messo in
contatto così tante persone in così poco tempo dalla trasmissione. Quel giorno
decise di fare di esse, una scrematura, poiché c’erano alcune lettere che
istintivamente avvertiva, non provenivano da persone che volevano davvero
aiutarlo. Nonostante le buone intenzioni scritte in esse, Mauro si accorse che
alcune persone erano spinte solo da una morbosa curiosità e basta! Forse la
vita che aveva vissuta fin ora, lo aveva reso troppo diffidente e prevenuto
sulle intenzioni reali della gente, ma decise di fidarsi del suo intuito, e
quando cominciò a rispondere alle lettere, la maggior parte le inviò alla
redazione, che le avrebbe poi spedite alle persone titolari delle risposte;
solo a tre lettere, rispose direttamente al mittente che era dietro la busta, e
fra le tre, scelse anche Leda. Quella donna, che aveva solo tre anni più di
lui, madre di due figli, dalle espressioni semplici e dirette, lo aveva
emozionato inspiegabilmente. Rilesse quella lettera tante volte, poiché voleva
capire, cosa in quelle semplicissime parole lo aveva catturato di più. (Tu non
sei e non sarai mai da solo!) --- (poiché credo che aiutando te, io possa
arricchire me stessa)--- (credo fermamente che la grandezza di un cuore, di
conseguenza, sia proporzionata, all’aiuto che gli altri ti permettono di
dare!). Sì, disse a se stesso, senza avere più remore, a Leda avrebbe dato il
suo indirizzo! Rispose a tutte le lettere di quel giorno, ma stranamente, tenne
la risposta per Leda in sospeso. Era stanco, doveva risposare, sia il corpo sia
la mente, da alcuni giorni sentiva che c’era qualcosa che non andava, quella
febbriciattola della malora era ritornata! Com’era ritornato il dolore colico
che lo faceva andare troppe volte in bagno, l’indomani sarebbe andato in
ospedale dal dottor Marini per un’analisi del sangue; aveva telefonato al
medico e questo era stato il suo immediato suggerimento. Andò a letto presto,
aveva dentro di sé una strana sensazione di nostalgia, di cosa nello specifico,
non sapeva spiegarselo. Nella sua mente, c’era un po’ la sensazione che si ha
quando ci si sente depressi, e si desidera solo chiudere gli occhi e dormire;
sia per non pensare alle cose brutte e sia perché speri che nei sogni incontri
momenti di felicità. Prese le sue medicine, si distese sul grande lettone e Tatù
fu subito all’angolino sinistro del materasso; ove Mauro aveva sempre ripiegato
un vecchio plaid di lana scozzese, appunto per il suo amico a quattro zampe.
Tentava di rilassarsi e non pensare alle cose brutte, nella sua mente cercava
di riformularsi, tutte le frasi e i concetti più belli, che aveva letto nelle
lettere dei suoi nuovi amici. Cercò di immaginare, che la sua casa fosse piena
di loro concretamente, poiché quella solitudine, soprattutto la sera, gli
schiacciava pesantemente l’anima. La luce che veniva dalla strada, creava nella
stanza giochi di ombre, e l’antico arazzo che aveva sopra al lettone, disadorno
di testiera, creava giochi di riflessi sul muro di fronte. Sembrava, con gli
occhi della fantasia, ed anche un po’ per la febbre che non era ancora scesa,
che i ghirigori di seta dell’arazzo, riflessi di fronte alla parente in
penombra, fossero piccoli rivoli di fiumi dell’amazzonia, che si snodavano su
tutta la sua grandissima dimensione, fino ai confini del mondo! E mentre
seguiva con lo sguardo un filo di seta che correva tutti i tre metri, quanto
era l’arazzo in diagonale, le sue palpebre divennero finalmente pesanti; in
pochi secondi si ritrovò nella foresta che stava immaginando. Faceva un caldo soffocante in quel luogo, era
bellissimo sentire il frastuono di una cascata, che i suoi occhi stupiti
stavano ammirando. Cadeva da una grande altezza, e man mano che si avvicinava a
essa, ne sentiva la frescura che lo ristorava. Era così grande l’altezza dalla
quale cadeva, che miriadi di goccioline, si perdevano nell’aria sottostante,
sino a bagnare leggermente chi passava di lì a pochi metri da essa. Sembrava
una pioggerella di fine estate, che cadeva sul suo corpo, e il calore
soffocante che provava prima, era del tutto scomparso. La cascata finiva la sua
corsa in una conca verdeggiante, ove, nel punto più tranquillo, dove l’acqua
finiva la sua corsa, galleggiavano ninfee multicolori. Si spostavano
lentamente, su foglie aperte a corolla, sembravano manine che sostengono
gioielli preziosi. La trasparenza incredibile dell’acqua, ne rimandava al fondo
del letto l’immagine riflessa, e si aveva l’impressione, che le ninfee fossero
centinaia. Sotto la visione di quello spettacolo di bellezza e frescura,
immerso in colori vivaci e forti, come su di una tela naif, Mauro si fermò per
riposare. Sedette su di un masso levigato da acque fluite da secoli, immergendo
i piedi fino alle caviglie e nel fare quel gesto, si accorse, che sia i piedi
che le gambe, erano cosparsi di tante piccole piaghe arrossate e dolenti. Sino
a quel momento non si era accorto di averle, e quando le vide, sentì un
profondo ribrezzo per ciò che vedeva sulla sua pelle. Freneticamente cercava di
lavarle, immergendo le mani a conca nel torrente freddissimo, ma non riusciva a
lenire il rossore, che incredibilmente, al contatto con l’acqua le arrossava
sempre di più. Arresosi poi, all’evidente
impossibilità di lenire quel tormento che vedeva sulle sue gambe, con i gomiti
poggiati sulle ginocchia e la testa nascosta fra le mani, cominciò a piangere
silenziosamente. Era un pianto senza sussulti, calmo, triste e rassegnato; e
mentre sfogava la sua anima dolente più delle piaghe stesse, gli sfuggì una
supplica che non faceva da anni: < Mamma , aiutami tu! Vieni da me per
favore, guariscimi, ho tanta paura!>. La sua testa era raccolta fra le mani,
e i suoi occhi non vedevano ciò che stava avvenendo di fronte a lui. Il rumore
della cascata non si sentiva più, un silenzio irreale era sceso in tutta la
foresta, le acque tranquille della conca erano diventate color oro e lucevano
così intensamente, che si faceva fatica a guardarle. Mauro si rese conto che
non sentiva più nessun suono, alzò il viso e guardò stupito di fronte a se. Era
incantato dalla visione che ebbe, una ragazza giovanissima avanzava sorridente
verso di lui; portava fra le mani una brocca d’oro, e ogni passo che faceva,
creava intorno a suoi piedi cerchi sull’acqua dorata. Aveva lunghissimi capelli
bruni, che scivolavano morbidi inanellandosi alle punte, che continuavano oltre
la vita. Si avvicinò a Mauro, sorridendo con infinita dolcezza, sostenendo
questa grande brocca d’oro fra le mani, quando lei fu ad un passo da lui, Mauro
sentì nel cuore una gioia indefinibile! < Chi sei, un angelo?> La
fanciulla si piegò su di lui, facendo inclinare la brocca, che era colma di un
unguento profumatissimo, l’odore impregnava l’aria e tutto intorno alla
fanciulla era iridescente, vi era un’aura bianca e intensa di luce intorno al
suo corpo esile; fece scendere l’unguento sui piedi e le sue gambe. Mauro sentì
una freschezza gradevole, che abbracciò tutto il suo corpo, e un’immensa pace
scese dentro la sua anima quando lei, parlò, sembrava ascoltare la musica più
dolce mai udita sulla terra . < Mi hai chiamata, ed io sono venuta da te!
Guardati le gambe, quando sarò ritornata nei miei luoghi, e vedrai che sei
completamente guarito! Io curo le anime, con l’unguento del mio amore, ora la
tua anima non ha più piaghe! Sorridi figlio mio, io sarò sempre con te, anche
se non mi vedi! Il giorno che mi rivedrai ancora, tu sarai guarito per sempre!
>. Erano le prime luci dell’alba quando Mauro si risvegliò dal fantastico
sogno appena fatto, aveva ancora stampata nella mente, l’immagine di quella
fanciulla di luce, che dopo avere detto quelle stupende parole, spariva nelle
acque della conca colma di luci d’oro. La febbre sembrava sparita, si sentiva
leggermente meglio della sera prima, e nel suo cuore si era accesa una
speranza, mista a un coraggio rinnovato.
17
Leda, era intenta a modellare un cestino di
plastilina, Angelica sua figlia, aveva avuto un compito di educazione
artistica, che non era capace di fare da sola. Cercava di insegnare a sua
figlia, come si modellano le roselline, da mettere nel cestino di plastilina
appena intrecciato. Sul tavolo della cucina c’era una grande confusione, ed
anche il piccolo Riccardo era molto interessato alla cosa. Le sue mani
paffutelle, schiacciavano una piccola pallina di plastilina colorata di rosso,
fatta la frittella, cominciò a stenderla, formandone una striscetta, che cominciò
ad arrotolare; si accesero le gote tonde e con una voce argentina disse: <
Mamma, va bene la mia rosellina?> Leda sorrise, nel costatare che il piccolo
aveva una manualità migliore di sua sorella, mentre Angelica lo guardò con
sguardo corrucciato, ma alla fine sorridendo della cosa! Era tardo pomeriggio,
quando smisero di creare la composizione, che avrebbe dovuto essere il compito
svolto solo da Angelica; i bambini andarono a giocare e Leda ebbe un po’ di
tempo per sé. Era da alcune ore che il suo pensiero, corresse alle lettere che
aveva deposto nel centro tavolo, quella mattina ne erano arrivate tantissime.
Come spesso accadeva, Leda riservava di aprirle sempre quando sapeva di aver
tempo per leggere e poi rispondere. Prese il pacchetto di lettere, e nello
scorrerle lesse su una di esse un mittente che visionava per la prima volta, Mauro
D’argo Via Maqueda Palermo. Significava una cosa sola, Mauro della trasmissione
vista in tv, aveva accettata la sua amicizia e le inviava la sua prima lettera.
Palermo 30-11-90
Cara Leda, buongiorno,
Sono Mauro della trasmissione “Canale 5 per voi”, ho avuta la tua
affettuosa lettera, dalla redazione proprio ieri. Mi fa piacere che ci sono al
mondo persone tanto sensibili e che s’interessano al prossimo, scoprire che
nonostante le apparenze e la solitudine fisica, non si è mai veramente soli!
Purtroppo per me, anni e anni di delusioni e brutte esperienze, mi hanno reso
sfiduciato verso i miei simili, e mi sono chiuso molto, rispetto gli altri.
Avevo sempre paura che potessero farmi del male; ma non male fisico, bensì
morale!Così oggi mi ritrovo ad analizzare, tutta la mia vita e piano piano sto
cercando di aprirmi, di essere più disponibile. E’ un lavoro duro e lungo! Bene
o male la mia storia la conosci, diciamo per sommi capi, giacché in venti
minuti (durata della trasmissione) non si può raccontare tutta una vita; una
vera odissea! Potrei raccontarti tante cose di me, del mio quotidiano, della
mia dura lotta per la vita, ma il mio più grande traguardo l’ho raggiunto! Ho
imparato a volermi bene, a onorare questo corpo che Dio tanto generosamente mi
ha donato, e che in passato ho tanto tristemente offeso. Da quando ho aperto
gli occhi, mi sono molto avvicinato alla chiesa, perché Dio non mi ha mai
abbandonato, solo che i miei occhi non lo vedevano e le mie orecchie, non lo
sentivano. Adesso vivo giorno per giorno, ringraziando ogni mattino, il Padre
Celeste, per avermi donato un'altra alba! Grazie Leda per avermi chiesta
l’amicizia, che Dio benedica te e la tua famiglia, grazie ancora!
Mauro
Leda, era abituata a ricevere posta da persone che conosceva, era
la prima volta che si trovava di fronte ad una persona, della quale conosceva
solo un timbro di voce ascoltato in tv. Eppure quella sensazione di
familiarità, che aveva avuto fin dall’inizio, non si smorzò, provo un gran
senso di gratitudine, per chi o per cosa, non sapeva spiegarselo. Rilesse
parecchie volte quella lettera che diceva (Purtroppo per me, anni e anni di
delusioni e brutte esperienze, mi hanno reso sfiduciato verso i miei simili)
quelle parole erano dissonanti , se si guardava al risultato. Non era stata la
redazione a creare lo scambio epistolare, ma la stessa persona diffidente, che
le aveva concesso un’immediata fiducia! Venne spontaneo a Leda pensare che, la
Mamma Celeste, avesse davvero guidato la sua mano!
18
I giorni passavano in maniera totalmente diversa,
ora che Mauro corrispondeva con Leda. Si rendeva conto che non tutte le persone
di questo mondo isolavano gli ammalati di aids. Forse, gli balenò pure l’idea,
che per lei era più facile, poiché era lontana e ben riparata dalla sua persona
fisica! Questo pensiero, frutto del suo passato d’isolamento e cocenti
delusioni, durò la frazione di un secondo; subito dopo, ne provò rimorso! Nel
frattempo qualcosa si era mosso, dopo la trasmissione, lo stato gli aveva
riconosciuta una pensione di totale invalidità di 450.000 lire. Non era una
grande cosa ma messa insieme agli aiuti fattivi della gente di buon cuore che
gli scriveva, Mauro riusciva a mettere insieme il pranzo con la cena, per
quanto riguarda l’affitto e le bollette era più arduo! I fratelli di Mauro in
cinque, riuscivano a dargli 200.000 lire il mese, ma gli veniva molto dura
farlo, e Mauro lo sentiva in tutto il suo peso. A volte pensava, che avrebbe
preferito andassero a trovarlo, piuttosto che avere quei soldi, che gli portava
mensilmente Flavia. Dopo l’ultimo ricovero, nessuno più andava a trovarlo,
tranne Flavia, che però aveva di molto diradato le sue visite. Se voleva
sentire i suoi fratelli, doveva telefonare lui, ma non poteva permetterselo,
allora anche le telefonate locali costavano troppo. Mauro in un momento di
profonda depressione lo confidò a Leda, pregandola di scusarlo, per quello
sfogo che sicuramente l’avrebbe rattristata; ma si disse, un’amica fa anche
certe cose, accoglie il suo amico anche nei momenti duri! L’aria del Natale era
alle porte, e Leda, nell’ultima lettera gli aveva detto, che aveva avuta una
brillante idea! Non gli disse cosa, era solito fare così Leda, per creare in
lui quei momenti di attesa positiva, che si dilatano per un po’ di tempo,
giusto lo spazio per non farlo pensare alle cose brutte! Infatti, Mauro notò
che stavano passano più giorni dalle risposte epistolari di Leda, e un po’ ne
era preoccupato. Era incredibile, come in così poco tempo, quella donna che non
conosceva in realtà, se non attraverso una piccola foto, che nel frattempo si
erano scambiata; era diventata una sorella vera, più presente ancora a volte,
di quella di sangue! Quel pomeriggio Mauro
stava rimettendo in ordine tutte le lettere ricevute in quei mesi, e siccome
aveva un carattere molto pignolo e preciso, le smistava in una cartelletta
gialla, in ordine alfabetico. Nel fare quest’azione, scivolò da una busta una
piccola foto a colori di Leda. L’aveva osservata molto il giorno che gli arrivò,
per poi deporla accuratamente nella busta. Non sembrava avesse le
caratteristiche della donna del sud, aveva la pelle chiarissima, lunghi capelli
biondi sino alle spalle, fini e impalpabili, occhi grandi, nascosti da lenti
grandi, com’era di moda a quei tempi. Gli occhi erano molto simili ai suoi, castano
chiaro spruzzato di verde, e la sua espressione era al contempo, sia acuta e un
po’ severa, che accogliete e dolce. In quella lettera dove era la sua foto,
Leda gli aveva raccontato della sua esperienza spirituale, avuta
nell’ottantasette, dopo la precoce morte di suo padre Riccardo senior e Mauro
notevolmente commosso, nel leggere quella cosa stupenda che lei gli confidava,
cercava di immaginare, cosa avrebbe realmente provato lui, se gli fosse
capitata una cosa simile! Mentre guardava quella piccola foto, gli sovvenne in
mente il sogno fatto alcune notti prima, quel sogno che lo aveva fatto
svegliare colmo di speranze e positività.
Forse Leda, aveva sentito anche lei, quell’immensa felicità, che aveva
provato lui al cospetto di quella fanciulla luminosa, che si era definita nel
sogno, sua madre, però con una notevole differenza! Leda, non dormiva, mentre
era immersa nella luce di una giovane fanciulla, simile a quella del suo sogno!
Quei pensieri gli fecero tremare il cuore di gioia, era così raro per lui,
immergersi in pensieri belli! Le aveva detto poi per lettera, che di questa
cosa, ne avrebbe voluto parlare con lei più accuratamente! A lui piaceva molto
l’introspezione, riteneva che quei momenti gli servissero per migliorare e
pulire la sua anima! Aveva detto a Leda, che da quando si era riavvicinato a
Dio, faceva spesso quell’esercizio di pulizia dell’anima! Così l’aveva
definita: < E’ facile sporcare l’anima, com’è facile chiedere perdono a Dio,
che perdona tutto! Anche se Egli è infinitamente buono e perdona davvero tutto,
a volte giustamente si arrabbia pure! Noi a volte pensiamo che l’anima sia come
le lenzuola! Che si cambiano una volta la settimana, così ritornano bianche e
profumate, pronta da mettere sul letto! No, la nostra anima non è così! La
nostra anima non è fatta di stoffa, e non c’è acqua che purifichi le macchie e
le colpe fatte, per poco amore verso noi stessi! Bisogna prendersi cura della
nostra anima, se non vogliamo che essa annerisca. Dio se ne dispiace
tantissimo; e non è giusto dargli dei dolori, dopo tutte le cose meravigliose
che Lui fa per noi! In passato io ho offeso molto Dio, per poco amore verso me
stesso, per superficialità e stupidità! Il peccato più grande che ho fatto, è
offendere la mia stessa vita, il dono più prezioso che Lui mi ha fatto! Gli
chiedo continuamente perdono Leda, per questa cosa, e spero che Lui mi abbia
perdonato!> Senza che se ne accorgesse, Mauro quando scriveva, ora si
dilungava moltissimo, a raccontare alla sua amica, tutte le introspezioni che
amava fare. E cosa straordinaria, aveva l’impressione viva, di fare delle
confidenze intime a una persona fisicamente presente. Non immaginava certo, che
l’idea della quale parlava Leda, era così vicina alla realtà, vestita d’immaginazione.
19
Mauro era intento ad ascoltare le notizie del
telegiornale, mentre mangiava la sua buona pasta con olio e formaggio grattato;
Tatù al solito, rincorreva con il musino la sua ciotola rossa, con i tocchetti
di carne e verdura. Era comico vederlo, e anche se Mauro gliela metteva contro
la parete della cucina, non si sa come mai, lui, famelico nel divorarla, la
spingesse sempre al centro della stanza; Tatù mangiava e camminava per tutto i
mini tinello! Mauro osservava il grandissimo albero di Natale, che avevano costruito
in piazza san Pietro a Roma, anche lui voleva fare l’albero, l’indomani si era
ripromesso di andare a comprare un alberello e delle lucine; e mentre faceva
quella riflessione, il citofono suonò. Di solito a quell’ora, arrivava la
posta, ma il postino non aveva bisogno di bussare, usava le cassette
condominiali e andava via. Invece questa volta il postino gli disse che c’era
un pacco raccomandato, Mauro scese le scale con un’espressione interrogativa
sul volto, firmò la ricevuta, e mentre risaliva le scale lesse, il mittente,
Leda Striani, dopo tanti giorni, gli aveva mandato la sua brillante idea! Si
chiuse la porta alle spalle e aprì quel pacco, con la stessa ansia e gli stessi
modi, di quando bambino, strappava la carta del regalo che era sotto l’albero
di natale! Nel pacco c’era una grande busta rossa rigida, un pacchetto blu’
piccolino, con un luccicante nastrino d’oro , un walkman completo di cassetta e cinque audio cassette nuove. Sulla
grande busta rossa c’era scritto: “ da aprire adesso “, e sullo scatolino
piccolo blu’ c’era scritto : “ da aprire il 25 Dicembre “. Anche se il primo
istinto di Mauro, fu di schiacciare il player del walkman color argento, si
trattenne, e fece in sequenza le cose che Leda gli consigliava di fare. Aperta
la busta rossa, Mauro si trovò fra le mani, dei lavori fatti a mano che
riguardavano il Natale; un grande babbo natale dipinto di rosso e oro, con una
barba fatta con la lana bianca. Aveva un faccione rosso e sorridente, il
pancione, e i pattini con la lama ai piedi. Quella barba fatta con la lana,
dava una parvenza di profondità reale al disegno sul cartone, che era davvero
troppo carino! Dalla busta rossa, tirò fuori un altro cartoncino bianco molto
grande, piegato in due, e quando lo aprì, con sua grande meraviglia si trovò
fra le mani, la scena di un presepe tridimensionale. Era fatto tutto a mano,
accuratamente intagliato, nei punti giusti; in modo che i personaggi di cartone
rimanessero in piedi, era tutto colorato e ogni personaggio aveva un nome. La
Madonna aveva il nome di sua madre Gianna, san Giuseppe il nome di suo padre
Vincenzo,e il bambino Gesù aveva il suo nome. La grotta, gli angeli, e i
pastori erano tutti ricoperti da una polvere d’oro, e i nomi dei pastori, erano
quelli della famiglia di Leda; Angelica, Riccardo, suo marito Massimo e lei.
Mauro era seduto sulla sedia di fronte al tavolo fatto dalla vecchia Singer e
il marmo recuperato, tutti quei doni erano sparsi sul tavolo, e mentre Tatù vi
saltava sopra incuriosito dagli oggetti nuovi, Mauro sorrideva, fra
le lacrime di profonda gratitudine. Le presenze amiche di quella piccola casa,
videro un giovane uomo che piangeva e rideva, mentre un comico gatto con la
zampetta, afferrava il nastrino d’oro della scatola blu’, trascinandola a terra
e salterellando ,palleggiava la scatoletta, come se fosse su di un campetto di
calcio! In quel magico pomeriggio del 20 Dicembre 1990, la voce di Leda fece
ingresso ufficiale a casa di Mauro,sarebbe stato l’inizio di un colloquio reale
, in differita, giusto il tempo che occorre a una missiva di arrivare, dalla
Campania alla Sicilia. Forse con quella idea Leda ,aveva preceduto i tempi, di
quando poi avrebbero reso abbordabili a tutti, i computer e le chat ! Mauro,
troppo emozionato, reso fragile dalla malattia, preferì sedersi sul divanetto,
ripose nella grande scatola, la scatoletta blu’ a malincuore. Avrebbe voluto
aprirla subito, ma fece esattamente ciò che gli aveva suggerito Leda, l’avrebbe
aperta il giorno di Natale; schiacciò player e Leda fu lì! Ascoltò e riascoltò
quella voce, a suo giudizio dolce, allegra e solare; Leda si raccontava nella
sua giornata, facendo pause, mentre gli suonava un pezzo al pianoforte e cantava
l’Ave Maria di Schubert, subito dopo una sua riflessione divertita, la lettura
di qualche sua poesia. E poi … una nuova emozione! La voce giovanissima di
Angelica, che lo chiamava zio Mauro e gli raccontava cosa aveva fatto a scuola.
Ed ecco la vocina stridente del piccolo Riccardo, che tentava di parlargli in
siciliano, mentre sfoggiava la sua vocazione per il Napoli e Maradona! Mauro
sentì davvero Leda viva e vera nella sua casa, ed era combattuto fra il pianto
e il riso; era piacevolmente avvolto da emozioni dimenticate da qualche tempo!
Leda … una persona che non vedeva in lui, che un amico e un fratello; nessuna
barriera , nessun tabù, nessuna lettera scarlatta! Non vi erano gay, né malati
di aids; erano solo due persone, dalla stessa anima di donna, pronte a
condividere un breve e difficile viaggio, che li avrebbe solo migliorati agli
occhi di Dio! Nei giorni a venire Mauro non ebbe il tempo di deprimersi,
neppure quando il medico gli diagnosticò una grave infezione, che dovette
curare con pillole dagli effetti collaterali molto sgradevoli. Appena si
sentiva meglio, dall’effetto delle medicine, Mauro schiacciava player e Leda
era lì a fianco a lui, per rincuorarlo! Poteva comunicare con lei parlando, non
più scrivendo; allora era più facile e scorrevole raccontarsi. Prese una delle
cassette nuove, la infilò nel walkman e cominciò a parlare; i primi secondi gli
sembrò che parlasse al nulla, era così strano parlare a un oggetto! Si disse
che Leda aveva fatto la stessa cosa; e il risultato era stato poi, che …. Era
lì davvero con lui!
20
<
Carissima Leda, ho appena ascoltato la tua meravigliosa cassetta. Che stupenda
sorpresa, e che bella voce hai! Io non ho parole, per come mostrarti la mia
gratitudine e soprattutto la mia riconoscenza per la tua meravigliosa amicizia,
per i tuoi fortissimi sentimenti! Cosa che mi sbalordisce un po’, perché non ci
sono abituato, non ho mai avuto così tanto affetto, in così poco tempo, senza
neppure conoscere, tra l’altro, l’altra persona! Senza conoscerla, nel senso
fisico intendo. Ed è una cosa che mi riempie di gioia, e soprattutto di grande
speranza! Speranza di incontrare tanta altra gente come te, e di avere tanto
altro affetto. Che credimi, per me non è mai abbastanza. Ne ho avuto veramente
troppo poco! Ti ringrazio per tutto questo, veramente! Sono davvero commosso,
per tutte le cose belle che hai detto in questa cassetta. Per i brani
meravigliosi, tra i quali hai azzeccato quelli che per me , sono proprio il
massimo! L’Ave Maria di Schubert e Lucean le stelle di Pavarotti;che è proprio
il mio cavallo di battaglia! Io, quando sento questa canzone , mi commuovo
sempre infatti, quando tu dici dopo, < se ti è scesa una lacrima,
asciugala> Io ci sono rimasto, perché in quel momento stavo proprio
piangendo! Ed ho capito che solo una persona carica di una grandissima
sensibilità, può capire gli stati d’animo di una persona! Sei brava a suonare
il pianoforte , sei capace di esternare un certo sentimento e calore. Spero di
essere anch’io altrettanto bravo a registrarti le mie,cercherò comunque di
raccontarti il mio stato d’animo, magari di quel momento particolare della
giornata o se ho qualcosa di nuovo da comunicarti. Cercherò magari,di
registrarti le cose più belle che mi capitano durante la giornata. Non so il
mio tono di voce come risulterà, penso che ogni tanto vada su, e poi giù,
comunque è il mio modo di parlare. Oggi desidero raccontarti la storia della
mia vita, molto dura e dolorosa. Ho voglia di farti capire meglio, chi sono io,
e da dove vengo. In sintesi in questa cassetta, ti racconterò, le più grandi
tragedie della mia vita, e le più grandi gioie! Qualcuna c’è stata!> Erano
ormai le 19,00 ma Mauro non si era reso assolutamente conto, che era passato
tutto quel tempo! Era stato il gorgoglio del suo stomaco per secondo, e il
miagolio di Tatù per primo,che gli ricordava il suo, a fargli girare il polso e
leggere l’ora. Spense il registratore rimandando il suo racconto all’indomani,
preparò la cena con cuore leggero e contento, e quando andò a coricarsi stanco
morto, anche per le forti emozioni provate quel giorno, dopo le preghiere, che
era solito fare,accese il piccolo walkman, dove la voce di Leda, appunto
diceva: < Buona notte Mauro, dormi sereno, che domani sarà un giorno
migliore!>
21
Il Natale era quasi alle porte, tutto intorno lo
annunciava , dalle luci festose nei vicoli e nelle stradine del paesino di
Leda, ai lavoretti che i suoi bambini le portavano da scuola. Puntualmente,
verso le 14,00 si potevano sentire gli zampognari da ogni casa, era una
tradizione bellissima che ancora resisteva nei piccoli centri; essi facevano il
giro di tutti i vicoli del paese, la gente apriva la porta della loro casa, e
offriva una mancia e un bicchierino di liquore. Leda, era sospesa a un metro da
terra, addobbava il suo altissimo albero di Natale; avendo casa sua di antica
costruzione, soffitti alti quasi cinque metri, opportunamente abbassati da una
controsoffittatura in legno. Quelle prime ore del pomeriggio, che sapevano i
ragazzi in casa dopo la scuola, Leda passava quelle ore piene di letizia,
insieme ai suoi figli che allegri le passavano gli addobbi del Natale da
appendere sull’albero. Dopo sarebbe passata ad assembrare il suo antichissimo
presepio, lungo almeno tre metri, fatto da un suo zio, quando lei ancora doveva
venire al mondo. Lo aveva ereditato dai suoi genitori, quando si era sposata;
lo aveva opportunamente restaurato, con nuove casette, nate da scatoline di
medicinali, divenute mirabilmente delle vere casine, con la fantasia che aveva
lei nel maneggiare pennelli e pitture colorate. A Leda piaceva molto infatti
dipingere, disegnare, modellare oggetti e scrivere poesie, tutto ciò che era
creatività, era la sua passione. Nel giro di due ore, ecco l’albero di tre
metri colmo di luci e fili d’oro, e il presepe antico, ove ogni scena
pastorale, era il puro divertimento del piccolo Riccardo: ci teneva troppo il
piccolo a mettere lui stesso tutti i pastori. Il presepe era finito solo quando
sulle montagne di sfondo, aveva messo il soldatino, che faceva da guardia al castello
di re Erode! Leda, accendeva le luci nelle casette, e sotto l’erbetta finta che
era intorno ad uno specchietto, che faceva da acqua alle papere e ai cigni! Per
tutti di casa, quel presepe rimaneva tale, solo per il piccolo Riccardo,
diveniva un gioco quotidiano; che faceva ogni giorno al ritorno da scuola; i
pastori divenivano per lui, soldatini con i quali giocare. E anche se Leda , metteva
il grande presepio in alto, sul pianoforte antico a parete di sua nonna,
Riccardo prendeva la sedia e rimaneva ore a giocare costruendosi storie
fantastiche. Quel giorno il postino aveva consegnato a Leda, una piccola busta
imbottita,proveniva da Palermo e lei capì subito che era l’audio cassetta di
Mauro. Quella sua idea a quanto pare era
piaciuta al suo amico, era curiosa ed emozionata, di ascoltare finalmente la
voce del suo amico lontano, ma non lo aprì prima di sera! Era una cosa
importante che richiedeva la sua intera attenzione e la rimandò, a quando la
sua giornata di casalinga e madre sarebbe volta alla fine. Guardava contenta
tutto il suo lavoro, per addobbare la grande casa per il Natale, al contrario
di Mauro, Leda possedeva una casa enorme, ove ogni stanza misurava quattro
metri per sei, pavimenti a cera con mattonelle che richiamavano antichi disegni
a mosaico. In ogni stanza c’era un addobbo per le festività, fili d’oro,
palline colorate erano dappertutto. Sui vetri della lunga balconata, che
contava quattro infissi e otto vetri, Leda dipingeva su di ognuno una cosa
diversa; la natività, babbo natale sulla slitta, la befana con la scopa
volante, gli angeli e le stelle. I suoi bambini adoravano quei disegni sui
vetri altissimi, perché dalla strada si vedeva tutto il lavoro dei disegni
colorati, e quando uscivano da scuola, guardando dalla strada, spesso s’inorgoglivano
verso i loro amichetti di scuola che li vedevano da lontano; a loro piaceva
dire: < Vedete che belli, li ha fatti la mamma!> Leda ammirava il suo
lavoro, era soddisfatta di quella giornata, e la sua conclusione, non poteva
essere migliore, era arrivata anche la prima audio cassetta del suo amico. Non
poteva fare a meno di pensare, al suo presepio intagliato per Mauro, aveva rovinato
una vecchia valigetta di plastica, per poterlo lavorare con la lametta a mano;
ma alla fine del lavoro, ne era valsa la pena! Dopo averlo costruito, il tocco
finale con la polvere d’oro lo aveva affidato a Riccardo, che con le sue manine
paffute l’aveva spolverata sopra, dopo che Leda aveva passato un filo di colla
per farla attecchire. Riccardo e Angelica, avevano poi commentato tutti
entusiasti che allo zio Mauro sarebbe piaciuto; ma Leda osservava il suo grande
presepe antico, il suo altissimo albero, e la sua splendida famiglia. Mauro
aveva un presepe di cartone, forse neppure un alberello, ed era da solo! Non sapeva
spiegarsi come mai aveva preso così tanto a cuore, la storia triste di quel
ragazzo; le sembrava che Mauro fosse quel fratello mai nato che sua madre perse
ancora prima che nascesse. Era una cosa strana, questo rapporto fraterno così
forte e sentito, per una persona mai vista, ma solo conosciuta epistolarmente
da pochi mesi! Come sempre le capitava, quando non riusciva a capire la logica
delle cose, si diceva che, infatti, non c’era logica; ma solo intervento di
mano divina. Ricordava una frase che aveva sentito un giorno: < Non ti
meravigliare di sentire amore per chi neppure conosci, poiché quando questo
accade nel cuore degli uomini, è sempre suggerito da Gesù! Infatti, dove Egli è
presente, gli uomini si sentono fratelli nella condivisione della vita, anche
se non si sono mai visti fattivamente! Dove c’è, Lui c’è unione dei cuori!>.
Quando Leda, non arrivava alle cose, lasciava che fosse quella voce sentita a
parlare per lei, e tranquillamente la seguiva, invitando anche i suoi cari a
farlo con lei. Con i bambini era facile, ma con suo marito un po’ meno! Massimo
era un uomo molto concreto e spesso non condivideva del tutto l’operato sociale
di Leda, ma solo perché forse era apprensivo nei confronti di sua moglie. Lei
si occupava di cose che a volte potevano essere, non solo stancanti, ma anche
pericolose, così le definiva lui. Occuparsi dei carcerati, dei ragazzi nelle
comunità di recupero, delle donne che subivano violenze etc etc, era pericoloso
e stancante secondo lui, sia per lo spirito sia per il corpo. E forse non aveva
tutti i torti Massimo, giacché Leda aveva anche due figli e un marito! Leda,
era fatta così, voleva condividere con gli altri, la felicità della quale era
attorniata, non le sembrava per nulla giusto, ignorare chi le chiedeva una mano!
Ogni volta che aveva l’opportunità di conoscere un “caso” nuovo, lei sentiva il
bisogno fortissimo, di accoglierlo! Era come vedere se stessa, in un ipotetico
bisogno umano, chiedere aiuto a qualcuno e sentirsi meno spaventata, perché
quel qualcun c’era! Era solo gente più sfortunata, non pericolosa! Leda,
credeva fermamente in questa cosa, e se nella vita avesse avuto dei problemi
grossi con i suoi figli o altre persone da lei amate, avrebbe voluto anche lei
incontrare una mano tesa! Era così giovane, che lo credeva davvero, che il bene
porta al bene! Forse nella sua ingenuità, credeva che se dai con il cuore la
tua gioia, nel momento del dolore, la gioia degli altri può sollevare il tuo
momento no! Questi ragionamenti, sensati o no, durano lo spazio di pochi
minuti, discussioni brevissime tra lei e Massimo, dopo di ché, lei faceva le
cose che la facevano sentire bene e basta! Era molto stanca quella sera, non
vedeva l’ora di stendersi nel suo grande letto, mettere le cuffie e ascoltare
la voce del suo amico. Tutti dormivano nella grande casa, quando questo
finalmente avvenne, la voce di Mauro, fu nelle sue orecchie, scivolò fra le
emozioni del cuore, gratificandola profondamente, alla fine di una prolifica
giornata di lavoro. Ascoltò la voce altalenante nei toni bassi e alti, di un
giovane uomo che commosso la ringraziava. Definendola una cosa preziosa visto e
i tempi e i modi della gente, che erano tutt’altro esempio nella sua vita.
Ascoltò la sua voce commossa, quasi ai confini del pianto, mentre la ringraziava
per il suo affetto fraterno, cosa che non avrebbe mai pensato di avere in così
poco tempo, senza neppure conoscere fattivamente l’altra persona; poi la voce
di Mauro cominciò a raccontare la sintesi della sua vita.
22
< Nasco a Palermo il 25 Giugno del 1957 alle ore
21,00 in un rione molto popolare, detto Ballarò. Eravamo molto poveri, in tutto
otto persone compresi i miei genitori, siamo, infatti, sei figli, cinque maschi
e una femmina. Vivevamo in uno stanzone con un soppalco, che mio padre aveva
creato apposta, ove vi situava la stanza da letto dei miei genitori. Giù, nel
grande stanzone poi, c’eravamo tutti quanti; giù c’era il salotto, la cucina,
le stanze da letto, la stanza da pranzo e il bagno. Ho pochi ricordi chiari
della mia prima infanzia Leda, sono come delle visioni! Ricordo, comunque una
certa armonia, una certa aria di gioco, di unione, ecco! Questa cosa la ricordo
perfettamente! Intorno ai quattro anni poi, ci siamo trasferiti in un rione di
Palermo un po’ più su. Mio padre, infatti, cominciò a lavorare di più, lui
faceva l’imbianchino, che da noi si chiama indoratore; lavorava anche con i
restauri delle chiese, ma c’era pochissimo lavoro. Poi con il boom degli anni
sessanta, il lavoro incominciò a incrementare e così abbiamo avuto la
possibilità di andare un po’ più su a livello economico, come modo di vita.
Questo Leda è stato il periodo più bello della mia vita, c’era appunto la
famiglia tutta unita, questa grande famiglia! Mia madre, forse è scontato che
io lo dica, una persona stupenda, perché essendo appunto mia madre… ma lei per
me è stata una grande donna! In ogni caso lei aveva un fortissimo carattere, mentre
mio padre, era un po’ più farfallone, nel senso che amava un po’ farsi le sue
cose, aveva anche un suo spazio al di fuori della famiglia, infatti, non stava
molto a casa, però era sempre premuroso, non ci faceva mancare mai nulla. Era
insomma, una persona un po’ anarchica, non voleva assolutamente che gli si
dicessero, quello che doveva fare o quello che non doveva fare! Forse era un
po’ troppo egocentrico, ma in ogni caso, anche lui era una persona molto buona,
quando poteva, ci dava tutto quello che gli chiedevamo. Forse anche perché, lui
pensava che in questo modo, avrebbe sopperito alla sua assenza da noi! In ogni
modo, non mancava ai suoi doveri principali; intanto io a sei anni mi ammalo di
soffio al cuore, per mia madre fu una tragedia, perché a quei tempi non c’erano
le nozioni di oggi, che si sa che con lo sviluppo, questo problema sparisce di
solito spontaneamente! Furono anni duri per me e per mia madre, perché fino
all’adolescenza ho fatto mille analisi e mille cure. Quando poi mi feci grande,
infatti, il soffio al cuore sparì! Avevo dodici anni, quando la mamma, un
giorno litigò con mia nonna, sua madre, non so ancora oggi quali furono i
motivi, ma da questo fatto mia madre si sentì male, ebbe un ictus e morì nel
giro di pochi giorni, a soli quarantacinque anni. In quello stesso periodo
Flavia mia sorella, che si era sposata, metteva al mondo la sua prima figlia e
noi tutti maschi compreso mio padre, rimanemmo da soli in balia di noi stessi,
ad affrontare un dolore senza fine; mia sorella non poteva aiutarci in nessun
modo. La nostra casa che era stata l’emblema dell’ordine e dell’armonia, fu
travolta da un turbine di caos e dolore! I miei fratelli più grandi di me,
sopperirono a questo dolore immenso stando sempre fuori di casa, chi perché
aveva già un lavoro, chi in moto perché di natura era scapestrato, chi ad
abbordare le ragazzine, disertando del tutto, le regole che ci sono in una
famiglia normale. Ossia le ore per il pranzo e la cena, ed il ritirarsi a casa
ad un’ora decente. Mio padre rimasto solo, era come attonito, ed io che avevo
solo dodici anni, cercavo di mettere a posto le cose intorno a me. Almeno ci provai
Leda, nonostante fossi un bambino; quel grande caos, che era diventata quella
casa, prima tanto perfetta e poi tanto caos! Vedi com’è la vita Leda! Tentai di
prendere le redini della casa, facevo la cuoca, la lavandaia e la massaia.
Cercavo con il mio modo di fare, di dare una parvenza di ordine e normalità
alle cose di sempre, ma era tutto un’illusione, morta la mamma, tutto andò a
scatafascio! Mio padre non ebbe la capacità di reagire da solo,dopo soli cinque
mesi, se ne spuntò con una altra donna,
dicendomi che da ora in poi, lei sarebbe stata la mia nuova mamma, che io avrei
dovuto rispettarla, e che sarebbe tornato tutto bello come prima; Io nelle mia
grande ingenuità, e nel mio grande bisogno di affetto materno che avevo nel
cuore, mi fidai cecamente di mio padre; con il quale avevo sempre avuto un
rapporto idilliaco, ero convinto che sarebbe andata come diceva mio padre. Purtroppo
non andò così Leda, non fu così! Dopo la sua venuta nella nostra casa, fu tutto
uno sfascio totale! Purtroppo mio padre, scelse la donna sbagliata, perché
quando ci sono sei figli alle spalle, bisogna davvero trovare una persona
disposta ad accettare tutto! Invece nel disegno di questa donna, c’era già una
volontà precisa, quella, in pratica, eliminare tutti i figli. Non nel senso
fisico della parola, ma con lo scopo di farci stancare, fino al punto di
costringerci ad andare via di casa. Da lì cominciarono gli anni più duri della
mia vita, intanto il mio primo fratello Giacomo, si era trasferito a Torino,
dove lavorava presso un’impresa edile, che curava sia la manutenzione privata
che quella pubblica degli immobili. Ed io che avevo solo quindici anni, pensavo
di lasciare la scuola e quella casa, dove c’era una donna che probabilmente mi
odiava e che io ricambiavo. Pensavo di lasciare Palermo e mio padre, che io
amavo senza fine e lui allo stesso modo, credevo! Mio padre non sapeva stare
senza una donna, e quando tentavo di lamentarmi con lui, per come mi trattava
lei, lui diceva sempre: <
Porta pazienza Mauro, sei piccolo, cerca di sopportare per amore di papà!>
Lì sono cominciati i grossi conflitti
con mio padre, voleva solo la sua tranquillità, non pensava ai nostri
traumi; purtroppo mio padre ha sbagliato, ma io l’ho perdonato, lo abbiamo
perdonato tutti! Perché per lui, la morte di mia madre è stata un qualcosa che l’ha
destabilizzato, l’ha fatto perdere! Infatti, cominciò a non aver più voglia di
lavorare, stava in giro così, senza fare niente! Poi ha conosciuto questa
donna, e si buttò in questa storia, senza neanche pensarci sopra; tutti noi
avevamo il dubbio, che l’avesse già da prima questa donna. Ma lui ci ha sempre
giurato e spergiurato, che l’ha conosciuta per caso, già dopo poco tempo che
mia madre era morta. Intanto uno per uno i miei fratelli scappava, chi per
disperazione, chi si sposa, chi se ne va al nord, io rimango con mio padre;
anche perché essendo così piccolo, non avevo nessun’altra possibilità. Ero un
ragazzino un po’ difficile, non stavo per nulla bene a livello emotivo, non ti
dico le lotte che ho fatto con lei! Le facevo mille dispetti, per vendicarmi
della sua cattiveria persecutoria, maniaca della pulizia non vivevo più, non
potevo muovermi a volte sembrava persino che mi fosse proibito respirare! In
tutte questo, mio padre, cercava di mettere le pezze, nel senso che mi diceva
sempre: < E tu sei piccolo, devi evitare, sopporta.> E di conseguenza io
reagivo, facendole i dispetti! Mi sentivo come un condannato a morte, e gli
facevo dispetti davvero stupidi; come ad esempio non salutarla quando uscivo o
rientravo, le rispondevo male etc etc. In ogni modo succede che io comincio a
essere troppo insofferente, inizio ad avere dissapori con mio padre, con il
quale fino a poco prima era stato un idillio! Io e mio padre eravamo un corpo e
un'anima! Chiaramente come puoi immaginare, ero il piccolo dei figli, ed ero
anche il più vezzeggiato, improvvisamente tutto questo, non l’ho avuto più! Ho
perso mia madre e ho perso mio padre, in due maniere diverse, ma altrettanto
dolorose. Comincio così ad andare via da Palermo, me ne vado da mio fratello
Giacomo a Torino, ma non ci sto bene, anche perché faccio un lavoro pesante.
Lavoro sulle facciate dei palazzi, a pitturare, cosa massacrante per un
ragazzino di quindici anni; avevo un’immensa nostalgia di mio padre, ero troppo
legato a mio padre! E spesso decidevo di tornare a Palermo, così di nuovo
lotte, liti, vado a stare un po’ da mia sorella, un po’ dal mio secondo
fratello, Paolo, ma i rispettivi consorti non erano molto felici della cosa! Ed
io andavo e venivo da Torino, facendo della mia giovanissima vita, un
andirivieni continuo! Sino a quando a vent’anni sono partito militare, per me
quel periodo è stato come una liberazione! Per la prima volta mi sono sentito
un ragazzo davvero libero! Tornato da militare poi, sono andato ancora per
altri due anni a Torino, dove facevo sempre lo stesso lavoro pesante; poi a ventiquattro
anni ritornai a Palermo che amavo troppo, riprovai a vivere con mio padre e sua
moglie, ma lei non mi tollerava, non mi vuole più, e me lo dice senza peli
sulla lingua! Mio Padre ormai sottostava a ogni sua decisione, non riusciva a
lasciarla, a staccarsene! E quindi, preferiva staccarsi dai figli! La
situazione era questa, lui non poteva farci niente! L’unica cosa che poteva
fare, era lasciarla, ma non aveva la forza di farlo, perché era un uomo mio
padre, che non sapeva stare da solo, aveva bisogno della figura femminile
accanto, comunque essa fosse! Allora io decido definitivamente di andare a
stare da solo, condividendo l’appartamento con altri studenti a Palermo, e qui
purtroppo, comincio a bucarmi, a fare uso di sostanze stupefacenti. Prima si
comincia con le droghe leggere e poi così, solo per una grande incoscienza, e
per la grande presunzione di pensare che, tanto non ti coinvolgerà mai, non
sarà mai una cosa grave! E invece, il meccanismo è proprio questo, inizi per
gioco, e finisce in tragedia! Non ti sto a raccontare Leda cara, i vari calvari
della mia vita da tossicodipendente, ad ogni modo è stata dura. Quando mi sono
reso conto di essere troppo coinvolto, ho cominciato a vivere male, anche se
avevo ancora la forza di lavorare e bastare a me stesso. A Palermo facevo lo
stesso lavoro, indoratore, ma mi occupavo anche di istallare moquette, carta alle pareti, insomma facevo lavori di
ristrutturazione negli appartamenti privati; non era come a Torino che facevo
facciate d’industrie, il lavoro a Palermo è molto più privato. Guadagnavo bene,
ma purtroppo la maggior parte dei soldi, li spendevo … come li spendevo!
Intanto per cercare di smettere, andavo spesso a Torino a trovare mio fratello,
e cosa strana quando ero lì smettevo per un po’, ma poi quando ritornavo, ero
sempre punto e a capo! Un giorno che ero ritornato nella mia amata Palermo,
dalla quale non riuscivo a stare lontano, la amavo troppo la mia città! In uno
degli ennesimi tentativi di smettere, le analisi hanno rivelato la
sieropositività, trasformatasi poi, in pochi anni in aids conclamata. Da quel
giorno la mia vita è cambiata, non dico che sono diverso, perché sono sempre io,
Mauro D’Argo, ma è cambiata dentro il mio intimo, Leda! Perchè mi sono reso
conto che mi stavo distruggendo, che ero arrivato al limite estremo, e che se
potevo avere una chance, dovevo cercarla smettendo di
bucarmi! Grazie A Dio, con il suo grande aiuto divino, l’ho fatta Leda, ho
smesso, adesso sono tre anni che ne sono fuori. Ho cominciato quindi a curarmi,
per quello che è possibile insomma! Ed oggi eccomi qua, a pensare ad un futuro,
pensare di farcela, andare avanti, soprattutto di avere altro tempo, per
rimediare ai miei tanti errori; fatti per incoscienza, per malessere, per poco
amore e fiducia nella vita. Comunque ora tutto questo è acqua
passata, anche se rimane ormai inciso con lettere di fuoco nel mio cuore, tutto
quello che ho passato! In tutto questo tempo, ti devo dire, che mio padre è
scomparso quattro anni fa per un infarto. Questa diciamo, che è in sintesi, veramente
brevissima è la mia vita passata. Spero che da oggi in poi, ci saranno gioie e
tanto tanto amore, da dare e da ricevere. Me lo auguro con tutto il cuore Leda,
perché l’amore è il vero sale della vita, il rispettare se stessi e le cose che
ci circondano. Tutto ciò che Dio, nella sua grande magnificenza ha voluto
donarci e che noi, non abbiamo saputo apprezzare, anzi, stiamo distruggendo! Io
prego tanto Leda, e nelle mie preghiere non trascuro mai di raccomandarci a Dio,
chiedendogli di farci diventare migliori, di farci diventare veramente degli
esseri umani. Esseri che rispettano la terra, che è la nostra casa, il luogo dove
generazioni su generazioni ci vivranno per sempre, e dove per sempre anche dopo
di noi, ci saranno altre vite che dovranno avere lo stesso rispetto!>.
I
rintocchi del campanile della chiesa madre, contavano le due di notte, quando
lo scatto alla fine dell’audio cassetta, fu l’unico suono in quella grande casa
addormentata. Leda, si era addormentata con sensazioni contrastanti nell’anima,
gioia incredibile, ed infinita tristezza.
23
La strada era lucida della pioggia appena finita,
quella sera della vigilia di Natale a Palermo. Mauro camminava lentamente
osservando le vetrine della sua amata città, ognuna di esse era piena di luci
colorate, fili d’oro e d’argento, a cascata, come capelli d’angelo, sui
prodotti esposti nella vendita. La sua inconfondibile camminata dinoccolata, un
po’ dovuta dall’altezza, un po’ adesso, al suo eccessivo dimagrimento, gli
offriva un’immagine diversa di se stesso, mentre le vetrine lucide gli
rimandavano l’immagine. Guardarsi allo specchio, per lui era diventata una
sofferenza, in quegli ultimi tempi di battaglie contro la sua malattia. Mauro
sfuggiva agli specchi, ma quella sera non poteva fare a meno di vedere la sua
figura, riflessa ogni volta che si fermava fuori da un negozio; implacabile, la
vetrina rifletteva la sua figura. Aveva messo l’impermeabile color cammello,
con opportuni maglioncini pesanti sotto, faceva freddo e non aveva il cappotto.
Giacomo, ormai stabilitosi da lungo tempo di nuovo a Palermo, lo era andato a
trovare una settimana prima, e gli aveva regalato per il Natale, 200.000 lire.
Mauro era rimasto contentissimo della sua visita, tra gli altri quattro
fratelli che aveva, esclusa Flavia, era l’unico che si era fatto vivo! Quando
poi, alla fine della visita, gli aveva dato quei soldi, gli era parso un vero
miracolo di Natale! Giacomo, gli aveva fatto capire, parlando con lui a cuore
aperto, che la sua omosessualità non la vedeva più come un ostacolo che gli
impediva di comunicargli l’amore fraterno che aveva. Si scusò con lui, per
quante volte aveva ascoltato i giudizi degli altri, senza invece di ascoltare
il suo cuore e il suo istinto. E gli disse anche che, se avesse capito almeno
vent’anni prima, che la sessualità è un modo di essere e non una devianza, che
il pregiudizio bigotto suggeriva; forse lui non avrebbe avuto la vita difficile
che lo aveva poi portato a perdersi! Mauro lo abbracciò molto commosso, per
questa sua affermazione che aveva il sapore dei vecchi ricordi di quando era
ragazzo, e il fratello lo aveva accolto a Torino. Finalmente quella sera, aveva
ritrovato un fratello, e poco contavano tutte le altre cose! Stettero vicini a
lungo sul piccolo amorino a parlare, e Mauro gli disse, che in fin dei conti,
lui in primis era responsabile del suo destino, e che se lo avevano ghettizzato
per questo, non era una giustificazione alle sue scelte sbagliate. Gli disse
che, non era facendo del male a se stesso, che avrebbe attirato l’amore, la
comprensione e l’accettazione dei suoi fratelli! Giacomo, gli teneva stretta la
mano, mentre dopo l’ennesimo abbraccio commosso, lo salutava davanti alla porta
di casa. E mentre la stringeva nelle sue, gli fece scivolare una piccola busta
bianca fra le mani, tirò su con il naso, si girò di scatto e scese le scale
volando; farsi vedere piangere, proprio non lo voleva Giacomo!Mentre ricordava
queste cose Mauro, ebbe un tuffo al cuore, il riflesso di una vetrina, non solo
gli rimandava la sua immagine che non gradiva vedere, ma anche l’immagine di un
viso che non avrebbe mai voluto rivedere! Angelo era nel negozio dei cibi
macrobiotici, ove Mauro spesso comprava alimenti adatti al suo stato di salute;
Angelo era distratto, non lo aveva visto, Mauro allora, si spostò dalla sua
visione velocemente, superò l’entrata, scivolando dietro ad uno scaffale;
facendo finta di leggere le proprietà del latte di soia, descritto sui cartoni,
messi in bella mostra. Il cuore gli batteva così forte, che sembrava un tamburo
africano, suonato dai guerrieri per annunciare battaglie, e si maledisse per
quello che ancora riusciva a provare per quell’uomo! Non avrebbe mai voluto
farsi vedere in quelle condizioni da Angelo, l’ultima volta che lo aveva visto,
non era ancora un malato conclamato; ora la sua malattia era evidente a chi
sapeva già di lui. Infatti, per chi non lo conosceva, poteva passare
tranquillamente per una persona malata di cancro. Come Dio volle, Angelo uscì
dal negozio e Mauro tirò un respiro di sollievo, per essere riuscito a
evitarlo. Non si aspettava di provare quel tumultuo nel cuore, e nella sua
mente si delineava già l’idea di confidarsi con Leda, per questa cosa, che
scopriva adesso, dopo tutto quel tempo passato! Leda, avrebbe capito, gli
avrebbe potuto dare un consiglio, la sua amica gli voleva tanto bene, non aveva
mai avuto nessun pregiudizio. Quel pensiero gli scaldò il cuore, facendo
ritornare alla normalità i battiti del suo cuore, uscì dal negozio e si diresse
a quello di fronte, dove vendevano abbigliamento per uomo. Dopo un’ora, da
quello stesso negozio, uscì un giovane uomo, che indossava uno stupendo
cappotto blu notte, il bavero alzato e il passo sicuro. Tatù osservava il suo
altissimo papà, mentre sorridendo, gli diceva; <Stai buono lì, che mi riempi
di pelo il cappotto nuovo!> Mentre sorridendo lo sfilava, appendendolo sulla
gruccia e riponendolo nell’armadio a muro della stanza da letto. Quante
emozioni nuove e sconosciute stava provando Mauro in quei mesi! Era ancora
scosso per l’incontro a senso unico, per fortuna, che aveva avuto con Angelo; e
ironicamente ora pensava, che quell’amore, come quell’incontro sfuggito, fosse
stato sempre a senso unico! Quella sera Mauro, sentì di nuovo il bisogno di
parlare a Leda, prese il walkman e cominciò a registrare.
< Cara amica mia Leda, buona sera, tempo fa nel
mio diario, che ogni tanto spolvero, scrissi una riflessione che riguarda te;
ma non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Stasera è una sera speciale, fra
poche ore aprirò la scatolina blu’ che è, il tuo dono di Natale e nell’attesa
di scoprire cosa sia, ti leggo la poesia che alcuni mesi fa, quando ti avevo appena
conosciuta, scrissi per te.
C’è spazio intorno a me, frammentato qua e la da tentativi di renderlo più intimo.
Ma è così
difficile!
Perché
questo bisogno smisurato d’intimità, di confidenza?
Forse
perché non mi sono
mai sentito,
veramente, parte di un qualcosa?
Colpi di
scure alla radice del mio scetticismo,
che ogni
giorno di più vacilla, sminuisce!
Sento
ascolto … ma, sento veramente?
Dilemma
quotidiano, di scindere l’atteggiamento.
dall’effettivo
sentimento!
Ed è brutto
sentire di recitare!
Ci vuole
tempo per guardarsi diritto negli occhi.
senza
cercare scappatoie!
A noi non
manca la pazienza di tentare,
e forse un
giorno,
se Dio
vorrà, potremo scrutarci l’anima,
senza dover
impallidire,
di nessuna
vergogna o timidezza!
Ne avrei
tanto bisogno!
Sentirmi a
mio agio … il massimo!
Questa era una cosa che volevo trasmetterti, e posso dirti che da
quando l’ho scritta, è cambiato molto. Io con te mi sento a mio agio adesso.
Molte barriere che mi ponevo prima, adesso non ci sono più. Perchè so e sento,
di potermi fidare di te! Questo momento in cui dico, la sensazione di recitare!
E’ una cosa che ho avvertito molto spesso durante il mio percorso di vita. A
volte mi sono chiesto, infatti, in alcuni momenti della mia vita, nei miei
rapporti con gli altri, con la gente in genere; se io stessi recitando una
parte o effettivamente ero quello che dimostravo di essere! E questo credo che
sia il problema che ho sempre avuto con me stesso fin ora. Perché io non mi
sono mai veramente chiarito con me stesso, ti ricordi che te ne ho già parlato
di questa cosa? Ancora oggi non so bene chi sia, però adesso comincio ad avere
le idee un poco poco più chiare! Non dico di molto, ma poco poco! E per me è
già tanto! Quel tanto che basta, a farmi sentire più me stesso, a farmi sentire
insomma più Mauro D’Argo! In effetti, è quello che aspiro maggiormente,
riuscire a essere veramente me stesso fino in fondo! Senza remore, senza
vergogne, perché non c’è niente di cui vergognarsi, a essere se stessi! L’alternativa
altrimenti sarebbe solo una, la nevrosi! Voglio buttare fuori tutto, tutto ciò
che di represso è dentro di me, e che ho soffocato per anni e anni e che
adesso, non so da che parte li ho nascosti! Questi sentimenti, chissà dove sono
riposti, ma piano piano, con l’aiuto di Dio, dell’amicizia e dell’amore,anche
verso me stesso,ma soprattutto verso gli altri, riuscirò a scoprirli.> Dopo
quello sfogo, Mauro si sentì meglio, era così difficile vivere la vigilia di Natale
da solo! Leda, glielo aveva detto mille
volte che lui non era più da solo! Sul comò laccato di bianco della stanza da
letto, aveva messo il presepe intagliato di Leda. Dal suo letto, ove lui ora
era disteso, dopo la frugale cena, Mauro osservava i personaggi raffigurati in
esso, e notò che la pastorella che raffigurava Leda, non era diritta come gli
altri pastori. Si alzò per capirne la ragione, la sua incredibile pignoleria gli
fece fare quell’atto spontaneamente; e nel momento stesso che prese fra le mani
la sagoma della pastorella, si rese conto che dietro alla schiena della
pupazzetta di cartone, c’era una piccola fascia dietro la sua vita che
conteneva, ben arrotolata e piegata una banconota da 50.000 lire. Ed ecco di
nuovo quell’onda, stavolta in positivo, s’infrangeva nel suo cuore, per poi
sfociare dagli occhi, trasformata in lacrima, che raccontava alle presenze
amiche di quella casa; tutta la gioia e la gratitudine per quell’amicizia
sincera, magica e inaspettata, quasi alla fine della sua vita. Il piccolo
albero di Natale, che Mauro aveva messo di fianco al presepe, a intermittenza,
sembrava giocare con le sue lacrime, che parevano perle colorate. Luci rosse,
azzurre e gialle, rendevano il suo viso magro e sofferente, bello e disteso,
come il volto di un bambino che piange fra le braccia della propria madre,
conservando ancora l’innocenza! Mancavano ancora quattro ore alla mezzanotte ma
Mauro non volle attendere oltre, aprì il secondo cassetto del comò, dove aveva riposto
quella scatolina blu, che Leda gli aveva detto di aprire il giorno di Natale,
si sedette sul letto, asciugò le lacrime e la aprì. Tolta la carta blu, vi era
una scatolina di velluto rosso e mentre Tatù che era sul letto, sulla sua
copertina scozzese, rubava divertito i nastrini d’oro che lui aveva lasciato
sulla coperta, Mauro attonito guardava estasiato quell’anello d’oro con il
volto di Gesù nel mezzo e dieci protuberanze, ove si sgrana la corona del Santo
Rosario. Ridere e piangere al contempo, era una sensazione che aveva
dimenticato dalla notte dei tempi! Chi era davvero quella donna che gli
scriveva, gli parlava e gli donava amore sia fraterno sia materno? Chi era quest’amica
sconosciuta e lontana, che era in grado di fargli compagnia fattivamente, nella
più perfetta delle solitudini? Infilò l’anello, distese la mano di fronte a se,
per vederlo bene; il volto del Cristo, finemente cesellato, sembravano
guardarlo con serenità e amore, Mauro baciò l’anello e disse < Che Dio ti
benedica Leda, per tutto quello che fai per me! Che Dio ti renda nella vita,
tutto il bene che desidera il tuo cuore! Grazie Leda!> Quel Natale del 1990,
sarebbe stato l’ultimo Natale di Mauro, ma lui non poteva saperlo! Ed era forse
per tale ragione, che qualcuno lassù voleva per Mauro, le più belle e sincere
emozioni. Ogni creatura ha il diritto di avere nella vita terrena, anche se
breve, l’amore che non chiede, ma dona. Ed era quel sentimento, che traspariva
dal volto di Gesù, su quella piccola fascetta d’oro, diceva proprio queste
parole! < Ti amo così come sei figlio mio, non avere paura di nulla, sta
sereno !> La chiesa suonava le campane, la gente si recava in chiesa,
nasceva il bambino Gesù. Comunque vi assicuro che in quella piccola casa, senza
paramenti, ne ori, né calici forgiati ad arte, c’era la natività di Cristo in
carne ed ossa!
24
L’antica chiesa madre di Vietri Sul Mare era
stracolma di gente, Leda aveva un’emozione profonda nel cuore; non solo per le
letture che era solito leggere all’altare, ma perché sentiva, che quel Natale
era diverso da tutti gli altri Natali vissuti sin ora. Ancora le risuonavano
nella testa le parole di Mauro, quando in audio cassetta, le aveva fatto gli
auguri per il Natale; a differenza della lettera, il ricordo dei toni e della
modulazione della voce; rendeva il senso dei discorsi, molto più vero e
incisivo. Un buon Natale, ascoltato in una voce, racconta lo stato reale delle
emozioni di quel momento, una lettera cela, la voce non può! <Mi raccomando, la notte di Natale se vai
a messa, spero di poterci andare anch’io, prega per me. Anch’io pregherò per te,
la notte di Natale, a mezzanotte, quando nascerà il bambino Gesù, pensami! Così
saprò che in quel momento, siamo collegati da quel filo invisibile, ma tanto
tanto forte e grande, che è l’amore! Il volersi bene Leda! Perché pensarsi, in
questi momenti, è sintomo di un grande affetto! Mi raccomando, fallo,
sicuramente te lo ricorderai lo so! >Aveva ascoltato questa parte del
nastro, così tante volte, che aveva memorizzato le parole. E oltre a esse, Leda
aveva letto chiaramente tutta la disperazione, la paura e la solitudine che
esse fra le righe contenevano. Come di solito faceva, Leda quando andava a
leggere le letture all’altare durante la messa, cercava di estraniarsi, non
guardava mai la folla di gente che era di fronte a lei. Se lo avesse fatto, non
sarebbe mai riuscita a contenere l’emozione e il timore di essere al centro
dell’attenzione di tutti, quindi i suoi occhi erano fissi al grande libro che
aveva davanti. Quella sera fu davvero un momento di grande comunione spirituale,
la nascita del bambino Gesù, quell’anno per lei fu la rivelazione del
significato profondo che questo evento è da sempre. Ogni parola che leggeva
aveva per lei, l’intenzione, sia pure fantasiosa, che arrivasse al suo amico
lontano; sicuramente solo, e forse anche tremendamente spaventato! Essere da soli
a Natale, anche se nella tua vita ci sarebbero tanti parenti, e per di più alla
fine della vita, era la cosa più crudele che possa esistere! Ogni parola, e
ogni gesto, che Leda disse e fece quella notte di Natale, era rivolta al suo
amico lontano. Gli dedicò le parole del Vangelo, che parlavano di nascita,
augurandosi in cuor suo, che lo fosse stata anche per Mauro. Quando prese la
comunione, immaginò che l’ostia stesse arrivando anche a Mauro, e quando
abbracciò i suoi figli e suo marito, abbracciò virtualmente anche il suo amico.
Quel filo invisibile, ma tanto tanto forte e grande che è l’amore, ci fu
davvero! Il pensiero d’amore fraterno, che li teneva uniti nell’etere
invisibile, quella sera fu come una musica che viene da lontano, e che è
udibile solo all’orecchio del cuore. Quella settimana Leda coinvolse molto i
suoi ragazzi, nel fare le registrazioni per Mauro; il suo intento era
condividere con il suo amico, tutte le emozioni più belle che può donare una
famiglia. Sarebbe passato parecchio tempo, prima che la spedisse, poiché Leda
aveva intenzione di fare ascoltare tutti i momenti più belli delle festività
del Natale fino al capodanno. Le voci e i commenti dei suoi figli, mentre
scartavano i regali, le poesie imparate a scuola per la famiglia, i canti
natalizi suonati al piano da Leda e cantati da lei e dai ragazzi, e infine
l’allegra confusione del piccolo Riccardo, mentre a capodanno faceva scoppiare
i petardi fuori al terrazzo. Insomma, zio Mauro fu sempre con loro in quelle
feste dedicate alla famiglia. E mentre scorrevano i giorni, quel filo
invisibile fu sempre teso nell’etere; Leda, non attese fino a capodanno per
farsi sentire da Mauro. Scrisse nel frattempo una lettera, non voleva che
pensasse di essere trascurato dalle distrazioni delle feste. In essa descrisse
come aveva addobbata la casa, le giornate serene, passate in cucina insieme a
suo marito Massimo, mentre preparavano i vari pranzi e cene festive,
descrivendo alcune ricette che anche lui poteva facilmente provare a fare. Alla
fine della lettera poi, decise di mandare a Mauro, una sua poesia che
descriveva secondo il suo intimo pensiero, cosa erano gli esseri umani sulla
terra, mentre percorrevano questa vita.
Noi siamo … Gocce!
Quell’infinito Oceano d’Amore che E’ Dio …
Esplode tutti i giorni sul mondo!
Un’immensa e fragorosa acqua di luce
colma di bellezza, scende sulla terra ad abitare!
Bagna tutti gli angoli del mondo, formando miliardi di gocce!
Quelle gocce … siamo noi!
Liberi di restare immobili a gozzovigliare al sole.
nell’indifferenza, l’egoismo, l’accidia e l’inedia!
Per poi … tristemente evaporare,
disperdendoci per sempre nel nulla,
senza lasciare alcuna traccia!
Gocce inutili!
Che non ritorneranno mai più all’Abbraccio eterno del Padre!
Noi… Gocce di Quella Esplosione!
Libere però anche…
di correre fra i rivoli stretti della vita!
Passando fra le gioie e i dolori, fra i sassi aguzzi.
i vetri taglienti e le pozzanghere stagnanti!
Gocce che camminano e poi corrono,
insieme con altre gocce come Te e Me!
Per abbracciarsi nell’amore, la solidarietà, il perdono.
la compassione, il sorriso, l’abbraccio tenero e forte,
il sorriso e la preghiera dell’azione!
Rivoli di gocce vive, che non restano ferme.
nell’indifferenza, per poi essere … assorbite-evaporate.
dalle strade facili e dalle cose fatue!
NOI … rivoli di gocce sante, che diventano ruscelli.
poi torrenti, fiumi e laghi!
Laghi immensi e cristallini di bene umano,
destinati a rompere gli argini dell’indifferenza e l’egoismo.
gocce che tracciano quel filo invisibile ma tanto tanto forte che
è l’amore.
Rivelando la luce, fra la vita e la morte e i suoi misteri!
Noi…ci incontreremo in un unico abbraccio per sempre!
Morendo nell’involucro, diverremo QUEL MARE
che ci generò come gocce!
Gocce benedette,nutrimento Del Suo Amore sul mondo!
Noi non saremo più gocce! Saremo il Mare che Egli E’!
Vivremo per sempre In Lui,
perché avremo lasciato,
nel nostro fluente passaggio,
frutti, fiori e spighe da mangiare!
Nei rivoli delle vite che altre gocce,
dopo di noi percorreranno la terra / la vita!
Saremo Vita che mai finisce…
Nel Mare Dell’Amore Infinito Di Dio!
L’ho visto in sogno! Credimi amico mio !!
Il Paradiso E’ Fatto … Di Mare!
Per questo mi tuffo nei rivoli, anche se fa male!
Cerco di raggiungere il mare e sto …
lontana dall’immoto della
coscienza,
per non evaporare e divenire il nulla!
Fallo anche tu ogni giorno fratello mio, come me!
Per essere un giorno insieme noi due e chi più ci ha amato,
in questa vita , parte di un attimo soltanto!
“Parte Eterna Di Quel Mare
D’Amore Che E’…Dio!
Noi siamo quelle gocce che fanno il Suo Mare!
Leda
25
I
giorni di Mauro in quelle festività che chiudevano l’anno 1990 , furono giorni
strani! Non sapeva dare un’interpretazione precisa, ai sorrisi, agli sguardi, e
ai fugaci abbracci, ricevuti dai parenti in quei giorni. Flavia e Giacomo forse
erano gli unici che lo abbracciavano con trasporto e tenerezza, negli altri,
che lui era andato a trovare, vedeva stampato sul volto, l’imbarazzo, il timore
di toccarlo, sia pure solo in un abbraccio; e in altri ancora, la completa
assenza! Nella sua mente si formò
angosciante il nome di tutti i suoi fratelli; Paolo, Giacomo, Flavia, Marco e
Rodolfo. Come se avesse davanti a se, una lavagna nera, ricordando la divisione
che faceva fare la maestra alle scuole elementari, quando lei si assentava un
minuto dall’aula, lasciando il capoclasse di turno a far la spia! Una lunga
linea retta scritta con il gesso bianco, divideva i buoni e i cattivi. La mente
scrisse dalla parte dei buoni Flavia e Giacomo, ma quando poi si accinse a
immaginare di scrivere gli altri nomi dall’altro lato della linea, si rifiutò
di farlo! Rigettò quel pensiero, che non si intonava a quel clima santo del
Natale, poiché in lui stava nascendo il senso della pietas, dell’apertura e
dell’accoglimento, anche delle cose che non sarebbe mai riuscito a capire!
Prese il walkman, schiacciò player e disse: < Ciao Leda, è la sera del 31
Dicembre, fra poche ore entreremo nel nuovo anno, ed io sono da solo! Ho
bisogno di raccontarti quel che passa dal mio cuore, questa sera ove tutti
fanno festa e stanno insieme con i loro cari. Io non mi sento tanto bene Leda,
e non posso andare da loro, ed è impensabile che qualcuno di loro possa venire
da me; triste ma vero amica mia! Riflettevo su questa mia solitudine, e mentre
lo facevo, ho avuto voglia di farlo ad alta voce, mentre il nastro incide i
miei pensieri; so che se condivido con te, mi sentirò meglio dopo! Adesso ho la
sensazione, che tu sia qui dal vivo, seduta di fronte a me ad ascoltarmi. Mi
sembra di vederti Leda! Guardo in questo istante la tua foto mentre ti parlo, e
cerco di immaginarmi le tue espressioni, mentre io ti confido ciò che prova il
mio cuore. Leda cara, io credo che molti, evitino le persone con problemi
grossi, la gente ammalata, non solo forse perché le malattie fanno paura, ma
anche perché hanno il timore di dover fare anche i conti con se stessi. Io
credo che, la gente che agisce così, abbia troppi problemi irrisolti, e allora
cerca di tuffarsi nella confusione fatua e superficiale della vita. Quella
fatta di feste, discoteche, passioni brevi, che ti consumano l’anima e basta,
luoghi o persone che prestano orecchio solo alle cose che probabilmente ti
distraggono, dal tuo vero mondo interiore, che non accetti e quindi non vuoi
vedere! Hanno troppa paura di affrontare il dolore della vita, poiché da esso alla
fine, nasce sempre il risultato personale delle consapevolezze, e poi della
presa di coscienza! Meglio il rumore delle cose fatue della vita! Il silenzio è
pericoloso per loro, racconta spietato tutti i loro problemi irrisolti e i lati
oscuri persino a loro stessi! Forse è questa la ragione, per la quale si tiene
lontana una persona depressa o gravemente ammalata; si ha paura di ciò che
siamo davvero, e l’ammalato, crea quel silenzio necessario che lo rivela troppo
chiaramente!>. Aveva pensato ed espresso a Leda, mentre registrava quelle
considerazioni amarissime, il suo stato reale in quel preciso momento. Non
aveva più timore di turbare la sua cara amica, ormai aveva fatto sue le parole
di Leda, quando gli diceva di registrare ogni momento della sua vita, non solo
i momenti belli della giornata. La loro era un’amicizia magica, che poteva
esprimere ogni momento delle giornate, non avrebbe avuto senso raccontarsi solo
una parte di se stessi, tacendo i momenti difficili, esprimendo, sia pure per
proteggere l’altro, un’ipocrisia inutile! Fra loro c’era sempre stata, e sempre
ci sarebbe stata, quella fanciulla dai bruni capelli lunghi, luminescente e
dolce! Non era possibile nascondersi nulla, Lei suggeriva la verità, qualsiasi
colore avesse! Tatù acciambellato sulle sue gambe, sempre più magre e ossute,
faceva le fusa, la tv trasmetteva da San Pietro la messa celebrata dal Santo
Pontefice, Mauro spegneva il registratore, mentre caldo e accorato, quasi a
consolare l’anima, scendeva il suo pianto a benedire l’anno nuovo 1991! La
stanchezza che aveva nell’anima, aggiunta a quella fisica portava Mauro a
salire una grande scala, ove la tromba altissima, gli mostrava una luce
intensissima alla vetta. Mauro saliva le scale, con una nuova energia, aveva i
pantaloncini corti, e poteva notare, mentre saliva le infinite scale, il fascio
di muscoli guizzanti che si tendevano sulle cosce ad ogni passo in salita. Si
sentiva benissimo e pieno di energia, aveva un’allegria incredibile dentro il
cuore. Sapeva di essere atteso con ansia, e allora saliva quelle scale a due a
due, con una forza e un’elasticità che non ricordava più quanto era bello
possedere! Mentre si avvicinava all’ultima rampa di scale, che portavano a un
enorme terrazzo coperto da una veranda tutta trasparente; sentiva voci
familiari che ridevano e conversavano. Appena mise piede sull’ultimo gradino,
per nulla affaticato dalla corsa, si trovò su di un terrazzo talmente luminoso,
che fece fatica a vedere subito i contorni delle cose. Piano piano, mentre le
pupille si adattavano alla luce intensa, vide un’enorme tavolata, ricoperta da
una tovaglia bianca di lino, tutta ricamata a mano dello stesso colore. Sul
tavolo vi era ogni ben di Dio, e tutte le persone che lo aspettavano, alla sua
vista, lo accoglievano festose, sorridendo gli battevano le mani. Non li aveva
riconosciuti ancora, si sedette sull’unica sedia rimasta libera, e solo allora
si accorse che alla sua destra c’era sua madre, e alla sua sinistra c’era suo
padre. Sua madre era giovanissima e bella, e come faceva quando era piccolo,
tendeva una mano con un pasticcino, pregandolo di mangiare. Mauro non aveva
fame, era così felice di averli incontrati, che era sazio di tutto! C’erano i
nonni e le nonne, uno zio che era stato al fronte nella guerra del 15/18, un
amico della sua stessa età, che aveva i capelli lunghi e biondi, come quelli
che dipingono nelle chiese per immaginare gli angeli. Gabriele rideva
divertito, mentre si nascondeva dietro le sue spalle, facendo il gioco che da
bambini li divertiva tanto. Gli bussava sulla spalla destra, e mentre Mauro si
girava per vedere chi fosse, scappava dal suo lato sinistro; ridendo a
crepapelle per averlo fregato. C’era un’aria di letizia e di festa, che era
evidente rivolta a lui; era atteso da tutti loro, e quella festa era solo per
lui. Che meravigliosa sensazione era quella gioia infinita che provava nel
cuore! Si sentiva benissimo, pieno di gioia e circondato da amore sincero!
Mauro aveva le braccia aperte appoggiate sulle spalle dei suoi genitori, mentre
conversava sereno con loro, mangiava letteralmente sua madre con gli occhi.
Erano così ridenti quegli occhi verdi come il mare, come mai più erano stati
dalla partenza di sua madre! E come sempre accade, nei sogni più belli e
incredibili, mentre sua madre gli stampava un leggero bacio sulla gota, Mauro
si ridestò, mentre Tatù con la zampetta timidamente gli toccava il mento. Erano
le sei del mattino, e il gatto reclamava la sua pappa, Mauro si alzò felicissimo,
aveva sulla gota ancora l’impressione del tocco delle labbra di sua madre, sollevò
fra le braccia Tatù, si alzò solleticando la testina del suo bambino peloso, e
si diresse in cucina a preparargli la pappa. Aveva un’ansia lieta nel cuore, accendere
il walkman e raccontare il suo stupendo sogno a Leda. Mai avrebbe pensato che
quel sogno stupendo, era forse il preludio che lo preparava ad affrontare
davvero, la fine della sua vita terrena.
26
Le
festività erano passate da un mese, Febbraio si era presentato freddo e
pungente, e quando Mauro avvertì i primi sintomi del parassita che
inconsapevolmente gli aveva trasmesso Tatù, pensò semplicemente all’influenza.
Molte volte i medici del consultorio lo avevano messo in guardia dal tenere con
sé il gattino, ma Mauro si diceva che il suo Tatù gli poteva trasmettere solo
una cosa, l’amore; e non si può dare via una cosa così preziosa! Mauro era
molto meticoloso e pignolo, nel tenere pulitissima la sua casa e le cose del
suo bambino peloso, ed era lontano dal suo pensiero che Tatù per lui potesse
essere un pericolo. Nonostante i suoi pensieri positivi, aveva notato, nel
farsi la doccia, l’ingrossamento delle linfoghiandole; soffriva di mal di testa, e una
febbriciattola che lo faceva sentire sempre stanchissimo e con le ossa rotte. Mai
avrebbe pensato che il parassita della toxoplasmosi si fosse attivato nel suo
corpo, senza ormai più alcuna difesa immunitaria. Di lì a pochi giorni Giacomo
lo avrebbe accompagnato al consultorio per il day hospital, già programmato
prima delle festività; e quindi non si preoccupò di telefonare al medico per
raccontargli dei suoi sintomi. Quella mattina era una giornata fredda e senza
sole, dal suo balconcino, Palermo sembrava una stupenda cartolina in bianco e
nero, cipì dal tetto di fronte non si vedeva, e il tapiro d’acqua aveva le
foglie brune. Dopo aver pranzato, Mauro prese il libro che gli aveva, regato
Leda, ”Notte Infinita” di Romano Battaglia, accese il piccolo walkman e
cominciò a parlare con la sua amica del cuore: < Ha un senso, quando si giunge alla sera della propria vita,
ripercorrerne le tappe e indagarne il significato, il valore? Ha un senso
chiedersi se quanto abbiamo compiuto é servito a qualcosa, é riuscito a
cogliere la luce abbagliante ma fuggente di un raggio di sole, oppure ci siamo
sperduti, irrimediabilmente, in un abisso di oscurità?> E Mauro commentò così: < Secondo me, la vita non
ha un senso ben preciso, la vita è l’attimo fuggente, la vita è una piccola
parte, di un intero disegno, percorso dall’essere. Sia nello spirito che nella
materia, la vita è la parte materiale di questa esistenza: che va molto di là
da questa vita terrena. Questa vita terrena, io la vedo come un percorso
obbligato, che le nostre anime devono affrontare, e più o meno superare. Noto
in questo libro una grande, immensa dolcezza, pieno di sentimenti, di cose
delicate, anche molto intime. Non so se ti ricordi il libro che mi hai
regalato, ci sono anche delle fotografie bellissime, e spesso ci sono pagine,
dove ci sono scritte delle grandi verità, ma con una semplicità disarmante! Ad
esempio questa >:< E'inutile compiere lunghi viaggi, andare lontano a
vedere le grandi montagne, i grandi fiumi, le grandi città del mondo, se non ci
accorgiamo del filo d'erba bagnato di rugiada che cresce davanti alla porta di CASA>.
< Leggendo questo
libro, ho capito che mi può dare molto, a parte il fatto che è un tuo regalo, e
per me è importante già questo !> <Tendete le orecchie alle piccole
cose> <Trovare l’oceano in un bicchiere d’acqua> <proprio un libro
che t’incita alla semplicità, a non andare troppo oltre, a trovare la felicità
nelle piccole COSE>.
<Per sempre me ne andrò per questi lidi, tra la sabbia e
la schiuma del mare. L'alta marea cancellerà le mie impronte, e il vento
disperderà la schiuma. Ma il mare e la spiaggia dureranno in eterno >
<Ti può sembrare
strano Leda, ma il tuo libro mi tiene molta compagnia! Ne ho letto pochissimo,
perché mi stanco facilmente la vista, ma già mi rendo conto che mi può dare
tanti spunti belli, per discorrerne con te . Sono passati tanti mesi , da
quando ci siamo conosciuti Leda,ed è giunto il momento di condividere con te,
le emozioni che scrivevo in passato. Desidero dirti proprio tutto di me sorella
mia,scrivevo un diario alcuni anni fa, che oggi desidero riprendere , per
fissare nel tempo sulla carta bianca, anche le nuove emozioni di oggi; che
assurdamente, anche se sono gravemente ammalato, sono più positive e belle di
allora! Ero sano nel corpo, ma non certo nell’anima! Scrivevo poesie Leda, come
fai tu, e oggi voglio leggertele; la prima di essa s’intitola “Bestia” e
non a caso, ha questo titolo, in quel
periodo mi sentivo davvero tra le bestie Leda, e tu sai di cosa parlo! >
****
Bestia
Bestia, che vuoi portarmi
via!
Bestia, che quando ci sei
vorrei gettarmi via!
Forza incontrollata
possiedi la mente,sconvolgi la vita.
Che quando cambia … è
sempre più buia!
Bestia! Tu sai !
Sai tirarmi fuori dal
solito e trascinarmi in altri momenti!
Bestia, quando sei vera
sei vita e se muori, poi rinasci,
E i ricordi riaffiorano
assopiti dal purgatorio, che sa sempre di stantio!
Bestia, che quando ci sei
ti sento, e vorrei urlare con tutto me stesso,
per coprire il rumore
della ragione!
Bestia, non ricordare
l’essenza!!
Cerca di guardare oltre i
fitti misteri, che fanno svegliare infelice,
i momenti che potrebbero
sapere di eterno!
Bestia, che non ti basta
una vita!
Perché vuoi l’eternità!
****
Questo posto
Non sento il vento,
non vedo il mare,
respiro fumo!
Non colgo fiori,
non semino il grano,
non vedo i gabbiani!!
Non parlo ai gatti,
mi rivolgo ai sordi!
Mi guardo … non mi vedo!
Andare …. tornare ….
riandare … e quindi
fuggire!
Per non appassire!
Che fare! Impazzire?
****
Cosa c’è
Saturo di energia aspetta
il corpo,
stanco di fantasia,
resiste lo spirito.
Appello alla realtà,
cerco anch’io!
Ma cosa cercano gli
altri?
Perché non dicono quello
che pensano!
Perché tutta questa paura
di esprimersi!
C’è la guerra?
C’è l’invasione di noiose
e spossanti situazioni,
di tragico susseguirsi di
schifo!
Di cattivo pensiero o di
gratuita interpretazione!
Di immorale cercarsi e di
insoddisfatto trovarsi!
Di qualsiasi cosa,
trasfigurata in niente,
perché superfluo è il
tutto!
Stanco lo spirito e
ancora di più il corpo!
Ecco che c’è!!
****
27
< Come puoi leggere tu
stessa Leda,alcuni anni fa, nell’anima, stavo più male di oggi che ho l’aids!
La mia visione della vita ora, amica mia, è molto cambiata da allora! Non di
tantissimo! Ma quel tanto che basta, per farmi sentire più me stesso, più Mauro
D’Argo!! Tutto quello che non vedevo, in quei periodi bui della droga,
impelagato spesso, in amori malsani e spesso a senso unico. Ma voglio
continuare a leggerti le mie vecchie poesie Leda, adesso ti leggo quelle che
dedicai ad Angelo. Un uomo molto bello, biondo, con gli occhi azzurri,
altissimo, più di me ,che pure sono un metro e novanta. Ma sai Leda, aveva solo
la bellezza fisica, sembrava un angelo come il suo nome,ma dentro sorella mia,
era brutto come il male! Ma io allora, non sapevo vedere!>
****
Il tuo sguardo
Ci vuole più di una
parola,
per descrivere la
bellezza del corpo.
Ma nemmeno una,
per quella del tuo
sguardo!
****
Ardore
Vento caldo mi avvolgi,
verso il sole mi
trascini,
sul mare dolce mi posi!
Attimi di estasi, sapore
del sempre,
certezza dell’essere!
Reclino il capo, allungo
il corpo,
rocce infuocate,
io, salamandra a sangue
caldo!
Bagliori intuiti, tra le
fatue oscurità
che il pensiero fa subito
luce!
Io, il vento, il sole,il
mare, l’eternità!
Vento caldo mi prendi,
dal mare mi trascini,
sulla sabbia rovente mi
posi.
Tra i bagliori della
luce,
mi fai guardare e non
toccare!
Brezza insonne!
Assidua presenza, che
guarda se stessa!
Vorrei … vorrei …
Vorrei e i ripotrei
incalzano!
Stringendo fra e mani la
vita, e un tenero sorriso!
****
Per quest’attimo
Volendo vedere, da una
diversa angolazione,
tutto ciò che s’intende
per scontato,
il tuo modo e l’essere,
spontaneo è il gesto,
conseguenza alla parola!
Invade lo spazio
dell’intimo individuo,
che afferra, e agisce con
te!
Proiezione inevitabile!
Il tuo corpo inibisce
l’evoluzione!
L’immagine conferma la
vita,
la presenza la convalida!
Quest’attimo che è
vita,già svolto, nell’immediato successivo,
un altro, e un altro
ancora.
E ora vivo in un attimo,
cercandone uno che diventi eterno!
****
Saturo
La mente vola al di là di
ogni frontiera
e al di sopra di tutti i
mari.
Va, e cerca i risi
amici,che la loro essenza mi trascina via.
Tra la vita e l’eternità
del pensiero!
Amo l’amore i suoi Dei!
E chiunque sappia
nutrirmi, di cibo tanto prezioso!
****
Vorrei
Vorrei parlare con te di
qualsiasi cosa,
solo per ascoltare la tua
voce!
Vorrei guardarti fino a
consumarmi gli occhi,
sentire la tua pelle
bruciare,
il tuo desiderio e
desiderarti !
Vorrei raccontarti dei
miei incontri,
di quando ho spiato i
tuoi pensieri,
nascosto dietro le mie
timide indifferenze!!
Vorrei guardare
attraverso ciò che vedo,
e con l’ansia di chi
sente impetuosi i venti,
trovare il coraggio di
dirti addio!
****
Zingaro
Non capisci la realtà
che fa dormire male,
non ti piace il
quotidiano.
Cuore nomade, non accetti
ripetizioni.
Non ti fermare, ama da
zingaro!
Perché sarai ovunque!
****
La grande illusione
La mia realtà, un’illusione
fatta di sogni, di invenzioni!
E stanotte ti ho sognato!
Illusione, può darsi!
Ma è il mio delirio e lo
sto vivendo fino in fondo,
e lo scotto è tutto mio!
Impenetrabile nel mio
essere!
Non cerco più
spiegazioni, e detesto le altrui interpretazioni!
Vado così, senza sapere
perché, non c’è un perché!
Ma solo la forma esiste e
spesso salva dai deliri.
Io no, non posso!
Mi sono attaccato alle
sottane di questo spettro d’amore,
che mi è rimasto dentro e
che non basta, non può bastare!
<E allora forza, datti
da fare!>
Frase insulsa, che mi
sconvolge ancora di più
di qualsiasi altra
paranoica predica!
I pulpiti si sono
centuplicati,
dovunque vedi, per le
strade,
persone che per niente ti
regalano la loro esperienza;
che non è mai la stessa!
Io direi loro, < Basta
con le parole! Passiamo ai fatti!
Chi sono io e chi sei
tu!> Questo è il punto!
< Cosa cerchi e cosa
fai! Cosa vuoi e cosa non hai!>
“Soddisfatto o
rimborsato”
questo è lo slogan dei
nostri tempi!
E quindi, se alla fine
dei tuoi discorsi,
mi ritrovo con le ossa triturate,
allora mi dovrai
risarcire!
Dovrai rimettere tutti i
pezzi al posto loro,
con la promessa di non
riprovarci mai più!
Io ho fede, e tu?
****
<Questa che ti leggo adesso l’ho dedicata a mia madre>
Sprazzi di lei
Ho avuto il tempo di
conoscerla, quella splendida donna!
Tumulti fatti di buoni
propositi e grande ispiratrice!
Ancora oggi ne conservo
un buon ricordo, e questo mi piace!
Indelebile!!
Conosco la sua storia,non
nei dettagli!
Di madre speciale, a
volte prigioniera di moglie!
Chissà quante volte ha
sospirato la delusa signora!
Lontana mille anni,
aspettava e lottava, senza sosta!
Confidavi le vaghe
promesse, della romantica fuga,
del tuo romantico
incontro!
Amore, Amore,
trasposizione dei tuoi
pensieri, del tuo essere,
passione magnetica, rivolta
e dedicata a chi ti ha amato,
e che ti pensa ancora,
con qualche lacrima!
Ciao mamma!
Con la speranza di
rivederti un giorno!
****
<E ora per concludere Leda, il mio lato poetico del passato, ti
leggo una cosa che ho scritto per te, alcuni giorni fa. Si Leda, hai capito
bene, questa è dedicata a te!>
****
A presto
Non so cosa mai possa
accadere,
nel momento in cui ti ho incontrato,
già ti pensavo!
In fondo so che ti ho
cercato, nei freddi giorni incompatibili,
con l’ardore di chi si
guarda intorno!
Cosa mai potrebbe
accadere!
Io ce l’ho un’idea, e
saprei dirla ,
ma quanto costa incedere!
Potrei raccontarti, del mio amore girovago,
che non sa fermarsi,
perché la sua idea fugge dietro ai suoi pensieri!
Ci sei!
E questo mi distoglie dal mio insoddisfatto quotidiano!
La tua presenza, arricchisce di luce, le timide ombre
che si stagliano contro la ragione,
occludendola di fatue interpretazioni!
Vorrei dirti,
che mi piacerebbe arrivare puntuale ai tuoi appuntamenti!
Ma se lo dicessi, m’illuderei di averti!
In fondo mi piace incontrarti così!
E forse perché so che succederà spesso … può darsi!
In ogni caso, il nostro è un tacito accordo … A presto!
28
Quella notte Mauro dormì malissimo, la febbre era
molto alta, fu un sonno costellato di incubi. Gli avevano affidato una gallina,
preoccupato di non mancare alla fiducia data, Mauro si fa in quattro per
accudire al bel pennuto, che nel frattempo medita la sua rovina, guardandolo
con fissità cristallina .Mauro non si capacita, volge lo sguardo e in un
frammento di attimi,il machiavellico animale non c’è più! Mamma mia! Si era
trasformata in un assurdo e inutile pezzo di vetraccio, verde acqua, brutto,
storto! Disperato lo prende in mano, ma si taglia la mano e allora lo butta
via. Ma in un lampo capisce che non deve farlo rompere! Allora Mauro si lancia
con un salto acrobatico, per evitare che si frantumi,ma lo manca, e il misero
pezzo di vetro va in frantumi. Disperato,cerca allora un’alternativa a una
cattiva figura e trasforma i miseri pezzi di vetro, in tanti piccoli pulcini
verde mare. Si sentiva più sollevato ora ,Mauro pensò che forse avesse il tempo
di farli crescere,e dare così ai suoi amici, non una, ma sette galline! Chissà,
avrebbe potuto mettersi in affari …. E mentre nel sogno angosciante, pensava
queste parole, aprì gli occhi sedendosi di scatto in mezzo al letto. Gli
mancava il respiro, e aveva un dolore lancinante nella testa; la febbre era
altissima, ma doveva sforzarsi di arrivare al telefono, aveva bisogno di aiuto,
si rendeva conto che quella non era una semplice influenza, la vista era
compromessa seriamente, non riusciva a focalizzare le cose, e un tremore in
tutto il corpo stava prendendo il sopravvento sulla sua volontà. Ma la
fanciulla di sole, dai lunghi capelli bruni era davvero sempre con lui; e
quella telefonata a Flavia riuscì a farla, prima di perdere il controllo del
suo corpo! Quando arrivò Flavia, contemporaneamente all’ambulanza che aveva
chiamato, la scena che si presentò ai suoi occhi fu terribile! Il suo giovane e
amato fratello era steso sul pavimento del tinello,aveva le reni inarcate in modo
innaturale, batteva le lunghe gambe e le braccia sulle mattonelle. Il suo capo
era voltato all’indietro, e aveva scatti continui, mentre gli occhi verde mare,
erano divenuti grigio chiaro e la bocca sputava schiuma biancastra sulle gote
pallidissime. I medici del soccorso ebbero subito chiaro che erano convulsioni,
ma Flavia non ne aveva mai viste, ed era disperata e spaventatissima. Appena
ebbero stabilizzato Mauro sul posto, i paramedici lo trasferirono al pronto
soccorso dell’ospedale, Flavia chiudeva le porte, scendeva le scale volando,
per seguire suo fratello, che sembrava più morto che vivo: <Ma cosa gli era
accaduto!> Era la prima volta in assoluto, in tutta la sua vita, che seguiva
un’ambulanza a sirene spiegate, che portava un suo caro così tanto
amato,praticamente un figlio, verso un destino che a lei era sembrato solo un
incubo raccontato e non una realtà! Spietata la verità, sulla malattia di
Mauro, iniziava a far vedere il suo vero
ghigno, e la cosa più assurda, fu quando si seppe cosa era stato a ridurlo
così! Il suo amato Tatù, gli aveva trasmesso il parassita della toxoplasmosi, e Mauro passò quella giornata
tra la vita e la morte, in un lampo! Il giorno prima leggeva le sue vecchie
poesie, per raccontarsi a Leda, poche ore dopo, lottava contro la morte! Flavia
fu messa al corrente che Mauro aveva la toxoplasmosi, con la complicanza di un’encefalite
e la corio retinite
(infiammazione della zona visiva degli occhi).Essendo lui una persona con
immunodeficienza la cosa era parecchio grave, ma non potette stargli vicino,
poiché i medici avevano ritenuto opportuno, vista la situazione delicatissima
di Mauro, di isolare il paziente nel reparto infettivo. Flavia passò la
giornata, sulla sedia della sala d’attesa dell’ospedale, ogni tanto un medico o
un infermiera la aggiornavano sulle condizioni di suo fratello. Le ore
sembravano passare lente, e quando scese la notte, Mauro non era ancora
cosciente. Con il cuore pesante, e gli occhi gonfi di lacrime, Flavia si
diresse verso casa, doveva andare, lo aspettavano quattro ragazze, un marito e
forse, se non le avessero dato il permesso, anche il lavoro l’indomani mattina!
Abbracciò Giacomo, che le dava il cambio in ospedale e se ne andò con il cuore
gonfio di paura e pena. Giacomo anche se non poteva stare vicino a Mauro, non
era riuscito a rimanere in casa, voleva essere vicino a suo fratello, anche se
non poteva vederlo e farsi vedere. Si era appena ritrovato con suo fratello
minore, e aveva l’impressione, che lui lo avrebbe sentito più vicino, se fosse
rimasto lì! Leda era solita, da alcune
settimane fare uno squillo a Mauro sul suo telefono di casa, era un segno che
dava la buona notte o il buon giorno, e Mauro rispondeva nella stessa maniera
alla sua amica. Allora, non esistevano le tariffe agevolate per la chiamate
interurbane, e usavano questo stratagemma per salutarsi e dirsi <Tutto bene,
buona notte. Tutto bene, buon giorno>. Ma quella sera nessuno squillo di risposta
tornò indietro a casa di Leda, e lei non ci mise molto a capire che qualcosa di
grave era successo a Mauro. Telefonò senza pensare all’ora tarda, a casa di
Flavia, che era rientrata da poche ore, e fu messa al corrente di tutto quello
che era accaduto e stava accadendo. Vi può sembrare assurdo, oppure parto di
fantasia, ma quel filo invisibile, che fu tessuto a Natale, ritornò forte, vivo
e presente, nello spazio di un secondo! Leda era con la mente vicino al suo
amico del cuore, era in quella stanza dai vetri doppi e la porta di metallo
pesante. Mauro aveva gli occhi socchiusi, la febbre era diminuita, pur essendo
ancora presente, il dolore alla testa era meno pulsante. Fra la veglia e il
sonno , mentre il suo corpo gli sembrava di piombo, in quel letto troppo
piccolo per lui,sentì la sua presenza e stranamente gli passò un po’ quella
strana paura che gli aveva fatto quella gallina del sogno! Non ricordava altro,
solo una gallina dagli occhi vitrei e
cattivi, e il rumore della cornetta del telefono caduta sulle mattonelle del
tinello. Ma ora si sentiva più tranquillo, Leda aveva teso quel filo, doveva
solo prenderlo, reggersi, e tirarsi su!
29
Nello spazio temporale, che esiste solo nel mondo
dei sentimenti veri, Vietri Sul Mare e
Palermo furono due luoghi che si trasferirono tutti i giorni, nella mente
dell’uno e dell’altro. Leda registrava
cassette insieme ai suoi figli e i suoi amici, per tenere compagnia a Mauro,
con allegria ,affettuosità e forza d’animo. Flavia aveva chiesto il permesso di
fare entrare nella stanza di Mauro il
piccolo walkman, appena suo fratello si fosse ripreso da quello stato, sapeva
che per lui era importante sentire la voce della sua cara amica. La vita
attendeva Mauro, gli amici, gli affetti lo richiamavano a gran voce! Ora che
stava davvero tanto male, le coscienze di alcuni si erano risvegliate, ma Mauro,
tutto questo non lo sentiva ancora! Era
sospeso tra la realtà, che a sprazzi riusciva a percepire, quando un medico o
un infermiera, gli toccava un braccio per la flebo, o un medico gli auscultava
il torace, e il mondo liquido che lo
sosteneva a mezz’aria, facendolo galleggiare , tra la vita reale e il parallelo,
dove vive solo l’energia della coscienza. Un attimo prima,fra gli incubi e
l’attimo dopo fra le braccia della fanciulla di luce, dai capelli lunghissimi e
bruni! La scenografia che viveva il suo corpo in sofferenza, era fotografata
dalla temperatura del corpo; febbre alta
… incubi, febbre scesa … estasi della mente! Fu dopo una settimana dal
ricovero, che cominciò a rendersi conto che non era più nel suo piccolo
appartamento,quando riprese coscienza, la prima cosa che vide, piuttosto male a
dire il vero, la vista era calata di parecchio; fu una fioca luce tonda su un
soffitto bianco ghiaccio. Poi , spostando con molta difficoltà la testa, che
gli faceva ancora un male cane, la finestra alla sua sinistra, senza tendine,
che gli mostrava la cima di un albero spoglio, i suoi rami sembravano braccine
magrissime che invocavano al cielo preghiere! Infatti furono le prime parole
che pensò di dire, ci provò, ma la voce non uscì, era troppo debole persino per
parlare. Allora le disse nella mente, aveva paura di morire, senza poter
salutare le persone che amava,e allora pregò perché gli fosse concesso di fare
almeno quest’ultima cosa! Quella settimana, nella quale andava riprendendosi
gradualmente, Mauro poteva vedere un’ora il pomeriggio, il viso di Flavia o il
viso di Giorgio, attraverso il vetro spesso, che isolava la stanza dall’esterno
della struttura del reparto infettivo. Flavia gli sorrideva , mostrandogli le
cassette sonore nuove che erano arrivate da Vietri Sul Mare: < Appena starai
meglio, i medici mi faranno entrare, ti devo dire e ti devo dare tante cose
Mauro! Ti voglio tanto bene, coraggio!>. Mauro, quando vedeva sua sorella e
suo fratello, si sentiva accarezzato dentro l’anima, e riusciva a sopportare
meglio anche il dolore lancinante che gli era rimasto dietro al collo, ormai
era al corrente di tutto; il medico gli aveva spiegato ogni cosa, e stranamente
il suo dolore più grande, fu il rendersi conto, che aveva dovuto dire addio a
Tatù senza neppure salutarlo! Quel piccolo bimbo peloso, che sembrava capire
alla perfezione i suoi stati d’animo, e che faceva il buffone per farlo
divertire e distrarlo dalle sue angosce e dalla sua solitudine, era stato
portato via, senza neppure poter salutare il suo papà! Chissà cosa aveva pensato, quando non lo
aveva visto più! Quando Mauro stava male, sembrava lo capisse; era nervoso e lo
seguiva ovunque andasse nelle stanze, come se temesse di vederlo uscire e non
tornare mai più! Quel suo atteggiamento, praticamente umano, era stato una
preveggenza, poiché davvero era accaduto così ! Giacomo portò il gattino da una
signora in campagna, che abitava in un villino e si occupava di molti altri
gatti. Tatù si trovava bene, e aveva il cibo e il caldo di una copertina ogni
giorno, ma papà Mauro perché non c’era più? La terapia per la ripresa fu molto complessa e
lunga, richiedeva tanta pazienza e forza di volontà alla giornata di Mauro, ma
lui aveva mille motivi per tirare fuori tutta la sua testardaggine, e quando
riuscì ad alzarsi per andare in bagno da solo, a lui sembrò la conquista di un
bambino di tredici mesi, che finalmente, dopo tanto gattonare, traballante,
riusciva a camminare eretto appoggiandosi a tutte le cose che si trovavano a
tiro. Flavia potette entrare nella stanza, e fra lei e Giorgio, i pomeriggi di
Mauro furono sempre più reali, ormai erano quattro giorni che aveva lasciato il
suo mondo liquido definitivamente! Sentiva tutto il peso della sua malattia, la
realtà per lui a volte era dolorosissima, i suoni erano ancora poco gradevoli;
gli era rimasta una forte sensibilità ad alcuni suoni, l’infezione cerebrale
non era ancora del tutto debellata. Il medico gli spiegò che probabilmente
sarebbe rimasta latente, poiché avendo pochissimi linfociti, debellare
infezioni nel suo caso, era davvero una cosa praticamente difficilissima! Leda
, che era stata con lui, nel suo mondo liquido, insieme alla fanciulla di luce,
dai capelli lunghissimi e bruni, era ritornata attraverso il piccolo walkman.
La sua voce rendeva la sua presenza così tangibile, che Mauro incominciò a
sentirsi a casa, anche se era in un luogo anonimo e asettico. Leda diventò
amica virtuale anche di un‘infermiera, che passava molto tempo con Mauro, tanto
che ne fu incuriosita, quando Mauro le raccontò la loro storia di amicizia
virtuale, gli chiese l’indirizzo per
poterle scrivere. Leda dal suo canto , a sera tardi, telefonava un giorno sì e
uno no a casa di Flavia, per avere notizie sulla guarigione di Mauro, ed era
rincuorata, sia dalle notizie buone e sia dalla dolcezza e la disponibilità
della voce di Flavia.Fu in quel periodo che le due donne iniziarono la loro
amicizia, che sarebbe poi durata anni, dopo la dipartita di Mauro. Leda, senza
volto, senza tattilità fisica, entrava nella vita di una famiglia lontana, che
non l’avrebbe mai più dimenticata!
30
Febbraio
era quasi alla fine, raffiche di vento freddo percorrevano la strada sotto casa
di Leda. Abitava in una delle vie principali del suo paese, era la via centrale
,di una diramazione che a destra scendeva al mare, e a sinistra s’inoltrava
all’interno del paese. La sua ubicazione, faceva da gola , tra le montagne alle
spalle, e il mare di fronte, ed anche quando era estate non mancava mai il
venticello. Quel giorno di fine Febbraio, sembrava vi fosse fuori la bora di
Trieste, ma Leda non si fece scoraggiare dagli elementi,aveva organizzato un
pellegrinaggio alla Madonna Del Castello con un gruppo nutrito di suoi amici,
sia del posto, che di altri luoghi di Italia. Si erano concordati appuntamento,
tutti al vecchio castello diroccato, dove c’era una stupenda Madonnina, alla
quale Leda era molto devota. Un’ora di viaggio, e Leda e i suoi amici erano
tutti lì sull’antica scala di pietra, di fronte al cancello, dove era la grande
stella bacheca che conteneva la statua della Madonna Del Castello. Leda, era
andata con una coppia sua amica e la loro figlia Lina, i quali conoscevano
molto bene la storia di Mauro, e quando s’incontrò con i vari gruppi venuti da
Torino, Firenze e Potenza, ci fu nell’aria la sensazione quasi tattile,
dell’emozione che avvolgeva il cuore di tutti. Erano lì per Mauro, Leda aveva
coinvolto tutti, lei pensava che la preghiera più efficace per chiedere la
guarigione di una persona cara, fosse l’azione. Per questo in meno di una
settimana, telefonando agli amici giusti, aveva organizzato in poco tempo un
pellegrinaggio, che secondo la sua intima convinzione di fede, avrebbe fatto
arrivare a Mauro un’ondata di energia affettiva, che gli avrebbe donato una
guarigione più veloce! Erano arrivati alle 15,30, mancavano poche ore alla
messa che si sarebbe tenuta nella chiesa adiacente al vecchio castello
diroccato, avevano tutto il tempo, per raccogliersi in preghiera tutti,
sgranare il Rosario a Maria ed esprimere le proprie preghiere spontanee per
Mauro. Purtroppo il maltempo faceva da padrone anche lì, non tutti avevano
pensato di portare un ombrello, e Leda era una di queste. Una pioggerella prima
leggera e poi più corposa, cominciò a cadere sugli enormi gradini di pietra del
maniero diroccato, Leda, però, non si mosse da dove era! Era così concentrata a
pregare, tenendo fisso il suo sguardo, sul volto della grande Madonnina dietro
alla stella bacheca di vetro, che non si accorse neppure dell’acqua che veniva
giù. La Madonna Del Castello, (così la chiamavano tutti) aveva un viso
dolcissimo, il bambino che aveva fra le braccia era così bello e rubicondo
nella sua espressione, che a guardarlo fisso, si aveva l’impressione che
sorridesse felice. Di lì a pochi secondi Leda, pensò che fosse davvero felice
quel bambino Gesù in braccio a sua madre! Leda e i suoi amici, assistettero a
un fenomeno inspiegabile, che non avrebbero mai e poi mai dimenticato! La
pioggia cadeva grossa e violenta, le persone che camminavano nella piazzetta
sottostante, che portava alla chiesa, correvano con mezzi di emergenza di tutti
i tipi sulla testa; chi il giornale, chi la borsa e chi un rimediato ombrello. Nessuno
del gruppo in preghiera, in ginocchio sugli enormi scalini di pietra, di fronte
alla teca della Madonnina, si era coperto il capo in alcun modo! La prima ad
accorgersi che stava piovendo fortissimo, fu Lina, che spontaneamente quasi
urlò, dicendo a voce alta: < Dio mio! Piove a dirotto ma non mi bagno!>
Le gocce di pioggia sulle loro vesti, sembrano grossi spruzzi di sabbia
grossolana, se ne sentiva il rumore nella caduta, sia a terra sia sui vestiti,
ma non lasciavano nulla di bagnato! Tutti si toccarono i cappotti e gli
impermeabili, completamente asciutti, mentre sentivano il rumore di quella
sabbia grossolana che li colpiva. Ci fu un coro di stupore, e tutti si
guardarono in volto, con l’inizio di un pianto di commozione e di stupore che
moriva poi nella loro gola senza riuscire a essere espresso! Si voltarono a
guardare la strada piena di pozzanghere, e gli stessi gradini dove erano loro
in ginocchio anch’essi zuppi di acqua, ma loro tutti, erano asciutti!! Molti di loro si spaventarono della cosa,
altri invece cominciarono a piangere sommessamente, perché quella cosa
impossibile, doveva per forza, essere un segno che veniva dall’alto! Leda, non
si era ancora resa conto del fenomeno, non distolse lo sguardo dalla statua,
continuava a supplicare quella madre, di darle un segno del suo sì, alla
guarigione di Mauro! Il Suo sì, scendeva sulle sue vesti asciutte e Leda
concentrata com’era, a tenere teso quel filo d’amore fra suo fratello Mauro e
lei, non se ne accorgeva! Con mano lenta e non curante, si passava sul viso le
dita, per scostare da lei, quella sensazione di sabbia che le colpiva le gote.
Fu Lina a gridarle di guardare cosa stava accadendo: < Leda, siamo sotto la
pioggia, ma non vedi che non ci stiamo bagnando?? Che cosa sta succedendo, ho
paura! Leda, mi senti? > Fu una frazione di secondi, le labbra del piccolo
bambino Gesù si mossero leggermente all’insù, gli occhietti fatti di ceramica
azzurra brillarono, come se ci fosse stato un raggio di sole, Leda si destò da
quel torpore e ritornata fra i mortali, si rese conto dello stupendo sì che la
Madonnina le aveva detto. Leda, lo vide così quello straordinario fenomeno, un
meraviglioso sì per Mauro! Quasi tutti erano sbalorditi dal fenomeno al quale
avevano assistito, non c’era nessuna ragione logica, l’acqua bagna, non può
divenire sabbia, solo per un gruppo di persone e per altre no! Leda, non si fece nessuna domanda, fra le
lacrime di gioia e gratitudine, per come la fanciulla di luce, dai lunghissimi
capelli bruni, del sogno di Mauro, le aveva risposto alla sua supplica sincera!
La sensazione netta che lei aveva nel cuore era la certezza assoluta che Mauro
presto sarebbe tornato a casa! Fu una serata indimenticabile, la pioggia cessò,
tutto il gruppo assistette alla Santa messa, e per molti di loro, vi fu un
cambiamento interiore inaspettato. Quel giovane ragazzo che viveva lontano,
sconosciuto a tutti, persino a Leda se vogliamo, era stato il mezzo di un fatto
straordinario, del quale oggi ancora si parla. Anche perché molti diedero testimonianza scritta e
firmata, del fenomeno al quale avevano assistito. Negli archivi del comitato
della chiesa in quel luogo, la testimonianza è ancora a disposizione di chi la
volesse leggere; ma è chiaro che se una persona è scettica, non è certo uno
scritto firmato che la può convincere! Chi l’ha visto, non può negarlo a se
stesso; può solo prendere coscienza, che sopra di noi c’è qualcuno che
orchestra tutte le cose e le creature sulla terra. Fu in quel preciso giorno
che Leda fece anche un incontro dolcissimo e tenero, con un vecchio monaco che
si chiamava Frate Salvatore; aveva anche lui assistito al fenomeno dell’acqua
asciutta, e Leda fu molto colpita dal suo pianto accorato, misto al sorriso
aperto, mentre l’anziano monaco si rendeva conto di essere asciutto! Restava in
ginocchio, alzando gli occhi al cielo, fra le lacrime e il sorriso, mentre
stringeva fra le mani, un grossissimo rosario fatto da enormi quadrati di
ciliegio rosso. Era molto anziano, e Leda si accorse subito che l’emozione gli
rendeva difficile il sollevarsi da terra; gli si avvicinò e lo aiutò ad alzarsi
dal gradino. Il vecchio frate, poi le aveva chiesto per chi o cosa stavano
pregando su quegli scalini, e quando Leda gli parlò di Mauro che era fra la
vita e la morte, il frate istintivamente, come per ringraziamento, a ciò che
aveva visto con i suoi occhi, le mise fra le mani il suo grandissimo rosario,
dicendo: < In qualche modo, fallo arrivare nelle mani del tuo caro amico! E
digli che, grazie a lui, ho avuto la gioia di vedere una cosa meravigliosa, che
in tutta la mia vita di uomo di chiesa, non mi sarei mai sognato di vedere! E
dì anche a questo ragazzo, che non passerà giorno che io non lo ricorderò nelle
mie preghiere! Grazie per ciò che tutti
voi, con la vostra fede avete fatto per me oggi!> Le strinse la mano e poi
con passo ancora traballante per la grande emozione, un po’ piegato nelle
spalle, si allontanò dal gruppo, mentre i suoi sandali aperti facevano il
classico rumore che fa il cuoio quando calpesta pozze d’acqua, entrando e
uscendo da esse. Mauro dopo solo due giorni, percorreva il corridoio dell’ospedale
sotto braccio a Flavia, e per la
primissima volta, emozionato, componeva il
numero telefonico della casa di Leda. La voce di Mauro era ancora
debole, ma si sentiva in essa l’allegria e l’ironia che raccontava del suo
carattere, quando stava bene! Flavia informata da Leda, gli aveva raccontato il
fatto, accaduto solo due giorni prima, e Mauro quando sentì per la prima volta
nella cornetta telefonica la voce di Leda, disse: < Hai mosso gli elementi
per me amica mia?? Che maniera insolita di dirti sì ha il cielo Leda??> Leda
rimase senza fiato al telefono, non riuscì subito a realizzare che fosse
davvero Mauro dall’altra parte del filo! Per la prima volta si sentirono in
diretta, non dovevano passare settimane per ascoltare la risposta dell’atro. Ed
era emozionante e stranissimo, potersi rispondere a voce subito, non più in notevole differita, bensì
in tempo reale! < Mauro sei tu!! Mio Dio che gioia sentirti!! Questa
pettegola della tua amica, tu l’hai sentita anche lì in ospedale, io è un mese
che non ti sento! Che bella sorpresa mi hai fatto, quando torni a casa? Come ti
senti? Hai saputo di Tatù che sta bene e non ti devi preoccupare? Ho un
bellissimo rosario da mandarti! Te lo manda un monaco che ho conosciuto due
giorni fa ..... quante cose ho da raccontarti amico mio!!> Leda era un fiume
in piena, Mauro non riusciva a proferire più parole, lei lo subissava
d'informazioni ed entusiasmi. L’unica cosa che poteva fare Mauro in quel momento, era ridere di
cuore, per quell’entusiasmo così diretto, puro ed anche infantile della sua
amica sinceramente felice per lui. Restarono a telefono finché l’ultimo scatto
delle monetine annunciò la fine della telefonata mentre Mauro le diceva: <
Ho tante cose da dirti anch'io, appena torno a casa ti scriverò>. La linea s’interruppe
e Leda ballava nella stanza, come una ragazzina che aveva ricevuto in regalo
l’invito al ballo dell’ultimo anno della scuola. Sentiva una profonda
gratitudine, per chi l’aveva seguita con fiducia in quel pellegrinaggio magico!
E la prima cosa che fece, fu un giro di cinque telefonate agli amici che
l’avevano supportata e seguita in quella stupenda avventura, tutti dovevano
sapere che Mauro era guarito! Disse a se stessa: < E’ proprio vera quella
frase che ho letto! > < La preghiera vi conduce a Me. Io sono vivo
tra di voi. .... siate più aperti nelle preghiere:
rendetevi conto che quando
pregate parlate con Dio!> Ed
era andato davvero così quel primo pomeriggio di fine Febbraio del 1991, avevano
davvero parlato con Dio! Grazie
all’amore di un gruppo di persone semplici, che neppure lo conoscevano, Mauro tornava a casa, dopo aver sfiorato la
vita oltre la vita!
31
Cipì era ritornato a volare sul balconcino della
casa di Mauro, il papiro gigante aveva i fioroni di un bel verde carico, i
balconi di fronte cominciavano a straripare di colori brillanti; l’odore della
primavera, in Sicilia, si annunciava già, rendendo dolce sia l’aria sia lo
sguardo di chi ammirava la natura esplodere. Mauro steso nel suo grande
lettone, aveva alla sua sinistra, questo quadro che mutava, giorno per giorno,
sempre davanti agli occhi. Dopo i primi quindici giorni, del suo ritorno a
casa, le visite di due o tre amici, dei suoi fratelli Flavia e Giacomo, si
erano man mano diradate, per poi alla fine concludersi del tutto. Flavia era
presa dalla sua famiglia e dal lavoro alla scuola, e gli telefonava una volta la
settimana, ma a Mauro non poteva certo bastare! Sempre di più il suo mondo
quotidiano era fatto della voce di Leda che gli sembrava quasi prigioniera del
piccolo walkman, da quando l’aveva sentita al telefono ogni settimana, era
questa l’impressione strana che aveva ora! Tatù non c’era più, in quelle
piccole e linde stanze, non c’era più a fare il buffone per farlo ridere, a
distrarlo dalle sue angosce e dalla sua sempre più spessa e corposa solitudine.
In quel mese di fine Marzo, Mauro scoprì che la solitudine poteva avere uno
spessore che quasi schiacciava l’anima! Occupava la sua giornata tenendo in
ordine e pulita la casa, per quanto potesse, visto che di forze ne aveva ben
poche. Ora che non c’era più Tatù, preparava il pranzo e la cena solo per sé. Il
suo bimbo peloso non lo svegliava più alle sei del mattino, carezzandogli il
mento con la zampetta! Poi ascoltava le audio cassette che Leda gli aveva
registrato, nel periodo della sua degenza in ospedale. Un po’ non aveva avuto
la possibilità di ascoltarle perché stava troppo male, un po’ lo evitava,
perché l’infermiera era spesso con lui nella stanza, e Mauro era gelosissimo
delle sue cose! Leggeva tantissimo, sia il libro Notte Infinita e sia il
Vangelo, registrando spesso sia le letture che faceva e sia i suoi stati
d’animo. Gli sembrava che comunicare ogni sua emozione all’amica, lo avesse poi
in seguito, quando Leda gli avrebbe risposto, consolato per tutto il suo dolore,
per la solitudine e la paura della sofferenza! Aveva provato a iniziare una
lettera, ma si era reso conto che la sua scrittura era cambiata tantissimo,
scriveva piccolo piccolo, e non riusciva a tenere il rigo in orizzontale,
allora pensò di nascondere a Leda questa cosa, evitando di scriverle. La
stupenda e grossa corona del santo Rosario del frate era arrivata, e Mauro la
teneva sempre con sé. L’aveva appesa sotto il grande arazzo, che aveva sulla
testata del suo letto, e quando la sera si apprestava a dormire la prendeva fra
le mani e si addormentava più tranquillo; quasi come fa un bambino con il suo
orsacchiotto amico! Quando parlava a Leda, nelle registrazioni, accennava
appena al suo stato di salute, la sofferenza maggiore che gli opprimeva il
cuore era l’immensa solitudine, ed era di quella che si lamentava senza sosta!!
< Sai Leda, certe volte, non per presunzione, mi identifico molto nel
cristo! Certo, non voglio mettermi al suo livello, però mi rendo conto che sto
attraversando un periodo della mia vita, molto molto difficile! E più passa il
tempo e più difficile diventa! Il mio calvario è questo amica mia, il mio
calvario è questo mio continuo andare in ospedali a fare esami, il mio calvario
è casa mia! Da dove purtroppo, non riesco a trovare altri spazzi, altre
possibilità, per evadere un po’. Anche forse perché, non sono in grado di
socializzare, poiché non mi va di uscire e farmi vedere in queste condizioni. Una
mia amica, mi aveva invitato alla festa del suo compleanno, ma io ho dovuto
dirle di no Leda! Perché ci sarebbe stata altra gente che non conosco, e farmi
vedere in queste condizioni non mi piace! Non sono in perfetta forma, e si
vede! Quando sto’ bene, mi rendo conto che posso fare qualsiasi cosa, insomma,
posso vedere chi voglio, posso stare con chi voglio, ma quando sto’ male, non
ci riesco proprio! Sai Leda, questa mia lunga solitudine, mi ha fatto
apprezzare lo stare con la gente, però mi ha fatto anche capire tante cose
sulla gente! Io credo che la gente tenda a essere egocentrica, chiaramente non
parlo per tutti, ma Leda, anche se tu mi dici di avere fiducia, io mi rendo
conto che ciò che vedo intorno a me è superficiale! Finché stavo discretamente
in salute, qualche persona, non me la sento di dire amica, qualche conoscente,
si faceva vedere, mi telefonavano, da quando sono uscito dall’ospedale, non si
è più visto nessuno, né per telefono né fisicamente. Non ti nascondo Leda il
mio pensiero di oggi, e ti dico chiaramente, che quando si presenterà qualcuna
di esse alla mia porta, io sarò molto duro! Me ne dispiace, sarò duro, perché
non le voglio più vedere! Perché non si sono mai chiesti se avevo bisogno di
qualcosa, anche del semplice pane, o fatta un po’ di spesa, queste cose
basilari, non si sono mai fatti sentire e non mi hanno chiesto mai nulla!
Queste cose per me, sono delle grosse delusioni, anche perché mi sento molto
umiliato da questo loro atteggiamento! La gente malata, Leda, viene evitata,
per usare una parola “comune”, emarginata! Chi sta male, deve stare solo con
chi sta male? Chi sta bene, deve guardarsi dal farsi coinvolgere? E’ giusto
vivere una vita anche di distrazioni, divertimento e altro, ma essendo io dalla
parte di chi è più colpito ora, mi rendo conto che la gente mi evita! E per
gente intendo quelli che mi conoscono, non il passante occasionale per strada, che
non si rende conto di niente chiaramente! Io parlo della gente che conosco da
tantissimi anni, mi evita! Forse pensandoci bene, te lo dissi una volta mi
sembra di ricordare, sarà perché hanno dei grossi problemi di auto
accettazione, per cui, loro da anni, per distrarsi e non pensare alle loro cose
irrisolte, che farebbero bene invece a tirare fuori! Soffocano la loro vera
voce interiore, facendo una vita, fatta di locali, discoteche, di distrazioni
continue, nel momento in cui non c’è qualcosa da fare, vanno in crisi! Queste
persone, hanno una paura folle, di essere coinvolte in cose negative, ad
esempio, se io sto’ male, loro se ne guardano bene dallo starmi vicino! Perché
si deprimono il punto, è questo! Chiaramente la cosa mi fa soffrire tanto Leda,
fino a un mese fa stavo abbastanza bene, ed ero in grado di essere spiritoso,
brillante, e non facevo assolutamente pesare la mia situazione. Purtroppo
adesso è davvero un po’ dura amica mia! Sono depresso Leda, in poche parole, se
ne sono resi conto, e non si fanno più vedere! Io penso che da parte mia, la
giusta reazione è di non considerarli più amici, e poi, di non vederli più! Tanto,
ci sono o non ci sono, è la stessa cosa (detto a voce rotta). Scusa Leda,
all’origine di questo discorso, non so più cosa c’era, ogni volta con te, mi
perdo nei miei sfoghi, appunto perché … sono sfoghi! A volte sai, infatti, ho
paura di auto commiserarmi, forse un po’ lo faccio, ma è una forma di affetto
che do’ a me stesso! Come spiegartelo Leda; certe volte, pensando alla mia
vita, a quello che ho fatto, giusto o sbagliato che sia stato, mi rendo conto
che sono sempre stata una persona molto sola! E certe volte, mi viene
addirittura da piangere quando penso: <Povero Mauro, che vita! > Ecco,
forse in questi momenti, io sento molto di più il calore dell’amore,
dell’affetto, perché riesco a darmelo anche da solo! Anche se non dovrebbe
essere così! Dovrei avere attorno a me, almeno i miei fratelli, che mi
rincuorassero, che mi dessero conforto! Invece, lo faccio da solo, poi quando
passano questi momenti, penso che forse mi auto commisero troppo, ma non m’interessa
di auto commiserarmi, è la realtà dei fatti! Sarà sbagliato, sarà
controproducente, ma farlo mi fa sentire meglio, mi fa sfogare, perché piango e
penso a come si è ridotta la mia vita. E poi Leda, io non credo per niente che
sia solo autocommiserazione, lo ripeto, è la realtà dei fatti! E mi commuovo,
pensando a quest’essere umano, chiuso fra quattro mura, senza neanche il
conforto di una parola, di una presenza! Non c’è possibilità, devo mettermi in
testa che devo affrontare la cosa da solo, come ho fatto fino adesso, da solo!
Non devo illudermi di poter trovare comprensione o conforto, perché la gente
pensa soltanto a se stessa, forse è giusto così! So anche però, che esistono
delle persone, e questa è una speranza che mi hai dato tu, disponibili verso
gli altri, che amano aiutare gli altri, specialmente quando queste hanno
problemi seri! Io ho incontrato te Leda, che purtroppo sei lontana, però qui
non ne ho incontrate! > Lo scatto dello stop del walkman, spezzò il silenzio
di quella stanza al terzo piano di via Maqueda, e subito dopo l’unico suono che
rimbalzava fra quelle pareti silenziose, fu il pianto sommesso di Mauro, che
aveva fatto appena in tempo a bloccare il registratore, affinché non fosse
inciso il suo dolore, più di quanto aveva raccontato con le sue parole. Per
quanto amava, essere sincero con Leda, conservava sempre quel suo pudore, che
gli conferiva, secondo lui, la dignità di uomo!
32
Le caratteristiche terrazze sui piccoli monti
della costiera Amalfitana, mostravano agli sguardi di chi era sul mare intento
alla pesca o a una passeggiata in remata, le reti nere quadrate, che
proteggevano i filari dei limoni più famosi del mondo. E spesso, per chi era
dotato di un buon olfatto, era percettibile nell’aria, sia il loro odore sia
quello della salsedine che risaliva la costa, soprattutto al tramonto del sole.
I piccoli paesi della costa incominciavano a rianimarsi, i primi turisti,
soprattutto tedeschi, incominciavano a rianimare i vicoli, gli alberghi e i
ristoranti della costa. Anche Vietri Su Mare si risvegliava dal torpore
dell’inverno, e tutto prendeva una luce brillante, fra l’azzurro e il verde
smeraldo del mare, il giallo dei limoni, i gerani di tutti i colori, che
copiosi a cascatella dondolavano dai balconi, e la Buganvillee rampicante, che
ridipingeva da lontano le mura bianche dei paesi arroccati fra il mare e i
monti verdeggianti. Sembrava un quadro naif in quel periodo la costa, dove
abitava Leda, colori decisi, profumi intensi, suoni e voci accentuate, i vecchi
sulle panchine dei lungomari e i giovani che timidamente, provavano già a
prendere il primo sole sulle spiagge. Leda, non ci andava al mare, già da lungo
tempo, il sole la faceva stare male, la sua pressione scendeva facilmente sotto
il suo calore, e quando l’estate esplodeva e tutti avevano la pelle color miele
o cioccolato, lei si distingueva per il suo incarnato così chiaro, da essere
stonato per il luogo in cui viveva! Leda, somigliava più a una tedesca che un’indigena
del luogo; e per sorridere di se stessa, spesso diceva ai suoi amici
abbronzati: <Io mi distinguo dalla plebe! Ho il sangue blu!> Una frase
ironica, per nascondere il disagio che provava in quei periodi, quando tutti si
divertivano al mare e lei non poteva farlo. In quel pomeriggio, mentre
ascoltava la cassetta di Mauro, che le rivelava più di quanto Mauro, le aveva
detto, stava seduta sulla poltroncina della sua camera da letto. Sulle gambe
aveva un appoggio in piano, e disegnava delle grandi farfalle, che poi avrebbe
dipinto e intagliato, per la casa di Mauro. La sua intenzione, era di far
entrare in casa del suo amico, la primavera, che dalla sua stanza al terzo
piano, di una città caotica come Palermo, non si poteva certo vedere in tutto
il suo splendore! Disegnava, dipingeva e intagliava, farfalle e rami di pesco
bianchi e rosa, per rendere allegro il tinello della casa di Mauro. Ormai
conosceva bene, l’anima femminile che viveva nel cuore del suo amico, ed era
certa che avrebbe incontrato il suo gusto e la sua sensibilità; una bella idea,
che le aveva suggerito un compito, svolto a scuola dal piccolo Riccardo. Leda,
senza dire nulla a Mauro, per non urtare la sua sensibilità, si scriveva e si
sentiva al telefono con Flavia, poiché si era resa conto che Mauro purtroppo
non le diceva sempre tutto riguardo alla sua salute, per non preoccuparla.
Sapeva che la toxoplasmosi aveva lasciata la sua impronta nella testa di Mauro,
e che difficilmente il batterio sarebbe stato soppresso definitivamente. Nella
sua ingenuità, e nella sua grande voglia di comunicare con lei, Mauro aveva
dimenticato un particolare, che voleva appunto nasconderle, registrando invece
che scrivere. Sulla facciata della custodia dell’audio cassetta, aveva scritto:
< Non ti ci abituare troppo amica mia, adesso posso parlarti, ma verrà il
momento in cui non potrò farlo come oggi! Ti giunga con questa mia, tutto il
mio affetto Leda! Ti voglio tanto bene tuo fratello Mauro>. L’aveva scritto
con una penna rossa che scriveva sottile sottile, e la scrittura era totalmente
diversa dalla sua solita, prima della malattia grave; era tutta ascendente a
destra e in alcuni punti era illeggibile. Quel miracolo dell’acqua asciutta,
era stata la proroga che chiese Mauro quel giorno in ospedale, salutare chi amava
tanto prima di andare via; e Leda, Flavia e forse anche Mauro stesso, lo
sapevano già, senza dirselo! Ci sono cose, che sono troppo dolorose da dire,
troppo dolorose per ammetterle apertamente, ci sono cose che sono tacite, si
accettano serenamente nell’inconscio, e mentre le accogliamo, cerchiamo di dare
e di darci il meglio di noi stessi alla fine! <Chissà poi perché> si
chiedeva Leda < Va spesso così! Si dà il meglio, si dice il meglio, proprio
quando sai che stai per lasciare questa vita, o perché sai che un tuo caro lo
sta facendo! Per quale motivo invece, non si dà sempre e non si dice sempre il
meglio!! La vita intima umana sarebbe certamente migliore, nei suoi valori più
profondi! Spesso abbiamo delle vergogne e dei pudori strani, che non ci
permettono sempre di mostrarci, meravigliosamente per come siamo davvero! E comunemente
lo facciamo solo alla fine di questa esistenza terrena! Forse perché temiamo,
di essere più esposti, più fragili, nel raccontarci senza barriere e inutili
tabù? Se un po’ copiassimo i bambini, secondo me, vivremmo tutti più
sinceramente, e alla fine di questa vita, non avremmo nessun rimpianto! >. E
mentre faceva tali riflessioni, accese il suo walkman e le espresse a voce al
suo amico, per fargli intendere senza peli sulla lingua, che capiva benissimo,
il senso delle sue letture Evangeliche a lei, e i suoi commenti di commozione
mal celati, dal respiro che cambiava, e il clic repentino dello stop del suo registratore!
Nulla si poteva nascondere quel filo tessuto e tenuto teso, dalle leggiadre
mani della fanciulla di luce, dai lunghi capelli bruni, non si poteva allentarlo
neppure un po’! Il loro connubio affettivo, suggerito evidentemente da qualcuno
lassù, era diventato così forte, che qualsiasi cambiamento, nei toni, nelle
pause o gli argomenti trattati, raccontava tutto il sommerso che avevano nel
cuore! A Mauro, infatti, sfuggì a un’apparente frase buttata lì, ma che non era
per niente banale né buttata lì! Era un desiderio profondo, che aveva nel cuore
da tanto! < Se potessi vederti, conoscerti dal vero Leda, prima di andare
via, sarebbe il regalo più bello che possa ricevere!> Una frazione di
silenzio vi fu dall’altra parte della cornetta, prevalse l’istinto prima della
ragione, e Leda gli rispose < Contaci fratello mio!> Leda non sapeva
perché gli aveva risposto così di getto senza pensarci: non aveva mai viaggiato
da sola, l’ultima volta che aveva portato la macchina, risaliva a tre anni
prima, poi per ragioni di salute aveva dovuto soprassedere. L’unico viaggio che
aveva fatto con l’aereo era con suo marito, quando la piccola Angelica aveva diciotto
mesi, ed erano andati a trovare il fratello di suo marito in Germania, a Moos
Bei Plattling; ma aveva risposto di si! Parlare con suo marito Massimo, e
dirgli le sue intenzioni, non fu facile, era comprensibile l’apprensione di suo
marito, sia per il viaggio in aereo da sola, e sia per il timore di incontrare
un ammalato di aids alla fine della vita. C’erano tante cose alle quali
pensare, discutere, informarsi presso un medico competente per dei suggerimenti
di comportamento. C’era da pianificare, dove dormire, dove fermarsi in quei
giorni, e soprattutto chi avrebbe accompagnato Leda nella visita a Palermo. Leda,
pensò alla sua amica Lina, che scriveva spesso anche lei a Mauro, e Massimo,
dopo tante discussioni pensò che potesse essere fattibile. Cadde ogni sua
barriera, quando un pomeriggio Mauro telefonò a Leda e le chiese di parlare un
attimo con suo marito. < Massimo ascoltami, nella casa di mia sorella
Flavia, sono tutte donne e mio cognato è una brava persona, lascia venire Leda
a trovarmi, almeno una volta, sai non mi serve di più! La notte sarà a casa di
mia sorella e sarà trattata come una principessa, lei e Lina; per favore
Massimo falla partire appena può! Te lo chiedo come un fratello più piccolo,
fidati di me e di ciò che dico! Telefona tu stesso a mia sorella Flavia,
conoscila e vedrai che non c’è nessun pericolo per Leda!> La metà di Marzo
portò una promessa, che si sarebbe poi concretizzata agli inizi, di un caldo e
luminoso Aprile del 1991.
33
Una
nuova aria girava fra le pareti della sua piccola casa, Mauro aveva la netta
impressione che ogni cosa prendeva una luce diversa. Era una sensazione stranissima!
Aveva nel cuore un’immensa gioia, per la venuta di Leda nella sua casa, ma al
contempo sentiva che i giorni avanti a lui correvano troppo veloci, e lui aveva
ancora tante cose da fare! I giorni sembravano correre così veloci, che non
aveva la possibilità di riuscire a vedere tutte le cose che doveva fare, che
voleva dire, etc etc. Come spiegarlo! Era come se si trovasse su di un treno ad
alta velocità, il passeggero dai finestrini riesce a intuire lo scorrere veloce
delle case, degli alberi, i monti e altro, ma non a vederne i particolari e
gustarseli! Come di solito invece accade, se viaggi su di un treno accelerato; da
dove puoi osservare i particolari che scorrono dai finestrini, puoi fissare più
chiaramente nello sguardo, anche le cose che apparentemente sembrano banali! Ecco,
lui si sentiva così, da quando sapeva che Leda sarebbe arrivata a casa sua
davvero, il tempo gli scivolava via, aveva insomma la netta sensazione che il
tempo stava disegnando un punto gigantesco a tutte le sue cose terrene! Forse,
questa sua altalena di felicità e pessimismo al contempo, era dovuta al suo
effettivo stato di salute; che non migliorava purtroppo, le ultime analisi
fatte erano davvero disastrose! Quella mattina doveva ritirare le ultime fatte
e stava aspettando Giorgio che lo avrebbe portato al centro medico con la sua
macchina. Quando suo fratello bussò alla porta, Mauro era già pronto per
scendere le scale; indossava un jeans chiaro, una camicia bianca a righine blu,
un maglioncino di filo color corda, i calzettoni a rombi color vinaccio e i
mocassini color sabbia che gli aveva regalato suo fratello Giorgio. Era tutto
fresco e profumato, aveva come sempre passato su tutto il corpo, il sapone allo
zolfo che gli aveva dato il medico, per quelle sue micro pustoline che gli
davano sempre tanto prurito. Giorgio dal citofono gli disse: <Non scendere
Mauro, salgo io un momento!> Un piccola ansia toccò il petto di Mauro, era
diventato così fragile nell’intimo, che si allarmava per qualsiasi cosa! Tenne
la porta aperta e dopo un minuto Giorno fu di fronte a lui; < Scusami Mauro,
non posso accompagnarti, ho delle beghe sul lavoro, sono venuto a portarti le
chiavi e la macchina> Erano quattro anni che Mauro non portava la macchina,
ma non gli disse nulla, sorrise e lo ringraziò; sarebbe poi passato durante la
serata da lui per riprendersi la vettura. Giorgio abbracciò il fratello, mentre
gli diceva: < Dai che la macchina è come la bicicletta! Una volta imparato a
pedalare non si dimentica!> E poi lo prese in giro, per quel profumo
femminile, che si ostinava a mettere, eau de cologne Jean Marie Farina –Paris.
<mmmmmmmmmm che fiorellino di campo sei stamattina!> Gli diede una
leggera pacca sulle spalle e rise di cuore insieme al fratello, e già quell’ansia
di portare la macchina dopo quattro anni era quasi svanita! In effetti, il
disagio durò solo qualche minuto, nel traffico caotico della città, poi il suo
corpo si rilassò alla guida, e sembrava che la macchina l’avesse lasciata sotto
casa solo la sera prima. Era bello provare quel senso di libertà e di auto efficienza,
che non aveva provato più da troppo tempo! Chi guardava dalla propria
autovettura o dal marciapiede, quel giovane alto, elegante e troppo magro al
volante, non si sarebbe mai accorto di nulla, della sua drammatica realtà! Sembrava
un annoiato figlio di papà, a bordo della macchinona elegante, in giro per la
città a far da specchietto per le allodole, alle belle ragazze! Era questo il
tono che si dava quel giorno Mauro, a suo fratello piacevano i macchinoni eleganti,
e lui faceva l’attore per poche ore, giusto per non pensare agli esiti delle
analisi che il medico aveva già in mano! Al ritorno dal centro medico, aveva il
cuore così pesante, che quasi ne sentiva lo spessore sotto il maglioncino color
corda. Insomma, possedeva la macchina, dopo quattro anni tutta per sé, fino a
sera! Non tornò a casa Mauro quel giorno, il serbatoio era pieno, si sentiva
discretamente nel fisico, i dolori alle gambe che lo tormentavano da due settimane,
erano di molto alleggeriti; Ingranò la marcia più alta, mentre in autostrada si
dirigeva verso Mondello. < E’ il
momento e l’occasione giusta, non ne avrò un’altra! Voglio rivedere il
mare!> La giornata era stupenda, e il sole era così brillante a quell’ora
che la sabbia bianca della spiaggia, sembrava farina che brillava mischiata all’argento.
Mauro si tolse i mocassini e i calzettoni, e quando sentì la frescura morbida
sotto le piante, chiuse gli occhi e respirò l’odore del mare, la musica delle
onde, il grido dei gabbiani, che sfioravano l’acqua alta e poi risalivano in
cielo come piccole frecce bianche. In quell’istante, mentre era seduto sul
bagnasciuga e i piedi erano appena lambiti dall’acqua incredibilmente calda, il
treno ad alta velocità si fermò. Davanti ai suoi occhi, tutte le cose erano
chiarissime, nette, spietate nella loro dura verità! Quando nei giorni scorsi
aveva avuta l’impressione che tutto fuggisse troppo in fretta sotto i suoi occhi
assetati di vita, ora si rendeva conto del perché di quella strana sensazione! Stava
davvero cominciando a morire; le analisi che il medico gli aveva letto, avevano
chiarito il perché dei suoi dolori costanti alle ossa, e di quella febbre che
la sera affiorava sempre. Aveva un tumore alle ossa e le metastasi erano già in
viaggio per chissà quale altra parte del suo corpo! Il suo treno non era più in
corsa né procedeva a piccola marcia, per mostrare il panorama della vita, ma si
era fermato ora, di fronte a quel mare, che lui aveva desiderato vedere da
tanto tempo! E mentre guardava l’orizzonte che quel giorno era di un blu scuro
e profondo, respirò la vita del mare, come se gliene volesse rubare un po’ e
allungare la sua! Non era spaventato, e neppure arrabbiato, era triste! Di una
tristezza così profonda che se avesse potuto disegnarla, sarebbe stato l’abisso
di quel mare che aveva davanti a suoi occhi! I suoi occhi, color dello
smeraldo, che ora erano liquidi, come quelle onde che parlandogli,
nell’infrangersi delicatamente intorno ai suoi piedi, sembravano rassicurarlo,
accarezzarlo e assicurargli l’esistenza di Dio! Immerso in mille pensieri, nei
quali volle sperare che esistesse un'altra vita dopo questa, il tempo passò in fretta,
e quando Mauro fermò i suoi pensieri, su cosa fare, a chi dirlo per primo e
come affrontare tutto, il sole calava all’orizzonte. Sembrava una palla d’oro
che galleggiava sull’acqua, mentre nuvole viola, rosse e rosa, formavano
disegni fantasiosi, nell’occhio di chi vuole vedere le cose belle che non ci
sono! Quel giorno, fece bene ad andare al mare Mauro, poiché fu l’ultima volta
che vide la natura, l’ultimo, che gli regalò la sensazione piacevole del sole sulla
pelle, l’ultimo, nel quale sentì i profumi del mondo fuori da una stanza! Quella
sera Mauro non disse nulla a Giorgio, dei risultati avuti, gli disse che era
tutto come sempre, usò la parola <stazionario> e mentre glielo diceva,
guardava dentro la pentola, girando il sugo per gli spaghetti che da lì a poco
avrebbero mangiato. Parlò con lui di tante cose, come a sfogarsi con le parole,
per non sentire il rumore di altre parole, lette dal medico, contenuto di quei
fogli bianchi pieni di tabelle, numeri e sigle! Gli disse che finalmente
avrebbe conosciuto Leda, che doveva organizzarsi per come riceverla, sarebbe
rimasta due giorni interi, ed era una cosa incredibile per lui! Mentre erano a
cena Giorgio accese il piccolo tv di Mauro, erano i giorni della guerra del
golfo, e spesso il video di vetro, rifletteva quei terribili lampi verdi, che
ogni telegiornale trasmetteva a tutte le ore! La gente moriva, il dramma di un
popolo, fatto di carne e ossa, giovani uomini, donne e bambini; il tutto era
ridotto, agli occhi del mondo, a migliaia di lampi verdi nel buio, come se
fosse dei videogiochi e non la realtà della guerra! < Come possono uomini, che si ritengono
intelligenti, che professano la loro fede alla bandiera e a Dio, ridurre così
la vita di gente innocente! Uccidere per cosa?? E a noi che siamo al sicuro
nelle nostre case, cosa arriva di questo dramma, che ha solo e squallidamente
il sapore dei soldi e il potere! Ci arriva la nuova tecnologia telematica! Il
sangue che scorre, appare a nostri occhi, sotto forma di lampi e luci verdi, avanti
un fondo nero! Sono giorni che mostrano sempre le stesse immagini Giorgio!
Centinaia di lampi verdi! E ogni lampo è una città nel fuoco, è centinaia di
gente che perde la vita o rimane orfana! Dio mio a cosa siamo ridotti! Che
valore ha la vita umana!! La gente muore, mentre a noi sembra di vedere un
angoscioso videogioco in tv?> Non si era neppure reso conto Mauro, che nel
dire quelle cose, la sua voce era altissima, aveva lasciata libera la sua
disperazione, il suo terrore della fine; un pianto sconsolato lo aggredì
violento, e Giorgio spaventato corse subito a chiudere la tv. Stettero tutta la
sera a chiacchierare di tante cose, Giorgio era davvero convinto che fosse solo
la guerra del golfo a sconvolgere il suo fragile fratello, ancora convalescente
dall’ultima botta. Mauro non dicendo nulla al fratello, era come se volesse
rimandare forse in quel modo la sua morte. Non dirlo, gli sembrava fermare il
tempo! Quella notte, ci fu un gran lotta nei suoi sogni; mentre la fanciulla di
luce dai lunghissimi capelli bruni lo teneva fra le braccia, consolandolo e
rassicurandolo, il drago di fuoco, faceva capolino dal centro dell’immenso
stagno di acqua rossa e fiamme! E così per tutta la notte, fino al mattino, più
che un sonno ristoratore, quello di Mauro fu “la sua guerra del golfo”!
34
A volte
un “sì” è detto così per istinto, pensiamo noi! Io invece credo che,
quell’istinto è semplicemente una voce sincera e diretta, che ci parla da
dentro e ci fa capire la reale prospettiva delle cose! Mauro aveva gettato lì
una richiesta, che aveva nella mente da tanto tempo, e Leda aveva detto di sì
senza pensare! Qualcuno aveva suggerito loro, che la proroga era stata
concessa, e che dovevano acchiapparla ora o mai più! Leda, si preparava in quei
giorni a partire, insieme alla sua amica Lina, poche cose in valigia, sarebbe
rimasta a Palermo solo due giorni, avrebbe voluto di più, ma il lavoro di Lina,
non glielo permise. Se avesse saputo poi, che per colpa del lavoro, Lina gli
avrebbe dato buca, sarebbe rimasta a Palermo almeno una settimana! Quando
arrivò la telefonata di Lina, che le diceva immensamente dispiaciuta, che non
poteva più accompagnarla, a Leda si fermò il cuore! Convincere Massimo, che lei
sarebbe partita anche da sola, fu davvero un’impresa ardua! Leda, “sentiva” pur non conoscendo per nulla
gli ultimi fatti avvenuti, che se avesse rimandato, non ci sarebbe stata
un'altra opportunità. Il biglietto aereo all’agenzia viaggi per lei e Lina era
stato già fatto, e i giorni purtroppo erano solo due, ma lei li avrebbe fatti
bastare, tanto si diceva < Ritornerò a fargli visita e verrà anche Lina!
> Anche se lei se la raccontava così, dentro il cuore sapeva già, che forse,
quello del lavoro fu solo una scusa! Il famoso istinto le suggerì che Lina non era
voluta andare per paura del contagio! E pochi giorni dopo, quando Lina andò a
farle visita, com’era solito fare, mentre conversavano della sua partenza, nei
discorsi, le sue reali ragioni vennero fuori: < Leda, ti sei informata da
qualche specialista su quale rischio corri, ad avvicinare Mauro? > Un tonfo
in pieno petto ! < Capperi, ma il suo istinto non falliva mai ?> Come
sempre accadeva, la dolce Leda, quando sentiva male dentro, perdeva tutta la
sua dolcezza! Il suo carattere, che aveva sfaccettature diverse e ben precise a
secondo delle circostanze, veniva sempre fuori con fulmini e saette!Era una
donna leale, diretta, sincera e passionale Leda, se gli toccavi il cuore, aveva
coltelli al posto della lingua! <
Sono una moglie e una madre, vuoi che non sappia come devo difendere me stessa
e soprattutto loro? Sai chi corre davvero un grosso pericolo quando sarò lì?
Mauro lo corre! Siamo noi così detta gente sana (nel corpo) a trasmettere germi,
dai quali un ammalato terminale di aids non può difendersi! Di cosa dovrei
avere paura, se non di fare io del male a chi mi aspetta con tanta gioia? E'
proprio vera la cosa che non te li danno questi miseri due giorni sul lavoro ??
> Erano caduti fulmini e saette, e l’imbarazzo di Lina si tagliò con il
coltello!! La sua amica, stava perdendo una grande opportunità di lustrare un
pochino l’anima, ma quando si calmò, Leda cercò di giustificarla! Lina e
nessun’altra persona, compreso i fratelli di Mauro, poteva capire il senso di
quel filo teso, che era nell’etere da mesi, da mani divine che benedicono solo
le cose belle, pulite e cristalline! Ci sono sentimenti di amicizia che hanno
una magia speciale, e che nella vita capitano solo una volta! Bisogna fidarsi
“della fede” e Leda lo stava facendo da mesi; incontrare Mauro per lei, era
come chiudere un cerchio, come quell’anello del Rosario d’oro che gli aveva
regalato! Chi tende la mano a una creatura, chi cerca di infondere nel cuore di
una persona, speranza, forza, coraggio e fede, non può poi negare la sua
presenza!< E per cosa poi? Perché gli altri avevano paura? > Leda, aveva
una sola paura, e cioè, che fosse Mauro ad averla! E lasciarsi influenzare dagli
eventi, significava solo lasciare andare via un angelo senza donargli quell’ala
di riserva che gli era stata promessa! Mancava una settimana alla partenza di
Leda, tutto era stato programmato, Massimo aveva parlato con Flavia, lo aveva rassicurato,
la sera sarebbe andata a prenderla da casa di Mauro, per riposare nella sua
casa, e Massimo aveva in pratica dovuto cedere per forza, Leda fu irremovibile!
Con Lina o senza Lina, lei sarebbe partita per Palermo! Quando arrivò la
telefonata di Flavia a pochi giorni dalla sua partenza, Leda non era in casa,
rispose suo marito, e quando lei tornò dalla spesa e vide il volto tesissimo di
suo marito, si spaventò molto. Con voce calma ma rotta dalla commozione, poiché
anche Massimo aveva imparato ad amare quel fratello lontano e sconosciuto, le
disse che Mauro era stato ricoverato d’urgenza in ospedale. Non seppe, o forse
non volle dire le reali ragioni del ricovero ma Leda volò al telefono e seppe
direttamente da Flavia cosa stava capitando a suo fratello. Maledetta malattia,
infame com’era sempre la morte per chi lasciava questo mondo troppo giovane!
Era stato ricoverato per una doppia polmonite, e solo dopo il ricovero, Mauro
aveva detto a sua sorella e a suo fratello, che aveva un tumore alle ossa. In
concreto, ci era stato costretto, i medici lo avrebbero detto ugualmente! Anche
Leda provò la sensazione del treno alla massima velocità! Tutto precipitava
all’improvviso, sembrava come se il loro mondo magico, tenuto in piedi da quel
filo teso fortissimo, stesse collassando su di loro. Mancavano cinque giorni
alla partenza, e a Leda sembrarono cinque anni! Aveva una tremenda paura di non
riuscire a mantenere una promessa; in un solo mese e mezzo, tutto era
precipitato come una slavina di fango nero sulle illusioni e sulla fede! Quel
“sì”, dell’acqua asciutta, doveva aver avuto per forza un significato!! Allora
ogni sera Leda, non si addormentava, se non prima di scorrere tutta la corona
del santo Rosario. < Tempo, le occorreva tempo! > Quando suo marito la
lasciò al gate di Capodichino, le diede un bacio commosso, e le raccomandò di portare
un abbraccio grandissimo a Mauro, così anche i suoi figli, commossi ancora di
più, per la loro giovane età; non capivano però davvero la drammaticità della
situazione, era più un riflesso delle emozioni espresse dai loro genitori.
Avrebbero voluto andare anche loro con la mamma, ma su questo, ancora una volta
Leda fu irremovibile, non era una cosa per bambini, appena zio Mauro stava
meglio e tornava a casa, sarebbero andati anche loro a conoscerlo! Non era una
cosa per bambini …. Forse non era neppure una cosa per lei, perché usciva da
casa solo a piedi per fare la spesa, o con suo marito in macchina per altre
cose; ma quel filo tesissimo nell’etere, era diventato un elastico; che la
proiettava dall’altro capo della sua origine, con la forza di uno schiocco di
freccia!! La traversata sul mare da Capodichino a Punta Raisi fu emozionante,
aveva ventuno anni quando prese il suo primo e unico aereo, e non era da sola;
oggi ne aveva trentasei di anni, ed era
da sola, mentre andava a conoscere e al contempo (forse) dire addio al suo
migliore amico … mai visto! I fatti della vita a volte possono sembrare
assurdi, ma solo perché siamo umani, e non sappiamo vedere le reali ragioni
delle cose! Io credo che, tutte le cose, che accadono, anche se sono sottoposte
alla nostra volontà o libero arbitrio, come si suol dire, hanno un percorso che
non c’è dato di comprendere davvero! I sentimenti non si capiscono, si vivono,
si accolgono e si donano senza domandarsi nessun perché! La forma della
Sicilia, che Leda non aveva mai visto, si stagliava dall’alto dell’aereo che
era, dopo meno di un’ora, già pronto per le fasi dell’atterraggio. Leda, vide i
colori diversi del mare della Sicilia, le spiagge bianche brillavano così forte
che sembravano lenzuoli bianchi. Da lei le spiagge erano scure e questa cosa la
colpì molto, mano mano che l’aereo si avvicinava alla regione, potette
osservare l’immensità di Palermo, fra i palazzi antichi del centro storico,
visti da così in alto, le strade principali, sembravano piccole arterie,
congestionate dal traffico delle auto, che apparivano come formichine
brulicanti in movimento continuo. Le persone che sarebbero venute a prenderla
avevano un cartellino molto grande fra le mani, con scritto D’Argo, erano, la
nipote di Mauro, Silvia e il suo fidanzato Alessio, Flavia l’aspettava
direttamente in ospedale. Leda, volutamente, aveva omesso un particolare a suo
marito, non aveva detto che l’ospedale di Palermo che ospitava Mauro, era
chiamato il lazzaretto. Era una struttura che ospitava in concreto, solo
ammalati di aids terminali; e fra le persone comuni, inclusi i bambini, vi
erano anche i detenuti. L’ospedale, o succursale di esso, era presidiato da
soldati, che avevano sotto il braccio dei piccoli mitra a canne mozze; fu la
prima cosa che vide Leda appena entrò “da sola” nella struttura, i nipoti non
la seguirono. Dopo il breve tragitto in macchina dall’aeroporto all’ospedale,
nel quale si erano scambiate frasi di circostanza e cordiali parole, i ragazzi
restarono giù al parcheggio nell’attesa che fosse scesa Flavia. Lasciò la
piccola valigia nella macchina di Alessio, tanto le cose le sarebbero servite
solo la sera quando sarebbe andata a dormire a casa di Flavia; si attaccò con
il braccio destro alla tracolla della sua borsetta di tela, come ad avere la
sensazione che qualcuno la sorreggesse, si fece coraggio ed entrò nel
lazzaretto.
35
Le avevano sconsigliato di prendere l’ascensore in quel posto,
allora salì le scale per tre piani; a ogni piano, sulle scale c’erano soldati,
ogni pianerottolo della vecchia struttura, che aveva ringhiere di ferro arrugginito,
era presidiata da due militari con il piccolo mitra. Leda, non aveva mai visto
da vicino un mitra, e si domandò che senso potesse avere una sorveglianza
simile, anche se ci fossero stati delinquenti pericolosi, erano gravi, dove
potevano scappare! Fu la prima nota storta che notò, ma la collana era lunga,
doveva infilare ancora molte perle alla lunga fila! Finalmente la scala finì, e
Leda si trovò in un lungo corridoio grigio, che aveva l’odore del
disinfettante, così forte, che le prese un senso di nausea. Prese un
fazzolettino di carta dalla borsetta, se lo portò alle narici e proseguì, le
avevano detto che Mauro si trovava in fondo al corridoio a sinistra. Incontrò
nel percorrerlo due militari che al vederla, le sorrisero con dolcezza. < Che contro senso > pensò Leda, <un saluto così dolce, fatto da chi ha
sotto il braccio, un mitra! > Erano solo ragazzi, che probabilmente facevano
la leva, ed erano mandati a controllare l’infelice giornata di alcuni detenuti
che avevano avuto pene per omicidi, chissà! Leda, non ebbe il tempo di avere
paura di nulla quel mattino, appena giunta al Lazzaretto, (nome azzeccatissimo)
era così grande il dolore che si viveva là dentro, che non potevi sentire
paura, ma solo, altrettanto dolore e pena, tanta pena! Ne ebbe la precisa
sensazione, quando, prima di giungere alla camera di Mauro, passò di fianco alla camera occupata da un bambino che
poteva avere sì e no dieci anni! La porta stagna che aveva ogni stanza, formata
da due letti, era momentaneamente aperta, e Leda vide un piccolo faccino magro,
che aveva due occhioni così grandi che
sembravano finestre! C’era un’infermiera che gli cambiava una flebo, e il
braccino che teneva sollevato, sembrava un piccolo tralcio di vite rinsecchito
e pieno di nodi. Era da solo quel bambino, e Leda si chiese come mai lo fosse,
se lei che era una semplice amica, aveva avuto il permesso di fermarsi nelle
ore diurne per due giorni, come mai la madre di quel bambino non c’era?La
risposta l’avrebbe saputa ahimè più tardi! Era ormai giunta alla fine di quel
corridoio che sembrava un girone dell’inferno di Dante, sentiva lamenti e voci
alte che discutevano, ma non si fermò, una donna alta bruna e un po’ pienotta,
le stava sorridendo e Leda capì subito che era Flavia. Aveva dei bellissimi capelli neri corti e
mossi, e due occhi grandi scuri che brillavano come stelle, era di poco più
grande di Leda, l’accolse con un sorriso aperto e le lacrime che le rigavano il
viso. Sembrava un po’ incerta su cosa osare fare e cosa non fare, allora Leda,
che non aveva mezze misure nell’esprimere i suoi sentimenti, l’abbracciò
fortemente, restando qualche secondo fra le sue braccia per confortarla e
smorzare quell’imbarazzo che si viene a creare fra persone che si sono
conosciute solo virtualmente. <Sei tu Leda? Dio mio come sei diversa
dalla piccola foto che ha Mauro! Ora che ti vede mio fratello impazzisce di
gioia!! Sta molto male, ma è talmente emozionato che stanotte, mi ha detto, non
è riuscito a dormire! > A Leda
cominciavano a tremare le gambe davvero ora! Aveva visto il luogo, toccava con
mani sue tutto il dolore di quel posto, che sicuramente passava anche addosso
al suo caro amico, dopo tanti mesi, fra pochi secondi si sarebbero visti! Un
infermiere addetto a queste cose, fece indossare a Leda un camice di carta
bianco, una cuffietta, una mascherina e dei guanti di lattice, Flavia era già
vestita di tutto punto, tirò di lato la porta stagna, afferrando la grande
maniglia di acciaio e fece scorrere la pesante porta di qualche centimetro, entrò
Flavia e dietro di lei Leda; un tonfo sordo, e la porta pesante si chiuse alle
loro spalle, Leda era in un altro mondo! Sul letto sotto la finestra, che dava
in un cortile interno, c’era un ragazzo così alto, che i suoi piedi per pochi
centimetri erano fuori dal letto; aveva i capelli lunghi neri con riflessi
ramati, fino alle spalle, e una barba incolta, che denunciava il tempo che era
passato da quando non era più stato in grado di farsela. Aveva due occhi
enormi, verdi davvero come due smeraldi; forse perché erano pieni di lacrime di
gioia! In quel letto Leda vide proprio il corpo e il volto di Gesù Cristo appena
schiodato dalla croce! < Dio mio Leda, quanto sei bella! Sembri proprio un
angelo blu!>
36
Il filo teso
fortissimo che c’era stato fin’ora fra i due amici, di colpo avvicinò i due
capi all’unica origine che si trovava proprio in quel luogo; e lo schiocco fu
così violento che entrambi rimasero senza fiato! Quando s’incontrarono i loro
due sguardi, si aprì ”quella porta” che immette in quel mondo parallelo, che
corre a fianco alla vita normale di tutti i giorni, ma che non incontra mai la
realtà cruda, degli ultimi giorni di permanenza sulla terra di alcuni meno
fortunati di altri! Non so dirvi, se questa sia una cosa buona o no! Tendo più
a pensare che non sia una cosa buona, non venire mai a contatto con la
dimensione parallela! Io credo invece che, se chi sta bene, assaggiasse solo
per pochi secondi, entrando appunto in questo mondo parallelo, cosa significa
prepararsi a lasciare gli affetti terreni parentali, senza la loro presenza per
diritto umano, vivrebbe meglio la propria vita spirituale! Penso che, chi è
capace di entrarvi, vivrebbe la propria vita, comprendendo innanzitutto il reale significato del concetto drammatico
che contiene l’espressione Emarginazione o Ghettizzazione! In quel luogo, quel
concetto era così reale da avere proprio un corpo tangibile da toccare! Anche
chi si prendeva cura dei malati terminali di quel tipo, aveva un atteggiamento totalmente
diverso, da chi assisteva i terminali di un cancro. C’era nei loro sguardi, la
paura, il ribrezzo e il “ fastidio “ di chi è costretto a svolgere un compito
quasi contro natura! Fu questa la sgradevolissima impressione che avvolse il
cuore di Leda, in quei giorni. Mauro era lì di fronte a lei, aveva il viso
scarno, la pelle emaciata e ricoperta da piccole piaghe, e gli occhi così
grandi, da sembrare laghi smeraldini della foresta amazzonica! Quel volto,
quello sguardo, furono come una sonoro schiaffone sul suo cuore, e ancora una
volta prevalse l’istinto prima della ragione. Leda, tolse la mascherina, che
non permetteva a Mauro di vederla in volto totalmente, fece scivolare i suoi
avambracci sotto le spalle dell’amico e con gran forza, sedendosi al suo
fianco, lo sollevò dalle coltri. Il suo abbraccio fu identico a quello di una
madre, che non temeva nulla del suo bambino; una madre che stringeva
teneramente al suo cuore, un caro figlio che stava lasciando il mondo,
chiedendo a lei, solo un abbraccio! Lo tenne così per pochi secondi, poiché
capì subito, dal sussulto di Mauro, che gli provocava troppo dolore quella
manovra, il tumore osseo era uno dei più terribili nella terapia del dolore.
Quando lentamente lo depose sulle lenzuola, Leda vide nell’espressione del suo
amico lo stupore, misto alla gioia senza fondo, che aveva il suo sguardo. Mauro
cominciò a piangere a dirotto, mentre le diceva, tra una pausa e l’altra perché
faticava a respirare: < Non hai paura di quel che vedi in questo letto? Mi
vuoi davvero tanto bene! Sai che sei l’unica che mi ha abbracciato così dopo
mia madre, quando ero piccolo? > Leda, sentiva lo sguardo di Flavia dietro
di sé, che era ancora nella stanza, appoggiata alla finestra; avvertì un
leggero imbarazzo, che non riguardava certo se stessa! Mauro parlava a voce
bassissima, facendo delle lunghe pause, era difficile per lui, prendere aria
fra una parola e l’altra, Leda se ne rese subito conto, perciò non lo
interruppe; teneva le sue lunghe ed eleganti mani fra le sue, e ascoltò. <
Tu non sai la gioia che mi stai regalando, dopo tanto tempo ho su di me uno
sguardo che non ha paura, ma solo amore! Dio ti benedica per come sei amica
mia, sei la gioia che attendevo prima del passaggio! Leda, sorella mia,
ricordati che tu non sarai mai più sola e quando avrai bisogno di me, io ci
sarò sempre. Ricordati che può morire un corpo, ma non un anima! Ed io, anche
se il Signore mi chiamerà a Sé, ci sarò sempre, quando avrai bisogno di me! Tu
sarai per sempre il mio angelo blu!> Con queste parole, cominciarono i loro
due giorni, vissuti scollegati dal mondo fuori. Flavia lasciò la stanza
notevolmente commossa, dicendole che sarebbe venuta a prenderla la sera verso
le 21,00, con la mano lanciò un delicato bacio a suo fratello, mentre la porta
stagna si richiudeva alle sue spalle sordamente. Mauro con gran fatica sollevò
le braccia dalle lenzuola, come a dire con la sua gestualità <mi dai un altro
abbraccio?>. Azzerate le distanze, soli, l’uno di fronte all’altro,
parlarono sommessamente, dell’unico argomento che volutamente forse avevano
rimandato. Mauro bevve letteralmente, ogni
parola di Leda, mentre gli parlava della dolce fanciulla di luce, dai
lunghissimi capelli bruni. Ogni fatto, e ogni scena, che Leda raccontava di
Lei, cancellava completamente, tutte le paure che Mauro aveva nell’affrontare
quel momento, il distacco, ormai inevitabile, da questo mondo. La sua anima,
era così felice, così fiduciosa, alle parole dell’amica, che presto fu
impossibile, scindere i momenti, in cui c’era un uomo adulto ad ascoltare o un
bambino completamente abbandonato fra le parole/braccia di sua madre! Erano
passate poche ore dall’arrivo di Leda, Mauro cercava con tutto se stesso, di
non cedere all’effetto degli antidolorifici, ma le medicine vinsero, e le sue
folte ciglia all’insù si chiusero dolcemente, mentre Leda gli parlava dei
pascoli colorati, dai toni, che sulla terra non erano neppure immaginabili
vedere! Leda, dopo pochi minuti, mentre faceva una pausa ai suoi racconti
guardando fuori dalla finestra, si rese conto che Mauro si era addormentato, lentamente
fece scivolare la mano che reggeva la sua e si alzò dalla sedia. Ora non la
vedeva proprio nessuno, si diresse verso la finestra e guardò giù nel cortile
interno dell’ospedale, era strana quella tranquillità. Non c’era quasi nessuno
che accedeva all’ospedale, eppure era l’ora delle visite, le poche persone che
vi entravano e uscivano, erano i medici, le infermiere e i militari quando si
davano il cambio nei turni di guardia. La stanza era abbastanza grande,
conteneva due letti attrezzatissimi per ogni tipo di emergenza, e un bagno
privato, che aveva addirittura la vasca. Quel particolare, della grande vasca
bombata, e i soffitti bianchi alti, denunciavano chiaramente l’età della
struttura; che non era tenuta male, ma aveva il sapore del vecchio,
dimenticato, obsoleto. Leda, si fermò di fronte al lavabo, si lavò
accuratamente le mani, mentre il suo sguardo cadde sul suo stesso volto. Era
così pallida, il suo solito incarnato sembrava ancora più diafano; forse era la
stanchezza o tutte quelle emozioni che provava e si apprestava a vivere. Da
dietro le lenti da vista notò che il colore dei suoi occhi era molto simili a
quelli del suo amico, e si chiese se era un caso; sembravano davvero fratelli
in quello! Per il resto, sorrise mentre lo pensava, il suo metro e sessantatré
e i lunghi e sottili lisci capelli biondi, poteva considerarsi per lo più una
sorella adottiva! Sorrise di questi suoi pensieri sciocchi, forse fatti per
tagliare un po’ la tensione che le metteva quel luogo anomalo, non tanto per gli ammalati, bensì per gli
operatori che li accompagnavano verso la fine. Aveva sentito da Mauro la storia
di quel bambino di dieci anni in quella stanza, senza neppure la madre a
consolarlo; e ne era rimasta sconvolta! La madre morta, lui in dialisi da quasi
cinque e il padre in carcere. Quel bambino era solo, ancora più di Mauro! Non
aveva avuto comportamenti rischiosi, tentava solo di restare in vita, mentre il
retrovirus, ancora sconosciuto, entrava nel suo sangue tramite la dialisi!
Allora Leda, per sentire meno l’angoscia che le metteva quel luogo, faceva
pensieri stupidi, cercando di riderci su! La porta del bagno era proprio di fronte
al letto di Mauro, e quando Leda uscì, se lo trovò di fronte, in tutta la sua
presenza dolorosa. Sembrava dormisse tranquillo, ma dal movimento appena
percettibile delle esangui labbra, si capiva che stava parlando. Si avvicinò
per sentire ciò che stava dicendo, ma non si capiva assolutamente nulla, lo
toccò delicatamente sulla fronte, cercando di non svegliarlo e si rese conto
che aveva la febbre altissima. Senza pensarci sopra due volte Leda, aprì la
pesante porta a scorrimento e uscì dalla stanza; nel corridoio vedeva solo dei
militari, seduti sulle panche lunghe di lacca grigia, addossate al muro, poi da
lontano vide una cuffietta bianca, e con passo svelto e deciso si diresse verso
quella donna. < Infermiera, vengo dalla camera del signor D’Argo, ho notato
che ha la febbre altissima, può chiamare un medico per favore?> Lo disse con
tono concitato, e l’infermiera, senza neppure voltarsi e vedere chi fosse a
fare la richiesta di aiuto, disse con modi sgarbati: < Cerco il medico di
guardia, lei nel frattempo ritorni nella stanza, è pericoloso stare qua fuori
signora!> I modi urtati e indifferenti dell’infermiera, provocarono in Leda,
una voglia matta di afferrarla per il collo, per farsi guardare almeno in
faccia, ma non fece nulla di quel che avrebbe voluto fare; rifece tutto il
corridoio con le lacrime agli occhi per la rabbia e l’impotenza e ritornò nella
camera di Mauro. Non essendo parente, aveva avuto un permesso speciale per
stare due giorni nella struttura ospedaliera accanto all’ammalato, e se avesse
detto il suo pensiero in quel momento, ne sarebbe dovuta uscire di corsa! Leda,
era una madre, che come tutte, aveva avuto tante volte i suoi figli malati con
la febbre altissima; anzi Angelica da piccolina, aveva avuto anche le
convulsioni per la febbre altissima, sapeva cosa doveva fare nel frattempo!
Andò in bagno, prese un catino, lo riempì di acqua fredda e v’immerse dentro un
asciugamano piccolino bianco. Si sedette sulla sedia accanto a Mauro e cominciò
a fargli le spugnature fredde, alla fronte e ai polsi; mano mano che passava il
tempo e nessun medico era venuto ancora, notò che Mauro era più rilassato,
dormiva ora senza più vaneggiare silenziosamente nel sonno. Era inconcepibile
il comportamento che era adottato in quella specie di ospedale, era un po’ come
dire senza voce < prima muoiono e meglio è!>. Quello era solo un piccolo
esempio, di cosa era stata la vita di Mauro in quegli ultimi anni; ora toccava
con mano Leda, il significato delle parole di Mauro! Quando diceva < Mi auto
commisero è vero, ma forse in questi momenti facendolo, io sento molto di più il
calore dell’amore, dell’affetto, perché riesco a darmelo anche da solo! Anche
se non dovrebbe essere così! Dovrei avere attorno a me, almeno i miei fratelli,
che mi rincuorassero, che mi dessero conforto! Invece, lo faccio da solo … >
Quelle parole ora avevano un sapore diverso, le stava assaggiando in tutta la
loro cruda realtà; in quella stanza non c’era nessuno dei parenti di Mauro, e
sua sorella nell’andare via gli aveva mandato un bacio con la mano da lontano,
i nipoti che erano venuti a prenderla all’aeroporto, non erano saliti ………
quante cose ora, chiaramente, le facevano vedere la realtà di Mauro!!! Guardava
senza sosta il volto magrissimo di Mauro, gli sembrava impossibile, ingiusto,
crudele, andare via così da questo mondo! E mentre lo stava guardando con
immensa dolcezza, lentamente, la voce di Mauro disse <Hai paura per me gioia mia?> Aveva gli occhi chiusi, ma si
era svegliato, e aveva letto chiaramente nel suo cuore! Gli prese la mano, abbandonata
sulle lenzuola, la portò alle labbra e delicatamente gliela baciò < si Mauro,
ho tanta paura per te! >. Il rumore sordo della porta che si apriva fece
leggermente trasalire Leda, un’infermiera, che non era quella alla quale aveva
parlato, e un medico erano entrati nella stanza, < alla buonora, era passata
più di un’ora! > Leda, si alzò dalla sedia, per lasciare libero lo spazio a
qualsiasi intervento dei due, e la scena che guardò le lasciò dentro l’anima,
un solco di tristezza così pesante, che le sue spalle assunsero un
atteggiamento curvo. Ciò che più la colpì però, non fu l’atteggiamento del
medico, bensì lo sguardo di Mauro, che andava dai due a Leda, come a dire <
vedi di cosa ti parlavo, quando ti registravo le cassette o ti scrivevo? >Il
medico era bardato fino agli occhi, sembrava più un astronauta che un dottore,
le mani guantate, erano rivolte in alto, come in attesa dei ferri chirurgici
per operare, mentre l’infermiera era addetta a “toccare il malato” ossia,
semplicemente alzare la maglia intima per esporre il torace allo stetoscopio
del medico. L’unico gesto che fece il dottore, fu appoggiare lo strumento sul
torace del paziente; l’oggetto scorreva sul petto e sulle spalle, sorrette
dall’infermiera, mentre Mauro lanciava sguardi d’imbarazzo per la situazione
grottesca che si era venuta a creare intorno ai quattro! Il medico diede la
terapia, per tenere su il cuore che era molto affaticato, e l‘antipiretico tanto
atteso per far scendere la temperatura, poi uscì dalla stanza, senza dire
neppure una parola né a Mauro né a Leda, che in pratica furono trasparenti! La
parola “conforto”, umanità, pietas, deontologia medica, erano termini terresti
che non si usavano su Marte! Per quanto una persona possa raccontare, uno stato,
una situazione, è difficile veramente da capire fino in fondo nella sua
crudezza, se non la vivi almeno di riflesso in prima persona! Leda, era
arrivata in quel luogo da meno di cinque ore, e aveva visto solo gli sprazzi dell’assurda
realtà di quel tipo di ammalati! Mauro era stato sfortunato, come molti altri
là dentro; ammalarsi di quel tipo di malattia in quegli anni, era in pratica
ritornare al medioevo, quando gli ammalati di lebbra portavano la campanella al
collo, per avvertire i sani del loro passaggio!
37
Leda e Mauro rimasero di nuovo
da soli, ora potevano ignorare di nuovo il mondo parallelo che anche quando
incontrava la sofferenza, continuava a scorrere parallelo per i fatti suoi! Non
parlarono per nulla della cosa accaduta pochi istanti prima, perché era, non
solo inutile e doloroso, ma soprattutto perché toglieva del preziosissimo tempo
a loro due, che ne avevano così poco; solo due giorni! Con grande fatica Mauro
parlò a Leda degli anni più difficili della sua vita, quando scriveva o quando
registrava, ne aveva parlato pochissimo, accennandolo appena nelle sue poesie.
Volutamente, si era riservata la possibilità di farlo di persona, perché dire
certe cose così forti, senza avere la persona alla quale le stai confidando di
fronte a se, faceva paura a Mauro! Lui voleva “vedere” il volto di Leda, con le
sue espressioni mutanti, per capire ”come dire” certe cose! Solo le espressioni
che avrebbe fatto Leda, gli avrebbero dato la possibilità di capire, come dire
certe cose, così intime e personali, lui ci teneva tanto a confidarle a Leda!
Parlò tanto dei suoi fratelli, del non rapporto che aveva con loro, tranne
Giorgio e Flavia, parlò dei suoi anni bui nella droga, e del suo amore non
corrisposto vissuto e finito male con Angelo. Mauro si rendeva conto, che
poteva dire tutto alla sua amica, le espressioni accoglienti e lo sguardo
amorevole di lei, lo fecero sentire praticamente al sicuro! Era come riavere
indietro per due giorni sua madre, pronta ad ascoltarlo senza giudizio e per di
più con quell’amore incondizionato che hanno tutte le madri del mondo! Era
l’ora del pranzo, e quando entrò l’addetto ai pasti, anche Leda ricevette il
suo pranzo, che tenne in caldo nel frattempo. Aiutò Mauro a sedersi nel letto e
dopo averlo convinto a mangiare almeno la carne, gliela tagliò piccola piccola,
come faceva quando aveva i suoi figli di pochi mesi; poi la mela cotta, e in
fine Mauro le chiese < per favore puoi aiutarmi Leda! Se non lavo i denti,
non riesco a riposare!> Leda sorrise, ricordando la pignoleria dell’igiene
che aveva il suo amico; si attrezzò, con catino, bicchiere d’acqua e
spazzolino. Rise di cuore, alla meticolosità di Mauro nel spazzolarli per
almeno un minuto! E Mauro nonostante la situazione per nulla divertente,
sorrise anche lui, mostrando i suoi candidi denti, tenuti perfettamente! Mauro
voleva ancora parlare, ma Leda lo convinse a chiudere gli occhi e riposare un
po’, così anche la febbre sarebbe scesa del
tutto, e quando si addormentò, anche Leda, dopo aver pranzato, lo fece
nel lettino a fianco, che era a disposizione di chi assisteva il malato. Il
primo pensiero che passò nella mente di Leda, quando finalmente stanchissima si
stese, andò alla sua casa e ai suoi affetti : < Spero tanto che non siano troppo
preoccupati, a loro posto, in tutta coscienza io lo sarei!> Quella mattina,
dall’ospedale li aveva chiamati e rassicurati, ma prima ancora di loro, aveva
rassicurato Mauro, che con apprensione le aveva detto: < Ora che esci da qui va direttamente al
telefono a gettoni in fondo al corridoio, non fermarti a parlare con nessuno e
metti il fazzoletto di carta sulla cornetta! Poi , appena rientri lavati bene
le mani mi raccomando!> Leda aveva riso davvero divertita, anche Mauro
faceva la madre con lei! Pensava a tante cose Leda, stesa su quel lettino,
mentre sentiva il respiro leggero di Mauro che era finalmente sfebbrato. Addirittura
le venne in mente che poteva essere lei, in quella stanza a essere distesa per
le stesse ragioni di Mauro! Pensò che spesso la vita, sia solo un grande colpo
di fortuna o di sfortuna; pensò che non sempre i comportamenti umanamente
sbagliati, potessero creare l’occasione della disgrazia! E lo pensò per
cognizione di causa; perché il bambino di dieci anni, nella quarta stanza del
corridoio, aveva l’aids solo perché era dializzato da anni! <Com’era
possibile pensare, che queste persone si meritassero di soffrire della malattia
che avevano?> Fra tutte le cose più ingiuste e cattive, che si potevano dire
in quegli anni, questa era la più tremenda di tutte! Per fortuna era davvero
stanca, visto tutte le emozioni alle quali era stata sottoposta quel giorno, e
il sonno vinse anche su di lei.
La città di
Palermo si presentò al suo sguardo più attento, mentre la macchina di Alessio
che era venuto con Silvia a prenderla, la portava a casa di Flavia. Era una
serata gradevolmente tiepida del 5 Aprile, Leda osservava le strade del centro
storico, i palazzi dall’architettura barocca, le strade alberate, la marea di gente,
i negozi aperti fino a tardi. Per lei, abituata a vivere in un piccolo paesino,
quella città pur essendo incredibilmente bella, le dava un senso di non
appartenenza. Non tanto perché lei non era di quel luogo, bensì per la sua
immensità, per il suo caos, e le migliaia di persone che lo affollavano; dando
la sensazione a chi la viveva, di essere uno fra i tanti! Cosa che non accade
mai nei piccoli centri, perché in pratica ci si conosce tutti da sempre! Leda,
poteva sembrare un’adolescente che lascia il suo paesino, per andare alle
scuole superiori nella città più vicina. Sentiva la nostalgia dei suoi figli e
di suo marito, ma sentiva pure il desiderio grande, che risorgesse presto il
sole, per essere di nuovo da suo fratello Mauro, aveva un senso di divisione
interna che l'era incomprensibile! Fu accolta con molta cordialità ed anche con
qualche risolino d’imbarazzo, le nipotine più piccole di Mauro, non l’avevano ancora
ben collocata in quell’ambiente! < Sei l’amica dello zio Mauro? I capelli
biondi sono veri?Quanti anni hai? E i tuoi figli sono piccoli o grandi? Il tuo
paese è davvero così bello come dicono in tv?> Domande ingenue, sorrisi di
ragazzine allegre, che non avevano capito molto della situazione drammatica
dello zio? Forse perché tenute allo scuro di tante cose? Chissà!!> Leda
dormì nel lettone grande con Flavia, e suo marito Salvatore sul divano della
sala. La casa di Flavia era molto grande, sulle mura prevaleva il color rosa
antico, e le terrazze avevano le tende da sole, fatte di fine canna, Leda non
vide di più. Dopo avere parlato con Flavia della situazione di salute di Mauro,
che era compromessa seriamente, si addormentò come un sasso. La svegliò il
profumo di caffè che veniva dalla grande cucina, e in un primo momento, il
rumore del traffico sotto il balcone; s’infilò la vestaglietta di seta rosa,
che si era comprata per l’occasione di quel viaggio e si alzò. Una frugale
colazione sotto gli occhi sarcastici del marito di Flavia, Salvatore, che la
guardava come se avesse due teste, e le ventose al posto delle orecchie. Agli
occhi suoi, forse, una che si dava tanto da fare per un perfetto estraneo
malato di peste, poteva solo essere un’aliena! Nei suoi modi di falsa cordialità, i suoi mezzi
sorrisini, era questa propria la sensazione che dava a Leda! Lei ricambiò le
sue gentilezze e il suo modo sarcastico di squadrarla da capo a piedi, con il
sorriso che di solito si offre ai deficienti, e appena pronta, fu in macchina
con Flavia. Era Domenica, e mentre era in macchina, alla luce del giorno,
potette ammirare molto meglio le bellezze della città. Con il primo sole, Palermo
offriva allo sguardo un’apertura totale; i carretti ricolmi di pane fresco,
facevano capolino dai vicoli, e le voci del mercato che era a pochi passi dalla
casa di Flavia, la Vucciria, le arrivarono chiare. Mentre la macchina avanzava,
dai vetri aperti, si sentiva il profumo del pane fresco, era davvero buffo che non
venisse dai negozi, ma dai carretti trainati a mano dagli ambulanti e le sembrò
così strano che il pane si vendesse in strada, <a tutte le ore, compresa la
Domenica> le disse Flavia. Un misto fra il moderno e la tradizione si
fondeva nella città grandissima, e Leda bevve tutte le cose che lo sguardo
riuscì a catturare, aveva da raccontare tante cose ai suoi cari, quando sarebbe
tornata a casa; aveva solo quel giorno, domani avrebbe lasciato il suo amico
forse per sempre! In assoluto questo pensiero infausto non passò dalla mente di
Leda, mai! Mauro si era raccomandato con lei, la sera prima che andasse a
risposare a casa della sorella, di farsi accompagnare nella sua casa in via
Maqueda il mattino dopo, prima di andare da lui. Ci teneva tanto che lei la
vedesse, in fin dei conti, se non fosse precipitata la situazione così
velocemente, era là che sarebbe dovuta andare Leda! Flavia parcheggiò la
macchina un po’ lontano, poiché non c’era posto, e Leda fece quella antica e
lunghissima strada a piedi. Le sembrava di ripercorrere gli scenari immaginati
da lei, mentre Mauro le raccontava le cose, tramite gli scritti e le
registrazioni. Era come aver letto un libro, essersi fatta una scena personale
delle cose che leggeva, nella sua mente, per poi ritrovarsele dal vero, e tutto
era diverso. Per il semplice fatto, che sia nel bene sia nel male, la realtà
non è mai simile alla fantasia! Poteva sentire gli odori, sentire i rumori, e
quel linguaggio dialettale, che raramente aveva sentito da Mauro, che tendeva a
parlare sempre in italiano; tranne piccoli momenti, dove l’accento prevaleva per
forza. Accedette al grande portone
antico del palazzo, dove abitava l’amico, salì la lunga scala di pietra che
portava al terzo piano senza ascensore, ed entrò nella casa di Mauro. Aveva con
sé una piccola macchinetta fotografica, che le aveva imprestato Lina, Mauro le
aveva dato il consenso di fotografare la sua casa, perché sapeva che Angelica,
Riccardo e Massimo, erano curiosi di conoscere la casa di zio Mauro almeno in
foto. E quando Leda, varcò la soglia della sua casa, tutto quello che aveva
sempre immaginato, nei racconti di Mauro, fu sotto i suoi occhi, con una luce
totalmente diversa! Sembrava la casa di una ragazza, aveva un aspetto
incredibilmente lindo e profumato, prevalevano i toni del bianco e del giallo.
A Leda, abituata alla sua grande casa antica, con le stanze di sei metri per quattro,
le sembrò essere nella casa delle bambole. Tutto era in ordine, nessuna cosa
era fuori posto, < forse in quest’ordine così meticoloso vi era la lettura
del grande bisogno che aveva Mauro di mettere finalmente ordine nella sua vita?>
Leda se lo chiese! L’entrata era un piccolo quadrato con uno specchio a parete
finemente lavorato ai bordi, un’applique alla parete, fatto di terracotta,
sosteneva una lampadina tonda, due mensole di legno chiaro, sostenevano libri e
una piantina di edera rampicante, che cadeva a pioggia nell’angolo. Una piccola
porta vi era, di fronte all’entrata quadrata, che immetteva nel piccolo soggiorno,
cucina di Mauro. Flavia faceva strada, e Leda dietro di lei, procedeva con
passo cauto, come se temesse di fare disordine solo a guardare quel piccolo
mondo. Una veneziana bianca divideva il soggiorno dalla cucina, che era
piccolissima, ma alla quale non mancava nulla, piccoli oggetti sul lavello,
colorati, semplici e ancora lucidi dall’ultima lavata. Vide la credenza di
legno antico di sua madre, il tavolo di marmo assemblato alla base, dalla
macchina per cucire della Singer, e sorrise a quel ricordo della descrizione
che le aveva fatto Mauro. L’amorino a due posti dove si stendeva il suo amico
insieme a Tatù a guardare la tv, aveva sopra una copertina di cotone, con
disegni astratti, dal bianco al celeste e il nero di fronte c’era la piccola
televisione e il famoso bauletto blu del quale Mauro le aveva parlato; dove
conservava tutte le sue cose. Quadri astratti, coloratissimi, piante appese dal
soffitto, con altra edera rampicante, e poi … vide le farfalle che lei gli
aveva disegnato, colorato e intagliate! Le fu impossibile non emozionarsi,
vedeva con i suoi occhi, quanto era reale la sua presenza nella casa di Mauro!
Nella seconda stanza, un po’ più grande vi era una camera da letto minimalista,
un grande letto senza ossatura, come testata vi era, un immenso arazzo tra
l’argento opaco, l’oro e l’azzurro indaco; e il suo Rosario dai grandi quadrati
in ciliegio appeso sotto di esso. Le foto della mamma, del papà e anche di suo
padre! Infatti, Mauro glielo aveva detto che lo avrebbe messo insieme ai suoi
cari, e la cosa le fece ricordare l’emozione che le diede, quando seppe di
questa parentale delicatezza! Vicino al balconcino della camera, vi era una
piccola scrivania, con una sedia bianca dalla seduta in tela gialla, su di essa
vi era una grande cartella gialla, ove forse teneva tutta la corrispondenza;
Leda non lo apri di certo! Un armadio scompariva nel muro, si vedeva appena la
maniglia, che troneggiava nel mezzo della parete tutta bianca. Poi la
cassettiera, bianca anch’essa, con sopra dei profumi, la statuetta di un angelo
ai piedi di una mamma e il libro Notte Infinita di Romano Battaglia. Il
pavimento bianco crema, uguale in tutto il piccolo appartamento, era lucido
come se avesse la cera, il bagno, al quale si accedeva dal tinello cucina era piccola
e ben organizzato, tutto lindo, con profumi, dopobarba, saponette allo zolfo,
di fronte ad uno specchio quadrato, luccicante e pulito. L’unica nota
scordante, era quel grande contenitore di varechina, accanto al water, < e
sì, per Mauro era davvero un’ossessione, l’igiene!!> Si disse nella mente
Leda, sorridendo. Fece tutte le foto che desiderava, poi si sedette
sull’amorino con Flavia, che conversò con lei, di tante cose che riguardavano la
vita passata e presente di suo fratello; e mentre Flavia raccontava e le
mostrava delle foto, Leda ogni tanto guardava l’uscita del balconcino, di
fronte al divanetto, ombreggiato dalla stessa tenda da sole di canna sottile
che aveva Flavia a casa sua. Poi vide il papiro gigante, con dei fioroni enormi
di un verde vivace, la pianta di
malva e i balconi di fronte, dove
spiccavano squillanti i colori della Bouganville e i Gerani. Mancava all’appello
solo Cipì e Tatù, e se ci fosse stato anche Mauro lì, sarebbe stato tutto
perfetto! Era quasi uguale a come si era costruita nella sua testa, in tutti
quei mesi epistolari, la scenografia del suo libro mentale! La differenza, stava negli odori della casa e
nei suoni, lassù, aveva notato non ne arrivavano quasi; esclusa la campana della
chiesa più vicina, la solitudine era il suono più acuto che ci fosse! Presero
un caffè, misero in ordine, e poi a Leda le venne un’idea! < Quale cosa più
carina e simpatica poteva fare per il suo amico, al suo ritorno a casa? > Leda,
ci credeva davvero che sarebbe ritornato a casa, e che sarebbe di nuovo
ritornata, con la sua famiglia a trovarlo! Prese dalla borsetta, uno di quei
piccoli taccuini gialli, che hanno i foglietti con un leggero strato di colla a
un alto, ne tirò via cinque, e in ognuno scrisse una frase affettuosa di buon
rientro a casa per Mauro. Prima di andare via, con la complicità divertita di
Flavia, che apriva anche lei, in questo modo il cuore alla speranza, Leda
incollò in giro per casa questi messaggi di benvenuto, e poi si chiusero la
porta alle spalle, pronte ad andare da Mauro in ospedale. Quando le due donne
entrarono nella stanza di Mauro, lui era seduto in mezzo al letto, con tre
cuscini dietro le spalle, aveva il pigiama pulito di fresco e un bel sorriso
stampato sulla faccia. < Ti è piaciuta la mia casina Leda? Avete messo
l’acqua al papiro gigante?C’è odore di chiuso? > Così iniziò quella Domenica
del 6 Aprile, l’ultimo giorno che li avrebbe visti insieme, senza il supporto
di quel filo fortissimo e invisibile, che si sarebbe poi riteso, appena
sarebbero ritornati, a essere epistolari. Flavia si trattenne poco tempo,
salutò il fratello e andò a casa, e quando rimasero soli, Leda sedette a un
angolo del suo letto, pronta ad ascoltare, ciò che Mauro avrebbe voluto dirle
la sera prima, quando aveva la febbre troppo alta e lei lo invitò a desistere.
Lo sguardo di Mauro su di lei, era carezzevole e gentile, quasi la guardava
come se fosse una cosa fragilissima, da tenere con estrema delicatezza, Leda se
ne rese conto, e di getto gli domandò < Perché mi guardi così?> Mauro
allungò una mano a sfiorarle i lunghi capelli biodi, ma la lasciò cadere sulle
coltri, era troppo debole per tenerla sollevata, poi piangendo commosso le
disse: < Dolcezza mia, insostituibile amica, sorella, madre e confidente,
non puoi neanche immaginare quanta tenerezza c’è nel mio cuore per te, e quanta
stima ho della tua persona, quanto mi è
cara la tua anima buona e sensibile! Tu mi hai sempre ringraziato, per meriti
che io non riconosco o che forse non vedo, Ma tu hai idea del bene che mi fai
con la tua spiritualità e la tua semplicità? Grazie a te Leda e a Dio che ci ha
fatto incontrare! Grazie a te, oggi il mio cuore è così pieno di sentimenti! E
sempre grazie a te, che il mio cuore trabocca di amore e di speranza! Che Dio
ti benedica Leda mia! Non ho parole per esprimerti ciò che sento dentro di me,
in questo momento molto particolare! Sta succedendo quello che ho sempre
desiderato Leda! Sto cominciando ad avere fede, ma non come quella che credevo
di avere, ma qualcosa di incontenibile, che mi fa mancare il fiato!! Tu sei la
mia guida spirituale, tu mi stai insegnando la strada; e la cosa magica è che
non so’ come stia accadendo! In qualche modo, tu mi stai aiutando a capire, a
conoscermi meglio! Perché, come dicevo alla mia psicologa, io non so ancora chi
sono realmente, ed ho una grande confusione dentro di me!! Adesso, comincio a
vedere qualche spiraglio Leda! Ringrazio Dio che mi ha mandato te amica mia!
Sai in questi ultimi giorni qual è stato il mio pensiero più costante, grazie a
te Leda? Il desiderio di servire Dio, per davvero nella mia vita, ove fosse
possibile vivere ancora! Io desidero ardentemente di diventare monaco, credimi
Leda, è vero!Tu amica mia, che continui incrollabile nella fede, a darmi speranza
e a farmi credere in qualcosa, che a rigor di logica sembra impossibile! Come
si suole dire “la speranza è l’ultima a morire”e se ne avrò tanta, passeranno
ancora molti anni, prima del mio “passaggio”devo mantenere una promessa! Non ho
paura di usare questa parola Leda, e te la dico senza timore di essere
frainteso, perché Dio mi legge nel cuore, ti amo sorella cara, Dio ti benedica Leda,
e sia sempre con noi !> Leda guardava gli occhi pieni di lacrime di Mauro,
sembravano due gemme di smeraldi profondi, così immensi quegli occhi!Non li
avrebbe dimenticati mai più! Non c’era dolore in essi, al contrario, un’autentica
felicità che lo avvolgeva tutto, e si domandò come era possibile, che potesse
essere stata lei l’artefice di tale stupendo pensiero sulla sua vita futura; e come
era possibile che Mauro avesse di lei una considerazione così grande!
L’abbraccio che si scambiarono ancora una volta, chiuse forse quel cerchio, che
rese complete le loro vite spirituali in evoluzione, ognuno a proprio modo e
per ragioni diverse, chiuse quel cerchio che spesso si deve chiudere! Nulla si
può contro il destino, i compromessi non sono ammessi!! Leda non si riconosceva
in quella creatura che Mauro le aveva appena descritta, ciò che pensò, è che la
fanciulla di luce, dai lunghissimi capelli bruni, l’aveva guidata ad ogni passo,
e che il risultato nato nel cuore di Mauro oggi, era il Suo intervento,
magicamente trasmesso attraverso lei; tutto qui! Lo pensò, ma non lo disse,
perché intuiva che Mauro non sarebbe stato d’accordo, ed era troppo bello
vederlo felice ora, glielo avrebbe detto quando sarebbe ritornato a casa: <La
chiamata a una vita di fede, la fa solo Dio, e non un fragile essere umano!
> Quell’ultimo giorno che li vide insieme, fu bellissimo e radioso come
l’estate dell’anima, quando è benedetta da Dio! Fecero anche la Comunione
insieme, quando il prete venne a dire messa nella stanza di Mauro, c’era una
magia di fiducia, amicizia sincera e
ottimismo, che li avvolse; in quell’incoscienza che hanno solo i bambini o i santi, quando credono fermamente
nei miracoli!! Pranzarono insieme, Leda sul tavolino e Mauro a letto, aveva
provato ad alzarsi, ma era stato impossibile! Nel pomeriggio Mauro si
addormentò sereno, era come se la presenza della sua amica, cancellasse in lui
ogni dolore fisico e ogni timore! Mentre Leda riposava sfogliando una rivista
stesa sul letto a fianco, Mauro parlò nel sonno. <Leda sei sempre qui? Mica
sei andata via? Sei qui davvero, vero? Non è stato solo un sogno! Leda ci sei?
Leda ci sei?> La voce divenne un po’ più alta e Leda capì che Mauro stava
sognando e la febbre cominciava a salire di nuovo. Si alzò dal letto, scosse
leggermente la spalla di Mauro dicendo: <Sta tranquillo sono qui
davvero!> < dio che brutto sogno! Ho sognato un uomo cattivo che mi
derideva, dicendomi che tu non c’eri, che ti avevo solo sognato!> Leda gli
sorrise provando in cuore, la stessa tenerezza che provava per i suoi figli
quando facevano un brutto sogno. Prese fra le sue, la mano dell’amico, e lo
esortò a richiudere gli occhi, lei era lì, e mentre dormiva gli avrebbe tenuta
la mano, così l’uomo cattivo sarebbe andato via! Leda osservava la lunga e
magrissima mano di Mauro, il suo anello del santo Rosario d’oro, spiccava su
quel pallore, lo aveva messo al medio per paura di perderlo, e mentre lo
guardava, ricordava le parole di Mauro, quando le disse: < Ti può sembrare
strano Leda, ma mi tiene molta compagnia! Sai come si fa con gli anelli, te lo
giri e lo rigiri con le dita, poi lo prendi in mano, sgrani le protuberanze
d’oro e preghi le dieci Ave Maria e il Padre Nostro. E’ una cosa davvero bella
Leda, sembra una presenza che ti tiene compagnia dentro!> Quando fu certa
che egli aveva ripreso sonno, si alzò, avvertì l’infermiera per la febbre che
saliva, prese le cose che le occorrevano e rifece le spugnature fredde. Il
medico arrivò un po’ più celermente questa volta, non lo visitò neppure, gli
sentì soltanto i battiti dei polsi, e quando giunse la sera e si avvicinava il
tempo della partenza di Leda, sul volto di Mauro era sceso un velo di tristezza
che sembrava palpabile. Somigliava tantissimo al Cristo Velato nella scultura
marmorea
di Giuseppe Sanmartino. I momenti lieti, anche se
può sembrare assurdo tale definizione, in un ambiente simile, scorrono veloci
come i pensieri, l’ora di andare via venne e quando si salutarono, non si
dissero un granché! Leda gli promise che sarebbe ritornata insieme ai suoi
cari, appena fosse ritornato a casa. Non parlarono mai della possibilità, molto
concreta, che non si sarebbero visti mai più su questo mondo! A volte davvero
bastano solo gli sguardi per parlarsi dentro, non c’è bisogno di altro per
capirsi! Il loro saluto, fatto solo di sguardi rassicuranti, sorrisi amorevoli
e fiduciosi, fu il discorso più intimo che si può avere sulla terra, prima che
una delle due creature, lasci questa vita per divenire davvero un angelo blu!
38
La febbre
tormentava Mauro durante la giornata, era diventato un rito l’entrata del
medico affiancato dall’infermiera e la scena era sempre la stessa. L’infermiera
sollevava la maglia intima e aiutava Mauro a sedersi in mezzo al letto, e il
medico guantato e bardato come pronto per lo spazio, sfiorava con lo strumento
il petto e le spalle di Mauro. Non c’era una cura per quello che stava
accadendo, ai polmoni, alle ossa e al cuore di Mauro, gli erano somministrati
farmaci endovena che tenevano a bada solo la sofferenza, per quanto a quei
tempi fosse possibile! Da quando Leda, si era chiusa alle spalle quella pesante
porta, Mauro aveva interagito con gli altri poco o nulla, era come se avesse
chiuso quel cerchio che metteva un punto a questa vita, per cominciarne
un'altra! Interagiva solo con sua sorella che andava a trovarlo per poche ore
durante il pomeriggio, e alla quale Mauro parlava di Leda e della sua venuta,
delle sue impressioni meravigliose che aveva provato, e che ancora lo
accompagnavano durante la dura giornata, fatta di sofferenze fisiche, che lo
stavano sfiancando sempre di più. Le raccontava, come quella donna lo aveva
reso felice, nel fargli scoprire il desiderio di servire Dio, semmai fosse
riuscito a vivere qualche anno ancora. Le raccontava, che aveva scoperto che ci
sono persone che amano amare e aiutare gli altri, senza chiedere in cambio
nulla! Le diceva che sentiva tantissimo la mancanza di Leda, con la quale non
poteva più comunicare, ma Leda sarebbe ritornata, e lui programmava con Flavia,
la sua venuta, questa volta a casa sua, e tutto sarebbe stato più bello,
lontani da quel lazzaretto. Tutti, compreso Mauro, sapevano benissimo che quel lazzaretto
sarebbe stato l’ultimo posto che avrebbe visto, prima di andare dall’atra
parte; ma a tutti, piaceva pensare diversamente! Questi atteggiamenti, credo
che siano normali, poiché evidentemente, sono la miglior difesa a certe
sofferenze dell’anima, che sono davvero insopportabili! Mauro restava solo in
quella stanza per la maggior parte della giornata, e la notte lo era sempre; ma
a differenza di prima, quando Leda ancora non era andata a conoscerlo, quella
solitudine, fatta di sudore dolore e paura, si era stemperata. Il volto di
Leda, la sua voce, le sue amorevoli mani sulle sue, ancora erano lì a
sostenerlo in qualche modo! Era una sensazione che Mauro provava dentro di sé, pur
non vedendola, la sentiva presente! E quando la febbre maligna ritornava a
essere alta, e le coperte non bastavano a riscaldarlo, Leda diveniva presenza
visiva vicino al suo letto. Ora lo teneva fra le braccia, cullandolo come un
bambino, ora gli parlava a voce calma e dolce, raccontandogli la storia della
fanciulla di luce dai lunghi capelli bruni, ora combatteva contro il drago, per
difenderlo dai suoi feroci attacchi. La donna, che secondo lui, lo aveva
portato a pensare di scegliere la strada del Signore per servire gli altri, se
ce l’avesse fatta a vivere ancora qualche anno, era sempre al suo fianco. Quel
filo sottile e resistente che correva nell’etere era così teso e fortemente
radicato nella sua anima speranzosa, che una persona un po’ più attenta e
sensibile, avrebbe anche potuto vederlo! In quei giorni difficili, infatti, a
Flavia era capitato di vederlo, sia per come reagiva suo fratello alla
malattia, e sia per le continue telefonate di Leda, in ospedale, quando c’era
lei, e a casa quando ritornava la sera e le faceva il resoconto della giornata.
Non si poteva più scrivere né lettere, né registrare cassette o discorrere al
telefono, Mauro non era in grado di muoversi dalla sua posizione supina, e il
tutto avveniva attraverso Flavia, che faceva da tramite; ecco perché il filo
era riuscito a vederlo anche lei! < Flavia, domani passerai da casa mia a
innaffiare il papiro gigante e la mia salvia? Apri un po’ anche le imposte,
così entra aria, non vorrei vi fosse odore di chiuso quando ritornerà Leda!>
Flavia gli sorrideva quasi maliziosa quando suo fratello le parlava di lei, le
sembrava di vedere in suo fratello, quella (normalità) che erroneamente credeva
ci doveva essere in lui. Si commetteva questo errore di ignoranza allora, anche
se purtroppo, ancora oggi si ripete quasi con la stessa frequenza lo stesso
errore di chiusura mentale! Credere normali gli etero e anormali gli
omosessuali o le lesbiche è un atto omofobo ancora molto radicato purtroppo
nella mente della massa! Raramente si riusciva a comprendere sia allora sia
oggi, che l’amore amichevole e fraterno, non toccasse per nulla la sfera
sessuale, ma semplicemente quella dell’anima! Era difficile da comprendere quel
loro rapporto così forte e amorevole, che non aveva avuto bisogno di conoscenza
fisica per divenire così forte e profondo; tanto da rendere più sopportabile
anche il dolore di una malattia così cattiva! Mauro si rendeva conto del
significato di quei sorrisi compiaciuti di Flavia, quando parlava della sua
amica, ma non ci badava, tanto nessuna spiegazione sarebbe servita per farlo
comprendere, lui era felice e basta! Di cosa potevano pensare gli altri,
arrivato ormai alla conclusione del suo passaggio terreno, non gli importava
proprio nulla!! Era la fine di Aprile del 1991 e l’aria era così tiepida e
gentile che anche tutte le cose, i colori e le creature sui tetti, sembravano
avere la stessa gentilezza nel vivere intorno ai palazzi antichi di via
Maqueda. Cipì era sempre lì, solo un po’ più vecchio, mentre volava sui
balconi, questa volta intento però anche a procurarsi il cibo per i suoi
pigolanti uccellini che avevano appena rotto il guscio. Sembrava guardare con
curiosità, quella alta e bella donna bruna, che dava l’acqua al papiro gigante
che lui tanto adorava, come piccolo stagno per le sue piume da lucidare.
L’orecchio del cuore, di una persona non comune, avrebbe potuto sentire quasi
le sue domande:< E quel ragazzo alto alto e magro che fine ha fatto? E il
gatto bianco dagli occhi celesti come il cielo in cui volo, che gli era sempre
fra le gambe mentre camminava dove era andato a finire? A dire il vero, non mi
dispiace che non ci sia più il suo amico peloso, dovevo sempre guardarmi le
spalle mentre andavo a bere e a fare il bagnetto a sbafo!> Aspettò che il
vaso del papiro gigante fosse ben pieno, che la donna richiudesse le imposte, e
volò veloce e allegro come sempre nel suo stagno privato a ristorare le piume e
il becco. Un leggero spostamento dell’aria, mentre Flavia chiudeva l’imposta
del piccolo tinello, fece svolazzare le farfalle intagliate di Leda, che erano
sotto la pianta di edera attaccata al soffitto, mentre un piccolo foglietto
giallo chiarissimo, svolazzò nella stanza fino a posarsi sul marmo del tavolo,
assemblato alla macchina Singer. < Ben tornato a casa amico mio! Ti voglio
tanto bene, presto tornerò!> Flavia lo raccolse sorridendo, mentre ricordava
il giorno nel quale aveva aiutato Leda a incollarli in tutto l’appartamentino. E mentre faceva il gesto di raccoglierlo,
leggerlo e ricordare, nel riporlo allo stesso posto dove lo aveva incollato
Leda, una leggera morsa le chiuse la gola; era uno spontaneo sentimento di
tristezza e dolore che stava provando:
< Mio fratello non tornerà mai a casa per leggerli, devo dirglielo che Leda
gli ha lasciato in casa, nascosti, come una caccia al tesoro, i suoi benvenuti
di affetto?> Ci avrebbe poi riflettuto meglio nei giorni a venire, Flavia
non diceva tutta la verità a Leda quando le telefonava, le sembrava giusto, perché
era lontana e impossibilitata ad andare da suo fratello, mitigare un po’ la
realtà sulla grande sofferenza fisica di Mauro e il suo evidente aggravamento,
era un atto di affetto verso l’amica del cuore di suo fratello. Finché avesse
potuto farlo, in coscienza, lo avrebbe fatto! I giorni passavano veloci e
Flavia era convinta che Leda avrebbe fatto in tempo a ritornare, anche se
sicuramente sarebbe dovuto riandare al lazzaretto e non in quella piccola e
luminosa casetta. Purtroppo nessuno dei tre aveva tenuto conto, dei diversi
piani del destino, che spesso lavora contro tutti i progetti che l’uomo si
costruisce senza tener conto di essi! Leda dal canto suo, non aveva detto a
nessuno dei due, che stava avendo dei grossi problemi di salute, che la
costringevano a rimandare la partenza di almeno due settimane. Quando fu
costretta a dirlo a Flavia, capì subito dalla breve pausa che fece lei al
telefono, che le cose non erano così tranquille come lei, tentava di descrivere
riguardo alla salute di Mauro! Per chi è realmente legato da un sentimento che
va oltre l’umano, non è difficile, infatti, leggere in un attimo di silenzio,
il leggero imbarazzo di una pietosa menzogna! Mauro era stato messo in coma
indotto, da cinque giorni, e Flavia, non potette più non sostenerle la verità.
Il mondo liquido dove era Mauro adesso, lo trasportava verso i giorni felici
della sua prima infanzia, e alcune volte, sia Flavia sia Giacomo, quando gli erano
accanto, potevano osservare un impercettibile sorriso disegnato agli angoli
della bocca esangue e pallida. Flavia lo diceva spesso a Leda, infatti, che suo
fratello incredibilmente le sembrava felice!! Nonostante l’aggressività dei
vari tumori che lo consumavano, Mauro spesso sorrideva, come se già stesse
vivendo la sua nuova vita, senza più il peso di quel corpo tormentato. La
terapia del dolore era abbastanza efficace, quel sistema del coma indotto era
la migliore panacea per aiutarlo nel passaggio. C’era solo un momento, che
durava lo spazio di pochi minuti, che il suo volto denunciava l’atroce
sofferenza che lo fasciava, durava giusto il tempo che il lavaggio fosse
cambiato, quando la boccia di vetro si svuotava. Da sotto le folte ciglia brune,
girate all’insù, correvano lucenti lacrime che gli rigavano il volto emaciato
dal male, ma poi il liquido ricominciava a correre nelle vene e Mauro ritornava
a sorridere impercettibilmente agli angoli della bocca! Ecco il carrettino del pane, trainato
dall’ambulante, il piccolo Mauro attaccato sul suo retro, mentre rubava il
panino con la farina gialla e il cumino o il sesamo; gli rimaneva sempre attaccato
agli angoli della bocca e sulla punta del nasino, quando addentava il panino
caldo! Ecco le grida dell’ambulante che se ne accorgeva, e Mauro che si
lasciava cadere sul selciato sbucciandosi le ginocchia, mentre correva su per
le scale a farsi medicare da sua madre! Un rimprovero poco convinto di sua
madre, e un abbraccio, mentre a gambette aperte e con il visetto contro il suo
seno, si lasciava cullare da sua madre che era sulla sedia di fronte al balcone
arrugginito, mentre rammentava i calzini della sua grande cucciolata! Ecco i
tuffi dagli scogli, delle isole delle femmine, quando i suoi fratelli lo
tenevano sulle spalle, con le gambette tese in verticale, e quando l’acqua
arrivava al torace di Giacomo, dopo una spinta poderosa, lui volava in cielo
per poi cadere a candela nelle acque argentee del mare! I déjà vu erano così nitidi e brillanti, così veri e
palpabili, che Mauro non era spettatore di una pellicola di film, ma era
proprio fisicamente nella scena, con tutti i sapori, gli odori e i sentimenti
che erano stati parte viva della sua vita. Persino i momenti più brutti, li
visse con lo stesso dolore e la medesima angoscia di allora! Quando per la
strada gli gridavano, mentre diveniva uomo, arrusu…
iarrusu…jarrusu, termini siciliani per definire gli omosessuali in senso
dispregiativo. Gli incontri sbagliati, gli amori non corrisposti, le stanze
fumose dei suoi amici, fra virgolette, con i quali dividevano la bestia che
correva nelle sue vene. Vide persino la sera, mentre dietro il vicolo della
discoteca si divideva la dose da iniettare nel braccio, con Fausto, del quale allora,
era innamorato perso! Quel déjà vu in particolare, gli diede la
risposta che aveva sempre cercato, quando si chiedeva, < Come l’ho contratto
il retrovirus?>. Lo consolò, per assurdo, quella rivelazione, poiché pensò
che non fosse stato un momento d’amore a dargli la morte, bensì la bestia alla
quale si era legato per un’assurda disperazione di non appartenenza, suggerita
dall’ignoranza altrui !! Risentì nel cuore, come fosse uno scoppio di sole in
mezzo allo splendido mare della Sicilia, l’amore che aveva provato per Angelo!
Quell’amore che lui credeva corrisposto, che visse momenti unici fino a
sbiadirsi di fronte alla cruda realtà dell’opportunismo e la menzogna! Provò
una gioia immensa per il suo cuore, che ci aveva guadagnato tanto, e un’immensa
tristezza per Angelo, che aveva perso un’opportunità preziosa, che forse la
vita non gli avrebbe regalato mai più! Un amore, assolutamente pulito!! Pur
essendo lui il protagonista in questo film reale e tangibile, in alcuni momenti
si sentiva al di fuori di esso. Vedeva tutto chiaramente, ed era una cosa
inspiegabile, il fatto che potesse osservare se stesso, mentre viveva la vita
terrena, come se fosse una persona diversa che somigliava a lui. E fu in quei precisi
momenti paranormali, che riuscì a vedere e a leggere nel cuore degli altri
nitidamente! Ogni sentimento, sia bello sia brutto, che riguardava i suoi
fratelli, i suoi amici e persino gli estranei che aveva incontrato durante la
vita, gli furono chiarissimi! Era una cosa incredibile, difficile da spiegare,
ma lui sentiva il malanimo, la pietà, ed anche il processo mentale di ognuno di
loro, che lo aveva ghettizzato per com’era e per come aveva vissuto! Fu in quel
preciso momento che sparì dal suo cuore,
ogni rancore, ogni rabbia sepolta nell’anima per tanti anni! Sentì per tutti
loro, pietà e amore senza riserve! Anche loro, si rese conto, ingabbiati
dall’ignoranza che partorisce solo preconcetti, avevano vissuto male la loro
vita!In un certo senso, anche loro erano stati, ed erano ancora soli; poichè
avevano perso grandi opportunità di evolvere l’anima, perpetrando sempre negli
stessi errori! Ed ecco ora i momenti della presa di coscienza, la vittoria
contro la droga, Rita Dalla Chiesa, dolce come un angelo, che gli tendeva la
mano per un aiuto concreto! E fra l’emarginazione e il dolore della solitudine,
rivedeva quel morbidissimo batuffolo di pelo, che aveva trovato nel vicolo
vicino casa sua. Tatù che faceva il buffone per farlo ridere, che gli carezzava
con la zampetta morbida il mento, la mattina presto, per pretendere la sua pappa! Il piccolo Tatù, che rincorreva Cipì
sul balconcino, mentre si spiumava nel papiro gigante che usava come bagnetto. Tatù
che si acciambellava sul suo petto e gli leccava le lacrime quando il dolore
usciva dalla sua anima come un torrente in piena! Risentì il sentimento dell’autocommiserazione
che donava a stesso, per darsi amore, ove nessuno riusciva a darglielo, perché
completamente assente! E poi… ecco spuntare il volto di Leda che lo
teneva per mano, lo abbracciava e cullava come una madre adottiva, una sorella
maggiore che lo amava senza pregiudizi né giudizi! La sentiva dentro di lui,
come un amore grande senza nessun tipo di corruttibilità umana, la vedeva come
una luce che lo aveva condotto a Dio, senza più nessuna paura del dopo! Si
rivide mentre scartava il pacco di Natale, infilava al dito il Rosario d’oro, appendeva
sotto il grande arazzo, la grande corona di ciliegio, che quel monaco aveva
donato a Leda da inviare a lui; in quel magico giorno della pioggia asciutta!
Rivide il presepe tridimensionale, intagliato da Leda, che aveva come
personaggi i suoi cari e come Bambino Gesù, sé stesso! Che tenerezza infinita
quell’idea di Leda!! Poi all’improvviso vide sé stesso nel letto dell’ospedale,
inorridì quando si guardò, c’era sua sorella Flavia e suo fratello Giacomo. Il
suo viso, era completamente ricoperto di piccole piaghe, la pelle era attaccata
al viso, bianca e raggrinzita, come una vecchia carta buttata e appallottolata per
poi essere riaperta nel tentativo di lisciarla!
39
Vide copiose lacrime uscire dai
suoi occhi infossati, sempre più grandi, ma chiusi al mondo e senza più luce. Flavia
seduta al suo fianco che piangeva accarezzandogli i lunghi capelli neri dai
riflessi ramati, ormai spenti anch’essi. Vide Giacomo appoggiato alla piccola
finestra della stanza, che lo guardava, era curvo nelle spalle, piangeva
tranquillo, quasi come se fosse sollevato. Tentò di parlare, voleva chiamarli,
per dire loro che lui stava benissimo e che si sentiva felice, ma nessun suono
usciva dalla sua bocca. E mentre fluttuava sul soffitto della stanza e tentava
di farsi sentire, sentì una leggera pressione al suo braccio destro, la
fanciulla di luce dai lunghi capelli bruni era lì al suo fianco! Sorrideva
radiosa come fosse un raggio di sole, e la luce era così forte, che la visione
della stanza, del suo corpo sofferente e il dolore dei suo fratelli sparì come
fosse stato cancellato da una grossa gomma invisibile. La mano che strinse la
sua, aveva una frescura indescrivibile, morbida come la seta; il suo tatto
immediatamente gli infuse dentro l’anima un amore che in vita sua non aveva mai
provato, neppure per sua madre! Dire che era felice, non esprimeva per nulla,
la reale sensazione che provava, era sublime quel contatto, si sentiva
finalmente sano, finalmente vivo come non lo era mai stato!! La fanciulla gli
sorrise ed era davvero incantevole, delicatamente lo trascinò da quel posto più
veloce di un battito di ciglia! Un secondo prima Mauro vedeva il suo dolore e
quello dei suoi fratelli, l’attimo dopo si ritrovò con Lei sul mare. Erano
tutte e due mano nella mano, ad una grande altezza, volavano così veloci, che
quasi non si notava lo scorrimento
veloce delle acque del mare sotto i loro piedi. Poi la fanciulla cominciò a
discendere e Mauro potette osservare, con grande emozione la vicinanza delle
acque del mare che quasi gli sfioravano i piedi. Risalirono così vicini, l’uno
all’altra verso le spiagge bianche, poi i tetti e le terrazze dei palazzi
antichi della stupenda Palermo. Ora si poteva vedere la striscia quasi argentea
dell’infinita strada di via Maqueda, sfiorarono i tetti e le mura con gli
intagli barocchi, fino ad entrare come attraverso un liquido impalpabile, penetrando
il vetro di una imposta al terzo piano. Ci entrarono con una facilità, che
lasciò Mauro stupefatto! Erano trasparenti eppure tangibili!! La fanciulla
sorrise quasi divertita del suo stupore, gli lasciò la mano, quando furono
nell’appartamento, era la sua casa, Mauro l’aveva riconosciuta solo in
quell’istante! Girò nelle sue stanze, che tanto dolore, solitudine ed anche
amore, avevano visto, fluttuando a pochi centimetri da terra; come se fosse un
cuscinetto invisibile di aria a trasportarlo dove voleva andare e non le sue gambe!
Mauro si era reso conto, che in quel nuovo stato di essere, non aveva bisogno
di muoversi realmente fisicamente, bastava avere una volontà, che si
trasformava in realtà senza muovere un solo passo fisico! Forse quando vedeva
se stesso, era solo perché ne conservava ancora la memoria terrena, ma in
realtà, ora si accorgeva che non aveva un corpo fisico, e che poteva volere le
cose solo pensandole, ed esse accadevano!! La fanciulla gli indicò alcuni punti delle stanze,
sollevando leggiadramente la sua piccola manina bianca e rosa, e Mauro si
accorse di quei foglietti gialli che Leda gli aveva lasciato incollati da un
bordo per tutta casa. Non ebbe bisogno neppure di leggerli, il loro significato
gli entrò nel cuore immediatamente; mentre nello stesso istante comprendeva i
piccoli messaggi, desiderò di riabbracciarla e rassicurarla sulla sua felicità
e la sua nuova esistenza. Fu allora che le stanze della sua piccola casa
scomparirono all’improvviso, e lui e la fanciulla di luce, si ritrovarono in
una grandissima casa antica dai soffitti alti quattro metri! Sulla terra erano
le cinque e un quarto di mattina, del 1°
Maggio del 1991, una donna minuta e bionda era supina sul fianco destro al
fianco di suo marito, dormivano in un grande letto. Lei apparentemente sembrava serena,
ma dal volto si capiva chiaramente che aveva passato parecchie notti insonni.
La stanza era molto grande ed aveva mobili scuri, era adorna di quei mobili che
furono moderni negli anni settanta. Mogano nero e acciaio satinato, con specchi
bianco fumo e luci rettangolari su ogni lato del grande letto, con al centro
della testata del letto, una radio di acciaio, contornata da velluto grigio
chiaro. Nella stanza attigua c’erano due ragazzi, una ragazza adolescente di diciassette
anni, ed un bambino di undici anni, che dividevano una stanzetta nuova di zecca
di palissandro chiaro. Tutta la grande casa era addormentata, fuori al grande
terrazzo che affiancava le stanze da letto, si sentiva il grido festoso dei
gabbiani, che cominciavano la pesca, volando prima alti nel cielo e poi rasenti
la superficie del mare. Mauro si disse che era in un posto simile al suo, dove
era nato e vissuto, e mentre pensava a dove poteva essere, si ricordò del suo
desiderio, mentre leggeva con gli occhi del cuore quei foglietti giallo chiaro.
Non era abituato a quella nuova situazione, gli sembrava tutto troppo
assurdamente bello per essere vero; ed ancora ogni tanto, pensava che fosse in
un sogno. Poi... sentì quella donna minuta piangere, mentre accorata, scuoteva
suo marito nel sonno dicendo: < Mauro è qui, lo sento! Mauro è morto
Massimo, svegliati! Mauro non c’è più! > Massimo si svegliò un po’
spaventato, nel vedere sua moglie così convinta di quello che diceva, e con una
infinita tenerezza l’abbracciò dicendole: < Non preoccuparti, è solo un
brutto sogno!> < No! Non è un sogno, Mauro non c’è più sulla terra! Io lo
sento, è qui nelle stanze, è venuto a salutarmi! > Non poteva sapere Leda,
che Mauro le stava carezzando il viso per consolarla in quel preciso istante e
per farle capire che lui ora era davvero felice! Eppure “ quel filo”
straordinariamente continuava ad esistere fra di loro! Leda, si alzò dal letto e come se fosse un
segugio, seguì la scia di profumo che le aveva inondata la casa e che aveva
avvertito solo lei! < Mauro sei tu?
Sei venuto a salutarmi?> Sembrava in preda alle visioni olfattive ed
epidermiche Leda, avvertiva che lui era lì! Venti minuti dopo, il telefono di
casa squillò, Massimo prese la cornetta perché era ancora a letto e vicinissimo
al telefono; era Flavia, ed il volto di Massimo sbiancò repentinamente, mentre
porgeva con il braccio tremante la cornetta a Leda, Flavia stava dicendo: < Mauro si è spento un quarto d’ora fa!
Prima di andare via, ha riaperto gli occhi per un istante, e piangendo quasi di
gioia è andato via sorridendo, era sereno! Gli ho messo fra le mani, la tua
grande corona di ciliegio rosso, Mauro ci teneva tanto, sarà con lui e lo
proteggerà per sempre!> La fanciulla
di luce dai lunghi capelli bruni parlò per la prima volta e la sua voce era
simile alla musica, gli disse: < Voltati figlio mio, guarda chi c’è!> Era sua madre, bella come quando si era
sposata con suo padre, aveva i capelli corvini e ricci, così lucenti che
sembravano contornati di stelle, gli sorrise felice e gli tese le braccia.
Mauro si sciolse in un pianto di gioia così profondo, che quasi le vibrazioni
di quel suono del suo nuovo mondo parallelo, giunsero a Leda! Infatti, lei era
nella sua cucina con il volto fra le mani mentre accoratamente versava le
stesse lacrime, senza nessuna gioia però! Leda, sentì che l’aria era elettrica,
sentiva chiaramente la presenza di quell’anima amata nella sua casa, ne sentiva
il profumo personale ed il calore del suo bene! E non poteva certo immaginare
che l’incontro con la donna in assoluto più amata dal suo amico del cuore, sua
madre, stava avvenendo proprio nella sua casa! Mauro aveva esaudito tutti i
suoi desideri, a soli trentatre
anni lasciava la terra. Una luce iridescente, fra l’argento e l’oro, avvolse
tutte e tre quelle creature che non facevano più parte di questo mondo, la
porta del mondo parallelo si aprì, per poi richiudersi alle spalle delle loro
essenze che continuavano a vivere senza più il pensiero sconosciuto della
morte! Mauro ora viveva la prova tangibile che non esiste la morte per lo
spirito delle creature viventi! Leda, inspiegabilmente, si calmò subito dopo
quell’avvenimento paranormale, che lei certamente non potette vedere; ma
evidentemente la sua anima sensibile sentì la gioia di Mauro e sentì anche il
suo abbraccio prima che se ne andasse via! Leda, sentì nell’anima una profonda
calma, smise di piangere e chiuse gli occhi; mentre lo faceva, sentì con le
orecchie del cuore la voce di Mauro che la consolava. Alle 12,00 precise il
postino bussò a casa di Leda, le consegnò una ricevuta da firmare, e poi le
diede una busta giallo ocra. All’interno vi era una foto che Mauro aveva fatto
in casa di Flavia, proprio per mandarla a lei. Ci aveva messo più di due mesi
ad arrivare a casa di Leda quella foto di Mauro! Chissà se fu un caso o un
disegno del cielo! Era una foto molto grande a colori, ove Mauro sorrideva
mentre pensava alla sua amica del cuore, e dietro di essa vi era scritto come
testamento olografo:
< Il mio pensiero
sarà sempre con te, anche se Dio mi chiamerà a Sé, io ci sarò sempre ricordati!
Può morire un corpo ... ma non un’anima! A presto tuo Mauro >
40
Ringraziamenti
Un sentito e doveroso
ringraziamento va a mia madre Angelina, mia sorella Marilena e mia sorella Rosy,
che sono state ottime correttrici di bozze. Senza il loro aiuto avrei
senz’altro infilato qualche perla di brutte figure alla mia collana !!
Ringrazio di cuore anche tutti gli amici che mi hanno sostenuta mentre mi
cimentavo in questa esperienza, che per me è stata la prima in assoluto! Ringrazio
soprattutto chi ha fatto nascere in me, la volontà di scrivere questa storia,
del tutto vera. Il libro per me,è un compagno che scaccia la solitudine e tiene
viva l’immaginazione; ottimi ingredienti per conservare la giovinezza
spirituale! In quest’anno speciale ho avvertito il bisogno di sentirmi in
compagnia di qualcuno che mi amasse a prescindere dai miei limiti personali.
Non mi è stato difficile, risentire fra l’eco silenzioso della mia stanza, la
voce del mio migliore amico! Che dopo ventidue anni dal suo passaggio dalla
terra al cielo è ritornato a farsi sentire all’orecchio del mio cuore! Sono
grata a Mauro D’Argo, di essere stato il mio migliore amico e fratello, e
ancora di più gli sono grata, per aver mantenuto la sua promessa, poiché senza
la sua presenza amorevole nella mia anima, non sarei mai riuscita a scrivere la
sua toccante e bella storia d’amore e amicizia !
Si fidò della mia
capacità di scrivere, più di ventidue anni fa, quando m’incitò a scrivere la
sua storia, dandomi il permesso, attraverso le sue lettere olografe e le
cassette da lui registrate, di raccontare la sua storia, solo per amore della
vita, verso tutta la gioventù di questo mondo!
Sia benedetta la tua
anima fratello mio, con la speranza di rivederti un giorno!!
di (SA)
scritto nell’anno 2012